Riforme -Fabbrini: pericolo uomo solo al comando? Sciocchezze
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Vero problema è leadership per governare trasformazione epocale Roma, 25 feb. (askanews) – Le riforme istituzionali in agenda in Parlamento rappresentano veramente una minaccia di involuzione autoritaria? E’ realistico pensare ad un Renzi dittatore, ad una sorta di Re Sole o di nuovo Mussolini? Sono queste le domande che in forma di spot un po’ catastrofici vengono lanciate agli italiani per ingenerare il dubbio sulla validità della riforma in discussione. In modo più elegante – ma con la stessa finalità – si paventa il pericolo di un uomo solo al comando. Come stanno le cose? Veramente la riforma può portare ad una diminuzione della nostra democrazia? Ad una svolta autoritaria? Askanews ha chiesto il parere del professore Sergio Fabbrini, docente di Scienza della politica e direttore della School of governement della Luiss. “La vera questione è quella della leadership in presenza della trasformazione strutturale in atto con un evidente declino dei tradizionali partiti-massa, i partiti ideologici. In questo contesto – spiega Fabbrini – la leadership si pone come tema centrale del rinnovamento”. Ma qui c’è chi sostiene l’esistenza della minaccia dell’uomo solo al comando. “Dal punto di vista del governo e dei sistemi di governo – argomenta Fabbrini – nessuna democrazia è compatibile con un uomo solo al comando. Ma è altrettanto vero che le democrazie grandi, importanti, sono guidate: hanno un leader che lavora all’interno di una squadra che a sua volta contribuisce alla definizione del suo programma e che lo tiene anche sotto controllo. In queste democrazie esistono anche delle opposizioni più o meno organizzate che hanno un ruolo importante. Dal punto di vista della struttura democratica, di sistemi di governo, quello dell’uomo solo al comando mi sembra più che altro uno slogan che serve ad evocare paure ancestrali in un paese come il nostro dove abbiamo avuto un’interruzione di 20 anni della democrazia, appunto con un uomo solo al comando, con l’esperienza fascista”. “Oggi – aggiunge – nessun governo democratico può stare con un uomo solo al comando. Dietro questa paura c’è una sottovalutazione che risiede nel fatto che non si comprende qual è il ruolo del leader. Il leader è indispensabile per prendere decisioni che oggi in un contesto grandemente cambiato rispetto al passato, basta pensare all’internazionalizzazione, verrebbero prese da altri. Il leader è altresì necessario per l’identificazione politica e programmatica e dunque assolve ad una funzione sistemica. Si tratta di regolarne l’attività non di negarne l’importanza. Mi colpisce che questa critica dell’uomo solo al comando venga spesso da posizioni dove c’è davvero un uomo solo al comando: penso a Sel e in un passato recente all’Italia dei valori, ma anche alla Lega”.(Segue) Min 251535 FEB 15
Roma, 25 feb. (askanews) – C’è chi sostiene che queste critiche vengano messe in campo da oligarchie politiche, ma non solo, che si sentono minacciate dalle riforme. “Sì, dietro queste critiche ci sono paure e tra queste anche quella di sopravvivere ai cambiamenti. La storia dei partiti di massa si è basata su oligarchie. Il partito tradizionale, come lo abbiamo conosciuto, presuppone una società chiusa mentre oggi la realtà supera la dimensione nazionale, basta pensare alla Ue, ai vari G8 e G20 dove peraltro siedono dei leader e non dei partiti. La storia dei vecchi partiti – sottolinea Fabbrini – non è certo messa in discussione dai Sanchez o dai Renzi, ma dai cambiamenti epocali. Il partito oligarchico, dei professionisti della politica, dei rivoluzionali di professione, ormai appartiene alla storia. Dietro, soprattutto, c’è un’idea di democrazia assembleare, consociativa, dove le decisioni si prendono cercando di mettere tutti d’accordo. Ma oggi la democrazia è quella dove c’è una maggioranza che è messa in condizione di governare e con un’opposizione che critica e che deve essere messa in condizione di prendere il posto della maggioranza quando sbaglierà e sarà sconfessata dagli elettori”. E’ lo schema della cosiddetta democrazia decidente… “Certamente. La democrazia decidente – puntualizzaFabbrini – è quella dell’alternanza, che è poi quella che funziona in tutti i grandi paesi, nelle maggiori democrazie, dalla Gran Bretagna alla Francia, alla Germania e agli Usa anche se con modalità diverse. Al contrario c’è da noi un’idea che l’Italia debba rimanere un paese spaventato, dove bisognava diffondere il potere perché poi nessuno lo potesse realmente prendere. E’ l’idea che se si crea una maggioranza in una camera, si possa limitarla o bloccarla nell’altra. Si arriva così ad una sfiducia totale e il paese è rimasto paralizzato incapace di risolvere i suoi seri problemi. A 150 anni dall’unità d’Italia abbiamo ancora un’indecente questione meridionale quando la Germania a 25 anni dalla caduta del muro di Berlino ha risolto la questione dei lander dell’est. Insomma l’Italia non decidente è la causa del protrarsi dei problemi”. Molti politologi indicano anche il peso di corporazioni che si sono di fatto divise il potere economico e la società. “Sì, c’è un’Italia delle corporazioni, degli interessi consolidati che si muove e fa sentire il suo peso quando si tratta di cambiare. Un esempio in questi giorni lo vediamo nelle resistenze di varie categorie: notai, tassisti, farmacisti tanto per citare alcuni. E’ un’Italia che ci ha portato alla paralisi e dalla quale è necessario, urgente, uscire”, prosegue il direttore della School of governement della Luiss. Con una leadership? “Sì, ma tenendo presente che oggi il partito (un partito-programma) è ‘con’ il leader e non è ‘del’ leader. Senza leader non ci sono antenne per innovarsi. Ma il leader non può essere (e fare) da solo: ha bisogno di una squadra, di istituzioni e di una politica che non pensi più al primario dell’ospedale o al direttore del Tg Rai, ma alle linee di sviluppo, al programma per il Paese”. Min 251535 FEB 15
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