In Diario

Augusto Barbera per l’Audizione sulla riforma della legge elettorale
Senato della Repubblica 25 novembre 2014

@ Una premessa. Una legge elettorale per la sola Camera dei deputati?
E’ certo desiderabile che le prossime elezioni della Camera dei deputati si svolgano dopo avere portato a compimento la riforma del Senato, in corso di svolgimento. Da un punto di vista costituzionale non vedo, invece, problemi: qualora si dovesse andare a votare prima del varo della riforma del Senato avremmo comunque già una disciplina vigente per questa seconda Camera. Infatti, la Corte costituzionale con la sentenza 1/2014 – per non contraddire la sua ventennale giurisprudenza che dichiarava inammissibili i referendum abrogativi che avrebbero potuto determinare un vuoto normativo – ha individuato (anzi “elaborato”) una normativa anche per l’elezione del Senato, fino a prevedere la introduzione del voto di preferenza (in realtà per un’Assemblea che mai nella sua storia aveva conosciuto un simile voto).
Riporto a tal proposito il Punto 6 Della Sentenza 1 del 2014:

“La normativa che resta in vigore per effetto della dichiarata illegittimità costituzionale … è complessivamente idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell’organo costituzionale elettivo, così come richiesto dalla costante giurisprudenza di questa Corte. Le leggi elettorali sono, infatti, “costituzionalmente necessarie”, in quanto «indispensabili per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi costituzionali» (sentenza n. 13 del 2012; analogamente, sentenze n. 15 e n. 16 del 2008, n. 13 del 1999, n. 26 del 1997, n. 5 del 1995, n. 32 del 1993, n. 47 del 1991, n. 29 del 1987), dovendosi inoltre scongiurare l’eventualità di «paralizzare il potere di scioglimento del Presidente della Repubblica previsto dall’art. 88 Cost.» (sentenza n. 13 del 2012).

E poiché la Sentenza si rende conto che una qualche regolamentazione potrebbe rendersi necessaria si spinge fino al punto di dire che si possono applicare, con “i normali criteri interpretativi”, le norme del vecchio Testo unico del 1957 (queste sì fatte… “rivivere”!) mentre” eventuali inconvenienti potranno essere rimossi anche mediante interventi normativi secondari, meramente tecnici ed applicativi della presente pronuncia”. La Corte cioè (sia pure con una certa forzatura) ritiene che il Governo possa con atti regolamentari produrre le eventuali norme integrative necessarie (ad esempio per l’espressione delle “preferenze”.
Il sistema elettorale per il Senato, dunque, c’è già : un sistema proporzionale senza premio regionale e in più il voto di preferenza, cui aggiungere le clausole di esclusione previste dalla legge Calderoli e non toccate dalla Sentenza (20% per le coalizioni; 3% per le singole liste coalizzate; 8 % per le liste non coalizzate).

E’ stato autorevolmente obbiettato in questa stessa Commissione che sarebbe di dubbia legittimità costituzionale un voto per il Senato con il sistema proporzionale affiancato ad un sistema con premio di maggioranza per l’elezione della Camera. Condivido le preoccupazione per una possibile divaricazione dei risultati ma non vedo ragioni di incostituzionalità . Non possiamo infatti dimenticare :
1) che la stessa Assemblea Costituente aveva addirittura previsto una asimmetria temporale fra le due Camere , sei anni il Senato , cinque la Camera , poi corretta con la riforma operata con la legge di revisione costituzionale n.2 del 1963;
2) che in sede di approvazione delle leggi elettorali era stato previsto, sulla base dell’Ordine del giorno Nitti (ottobre 1947), che il Senato fosse eletto con il sistema maggioritario uninominale e la Camera con quello proporzionale (anche se la legge Dossetti -n.29/1948 – svuotò il sistema maggioritario richiedendo il 65% dei voti per la conquista del Collegio uninominale);
3) che nel 1953 si votò alla Camera con la legge con premio di maggioranza (la impropriamente definita “legge truffa”) e al Senato con la citata legge Dossetti (di fatto largamente proporzionale) e nessuno avanzò obiezioni di questa natura (venne anzi ritenuto dalle allora opposizioni di destra e sinistra che si trattava di un fatto positivo perché l’elezione del Senato avrebbe attenuato il taglio maggioritario della Camera); 4) che le due leggi Mattarella furono costruite con recupero proporzionale diversamente costruito (e infatti gli esiti furono marcatamente diversi fra Camera e Senato, soprattutto nel 1994 e nel 1996) .

Non vedo problemi di legittimità costituzionale. Ed aggiungo – mi sia consentito – va risparmiata al Paese la riapertura di un estenuante dibattito sulle caratteristiche di un Senato (sia pur provvisoriamente) elettivo che nell’agosto scorso i Senatori hanno deciso di superare.

Non mi convincono le altre soluzioni prospettate da varie parti :
1) riterrei incostituzionale un emendamento che dovesse subordinare l’entrata in vigore della legge elettorale della Camera ad una data incerta (la entrata in vigore di un’altra legge, quella di riforma del Senato in questo caso) e comunque di incerto contenuto. Se non ricordo male, la Presidenza della Camera non aveva ammesso l’emendamento Lauricella che già andava in questa direzione.
Sarebbe invece costituzionalmente corretto fare riferimento, ad esempio, ad una data certa per l’entrata in vigore della legge ma sarebbe una decisione frutto di una scelta politica, non di un vincolo costituzionale.
2 ) Vedrei un problema politico-istituzionale qualora si dovesse decidere di adottare per il Senato il sistema elettorale previsto per la Camera. Dovendo ricorrere ad un (sia pure eventuale) doppio turno, in presenza di due elettorati non coincidenti, si potrebbe correre il rischio di assegnare due premi diversi a due diversi liste (o a due diverse coalizioni).

@ Il testo dell’Italicum approvato dalla Camera
I sistemi elettorali vanno valutati in relazione agli obbiettivi che ci si prefigge. Non sempre questo è avvenuto nel dibattito politico e culturale; e ciò è causa non ultima della babele e del turbinio di proposte di questi anni (molte delle quali insincere e non trasparenti negli obbiettivi perseguiti). L’obbiettivo di un sistema bipolare sembrerebbe oggi (il condizionale è d’obbligo) un terreno comune alla principali forze politiche perché l’unico in grado di dare vita ad un governo direttamente “legittimato” dal corpo elettorale, evitando o l’ingovernabilità o il ricorso a grandi coalizioni non omogenee.
Vari altri sistemi potrebbero consentirci di raggiungere questo obbiettivo ma ormai siamo in una fase in cui non è possibile riprendere i discorsi sul “migliore sistema elettorale” (non ce lo consentirebbero né l’opinione pubblica nazionale né quella internazionale) ed occorre invece muoversi procedendo agli opportuni aggiustamenti .

Alla luce di questo obbiettivo trovo positivo, nel complesso, il testo approvato dalla Camera laddove prevede l’assegnazione di un premio di maggioranza fin dal primo turno e l’ eventuale ballottaggio a livello nazionale nel caso di mancato conseguimento del premio.
E’ un sistema analogo a quello prospettato dalla Commissione dei “Saggi” nominata dal Governo Letta, e presieduta dal Ministro Quagliariello, depositata il 5 ottobre 2013, che prevedeva una soglia del 40% per il conseguimento del premio del 55% dei seggi.
Trovo, sotto questo profilo, convincente la proposta formulata nella Relazione della Presidente Finocchiaro .

Ma vi sono nel testo della Camera quattro punti deboli:

1) Il primo punto debole è dato dalla assegnazione del premio (anche) alle coalizioni. L’esperienza fin qui accumulata ci dice che i sistemi maggioritari adottati dal 1993 in poi hanno avuto il grande merito di “bipolarizzare il sistema politico”, di avere messo in gioco tutte le forze politiche superando le varie clausole “ad excludendum”, di consentire agli elettori di pronunciarsi direttamente su schieramenti e programmi di governo. Il loro limite è stato quello di non essere riusciti a tradursi in una altrettanto adeguata omogeneità e stabilità di indirizzi di governo. Ciò è dovuto – lo dico in breve – alla necessità di dare vita a coalizioni “insincere” fra partiti, uniti nella conquista di una parte dei seggi (il 75% dei seggi uninominali con la legge Mattarella; la conquista del premio con la legge Calderoli) ma concorrenti nelle ricerca del voto per le proprie liste (per il 25 % dei seggi con le leggi Mattarella; l’intera posta con la legge Calderoli).
Si tratta di un’esigenza sentita da tempo. A questo si era tentato di porre rimedio con il quesito referendario del 1999 che aboliva la quota proporzionale prevista dalla legge Mattarella (e che, inquinato dalle allora disordinate liste degli italiani all’estero, non passò per pochi voti); a questo tentò di porre rimedio anche il c.d. referendum Guzzetta del 2005 che , se avesse raggiunto il quorum, avrebbe spostato il premio previsto dalla legge Calderoli dalla coalizione al partito maggiore (è appena il caso di sottolineare che tale risultato non fu considerato fuori dalla costituzione dalla Corte con la Sentenza n.17 del 2008) .
Per queste ragioni trovo convincente la proposta della Presidente Finocchiaro di prevedere il premio a favore non di una “coalizione di liste” ma a favore della lista vincitrice (che potrebbe essere , per chi lo volesse, una “lista coalizionale”).

2) Un secondo limite del testo approvato dalla Camera è dato dalla soglia bassa (il 37% dei voti) per il conseguimento del premio. Non vedo problemi di costituzionalità alla luce della Sentenza della Corte ma una soglia così bassa può creare problemi di immagine per la lista vincitrice e, inoltre, potrebbe accrescere il potere di condizionamento delle forze minori necessarie per raggiungere la stessa.
Sarebbe preferibile, come sembrerebbe prospettato nella Relazione, fare scattare il secondo turno solo se nessuna forza politica sia riuscita a raggiungere , con il calcolo proporzionale, almeno il 40- 42 % dei voti, rendendo così meno eventuale il passaggio al secondo turno di ballottaggio.

Alzando la soglia per il conseguimento del premio bisognerebbe – io credo – alzare l’entità del premio: la soglia di 321 seggi prevista dal testo della Camera non appare sufficiente ad assicurare una maggioranza stabile (tanto più che va aumentando la tendenza – accentuata nel testo di riforma del Parlamento – a richiedere per alcuni provvedimenti la maggioranza assoluta).

La soglia del 40%-42% accompagnata da un premio del 55% realizzerebbe un grado di “dis-proporzionalità ” accettabile anche dalla Corte. Essa, infatti, richiede che sia indicata una soglia minima per il conseguimento del premio e che comunque si realizzi una dis-proporzionalità non irragionevole. Quale sarebbe l’indice di ragionevolezza? Esso può essere tratto – a mio avviso – dalla comparazione con altri regimi democratici che conoscono sistemi elettorali (anche proporzionali : v. Spagna o Grecia) con indici di di-proporzionalità attorno al 15% (ancora più alti nei sistemi maggioritari, per esempio nel Regno Unito).

Da sottolineare che ove si dovesse passare al secondo turno, trattandosi di un ballottaggio, il vincitore conseguirebbe comunque il 50% dei voti validamente espressi e la dis-proporzionalità sarebbe inferiore al 5%.

3) Il terzo limite è dato dalla varietà delle clausole di sbarramento presenti nel testo della Camera, alcune delle quali troppo alte (12% per le coalizioni/ 8% per le liste extra-coalizionali/4,5 per quelle infra-coalizionali).
Non mi soffermo sui possibili esiti disproporzionali (ad esempio, una lista potrebbe conseguire la soglia con un basso margine di voti ma sfruttando i voti delle liste collegate che non abbiano superato la clausola di esclusione) perché condivido la proposta della Presidente Finocchiaro volta ad affiancare alla introduzione del premio una unica (e ragionevole) soglia di esclusione (che potrebbe essere allineata a quella delle elezioni europee: il 4%). Spetta al premio, infatti, assicurare la governabilità e questo può rendere meno necessario escludere la presenza in Parlamento di forze minori (ma le clausole manterrebbero anche in questo caso la loro utilità rendendo meno agevole le scissioni).

4) Il quarto limite è dato dalla difficoltà di mettere insieme la distribuzione proporzionale dei seggi nei territori, necessariamente effettuata in base alla popolazione, e la distribuzione altrettanto proporzionale dei seggi fra le liste, effettuata in base ai voti conseguiti nazionalmente.
Volendo dare vita a collegi plurinominali di dimensioni contenute (che eleggono da tre a sei deputati) – moltiplicandone di conseguenza il numero (circa 120) – e volendo contemporaneamente partire dal riparto nazionale dei seggi in base alla cifra elettorale nazionale delle varie liste, riesce assai difficile assicurare una altrettanto proporzionata distribuzione territoriale dei seggi. L’attuale meccanismo è assai complicato e non sempre facilmente correggibile, ma credo che sia inevitabile che nell’ambito della stessa circoscrizione ci sia un eventuale sacrificio di un collegio rispetto agli altri della medesima circoscrizione. Va tenuto presente a tal proposito che l’art.56 della Costituzione fa riferimento alla “circoscrizione” e che dunque i “collegi” vanno considerati all’interno della stessa, potendosi quindi avere, qualora fosse strettamente necessario, e senza porre problemi di costituzionalità, spostamenti da un collegio all’altro nell’ambito della stessa circoscrizione .
Peraltro, per decenni dal 1948 al 1992, analoghi sono stati i problemi , per la Camera dei deputati, della distribuzione dei resti attraverso il Collegio unico nazionale e ancor più vistosi gli esiti per il Senato (alcuni collegi privi di rappresentanza ed altri invece con 2-rappresentanti), senza porre particolari problemi di costituzionalità . Avrei invece dubbi sulla proposta di ricorrere, come rimedio per attenuare detti effetti, all’allargamento della dimensione dei collegi, che attenuerebbe il rapporto diretto fra candidati ed elettori.

@ La scelta dei candidati
Il potere di ristrette oligarchie partitiche di determinare, in pratica, la intera composizione delle due Camere è un punto di notevole sofferenza democratica, più volte denunciato in questi anni . La politica è stata sradicata dal territorio e ha spesso ulteriormente costretto gli elettori a trovarsi nella condizione di spettatori delle prestazioni televisive dei propri leader ((la legge censurata –n.270/2005 – addirittura prevedeva liste fino a 47 candidati, e neanche trascritte nella scheda elettorale, ma consultabili solo nei manifesti affissi nei seggi).
Tre erano le strade possibili per rispettare la Sentenza della Corte: il ritorno ai collegi uninominali); le liste bloccate ma in circoscrizioni ristrette ; il ritorno al voto di preferenza (unico o plurimo). Non auspico un ritorno a questo ultimo sistema. Ha dato cattiva prova per tre motivi: richiede ai candidati la disponibilità di risorse finanziarie ingenti, il cui reperimento è stata causa non ultima di Tangentopoli; introduce elementi di ulteriore frantumazione correntizia all’interno dei partiti, che si aggiungono a quelli derivanti dalla frantumazione del sistema politico; accresce il peso delle organizzazioni portatrici di interessi micro-settoriali (o talvolta persino malavitose). Come ci dicono le indagini empiriche di fine anni 80 di Pasquale Scaramozzino nelle province a più basso reddito del Sud gli elettori utilizzavano circa l’ 80-90 % delle preferenze esprimibili contro il 15- 20% in media delle province più ricche del Nord.
Non a caso è un sistema ormai da tempo abbandonato pressoché da tutti paesi avanzati: è invece mantenuto in Italia nelle elezioni regionali (e comunali) e per i collegi esteri, ma con risultati non brillanti (pessimi per la circoscrizione estera), come testimoniato dai numerosi fascicoli per “voto di scambio” aperti presso le Procure della Repubblica (che si potrebbero accrescere con le nuove fattispecie di reato sul “traffico di influenza”).

La ipotesi avanzata dal Relatore: capilista “bloccati” e per il resto ricorso al voto di preferenza può rappresentare una utile mediazione ma sapendo che essa, in presenza di un centinaio di collegi, porterebbe ad eleggere in questo modo una notevole parte dei candidati (la quasi totalità per i partiti minori ma trasferendo la “battaglia per le preferenze” all’interno dei partiti maggiori).
Non vedo tuttavia problemi di costituzionalità: la Corte ha espressamente affermato che non sarebbero incostituzionali liste bloccate “corte” mentre non trovo convincente il richiamo alla violazione del principio di eguaglianza fra candidati. L’ingresso in una determinata lista non è, infatti, un diritto dei cittadini ma una scelta dei partiti e/o dei presentatori. Tale sistema peraltro potrebbe essere accompagnato o dalla previsione di elezioni primarie per la scelta dei candidati oppure dalla valorizzazione delle tradizionali forme di democrazia di partito attraverso una incisiva (e per adesso improbabile) disciplina pubblica dei partiti .

Piuttosto questa soluzione potrebbe mostrare scoperto il fianco della legittimità se accompagnata dalla previsione delle pluri-candidature (fino ad otto nel testo della Camera) . Mi rendo conto dei problemi delle formazioni minori ma esse possono rendere inefficace la scelta degli elettori nei vari territori, sostituendo alla preferenze degli stessi …la “preferenza ” del capolista al momento della opzione. Per evitare questo risultato si potrebbe prevedere nella legge che il capolista sia vincolato ad effettuare l’opzione a favore del candidato “meglio perdente”.

@ Sistema elettorale e forma di governo
Come dicevo prima il testo dell’Italicum ricorda il sistema elettorale nei Comuni sopra i 15.000 abitanti: proporzionale al primo turno e, se non si ottiene la elezione del Sindaco, imperniata su un secondo turno di ballottaggio. Un quotidiano ha definito l’Italicum sistema per “l’elezione del Sindaco d’Italia”, ma è definizione impropria perché non è prevista alcuna elezione diretta, che richiederebbe una revisione costituzionale. Tuttavia, poiché è previsto che al secondo turno si abbia un ballottaggio fra le due coalizioni (o fra i due partiti) più votate è assai verosimile che le stesse, anche a prescindere da un (non consigliabile) obbligo analogo a quello previsto dalla legge Calderoli, presentino un leader destinato ad avere una “legittimazione diretta”(non una elezione) da parte del corpo elettorale. Questo sistema può portare a incidere sulla stessa forma di governo (lo ha sottolineato la Commissione dei Saggi parlando di “governo parlamentare del Primo Ministro”) ma è pienamente compatibile con il vigente quadro costituzionale . Sarebbe sbagliato trarne conseguenze in termini di riforme costituzionali: si correrebbe il rischio di aprire inutili e defatiganti discussioni. Del resto, in tutte le grandi democrazie europee – per esempio nel Regno Unito , patria del sistema parlamentare – il voto degli elettori nei Collegi incide sulla scelta del Primo Ministro.
Invece tale sistema elettorale non è compatibile con la permanenza del bicameralismo perfetto (due Camere che danno entrambe la fiducia). La presenza di basi elettorali non coincidenti (un elettorato più giovane – da 18 a 25 anni – spesso cambia gli equilibri elettorali) può portare a risultati divergenti. E ‘accaduto in diverse occasioni (non solo nel 2013 con la legge Calderoli ma anche nelle elezioni del 1994 e del 2006) ma ancor più oggi , in presenza di tre formazioni politiche pressoché equivalenti (Forza Italia, PD, 5 stelle), si potrebbero avere ballottaggi non simmetrici, per la possibile non coincidenza degli sfidanti.
Né è costituzionalmente ammissibile per individuare le due formazioni politiche sfidanti – come si profila in un progetto (A.C. 1453 Balduzzi ed altri) – sommare i voti ottenuti nell’una e nell’altra Camera.

@ Le circoscrizioni “estero”
Vedo sottovalutato il problema delle circoscrizioni estere per l’elezione di 6 senatori e 12 deputati (leggi costituzionali 1/2000 e 1/2001). I risultati sono stati pessimi: la strada migliore sarebbe quella , in sede di riforma costituzionale, di garantire in altre forme la loro espressione di voto. Quanto meno bisognerebbe prevedere norme che assicurino la segretezza e la genuinità del voto (non garantite efficacemente dalla legge 459/2001 e dal D.p.r. 104/2003 e dal pessimo risultato delle “preferenze”), per esempio attraverso le sedi consolari o i seggi predisposti dalle stesse rappresentanze consolari .

@ Una precisazione : evitare un uso improprio dell’espressione “premio”
Vedo usata nel dibattito politico e giornalistico in modo improprio l’espressione “premio di maggioranza “. L’espressione è corretta se riferita al primo turno ma l’esito di un ballottaggio e la conquista dell’intera posta da parte di uno dei contendenti, prevista dal testo della Camera, non è la conquista di un premio ma solo l’applicazione di un principio in base al quale gli elettori stessi sono chiamati a dare la maggioranza ad una delle due formazioni in competizione (la più gradita o la meno sgradita). Trattandosi di un ballottaggio, chi vince consegue non meno del 50% dei voti espressi.
Compito dei sistemi elettorali, in un sistema parlamentare, è non solo quello di “rappresentare” ma anche quello di esprimere un governo. La rappresentanza non è fine a se stessa ma è in funzione della legittimazione a legiferare e a concorrere al governo. Non si tratta più di presentare al Sovrano, “rem-praesentare”, le istanze dei sudditi ma di consentire al popolo di erigersi esso stesso a sovrano. I sistemi elettorali, in una società democratica, basata sulla sovranità popolare, servono dunque non come “appareil photographique ma come “transformateur d’energie” (Duverger), chiamati a dare senso, quindi, alla affermazione che la legittimazione a governare promana dal popolo. Ne deriva la piena legittimità di sistemi elettorali che consentano anche ad una minoranza , la più forte delle minoranze , di esprimere un governo e di risponderne di fronte al popolo. La minoranza non può essere tuttavia esigua (come avrebbe potuto essere con la legge Calderoli). Da qui la importanza, appunto, dei sistemi a doppio turno , siano essi di coalizione o di collegio, perché consentono all’elettore di scegliere direttamente chi è legittimato a governare .

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