Premessa: perché un contributo ristretto a due punti. Non ripartire da zero
Presento oggi un contributo molto limitato, ristretto a due punti perché condivido, in termini di politica costituzionale, di opportunità costituzionale, il senso dell’intervento del Presidente emerito Napolitano: non avrebbe senso a questo punto del percorso immaginare sostanzialmente di ripartire da zero perché questo, al di là degli intenti dei singoli e delle proposte di merito, porterebbe con sé quasi certamente il fallimento della riforma.
Anche il dibattito sulla modificabilità dell’articolo 2 dovrebbe comunque, in termini di politica costituzionale, prendere le mosse dal fatto che sia la formulazione “nei quali” sia quella “dai quali” si riferiscono alla conferma di una rappresentanza indiretta, delle istituzioni territoriali che è stata confermata nel primo passaggio in entrambe le Camera
Del resto il testo all’esame della Commissione appare sostanzialmente in continuità con le riforme realizzate (o almeno tentate) nelle grandi democrazie a tipo di Stato decentrato.
In particolare, in termini di procedimento legislativo, la riforma costituzionale tedesca del 2006 ha ridotto gli elenchi delle leggi bicamerali paritarie che negli anni immediatamente precedenti avevano spinto il Bundesrat a maggioranza di centro-destra a posizionarsi più in termini politici che non territoriali rispetto al Governo rosso-verde, realizzando una “grande coalizione” di fatto per superare il suo veto, ma così snaturando in parte la propria funzione. Le seconde Camere degli Stati decentrati hanno senso in termini di completamento del sistema in termini centro-periferia; ovviamente vivono anche dentro un sistema politico, ma se prevale la logica politico-partitica analoga alla prima Camera (magari approfittando del fatto che le maggioranze siano opposte o comunque diverse) esse negano il loro ruolo.
Inoltre in Spagna nel 2004 il Governo Zapatero tentò una riforma del Senato che però poi non riuscì, ma che rimane da allora sullo sfondo, per specializzarlo nel senso della rappresentanza delle istituzioni territoriali, con due opzioni possibili (Senato degli esecutivi o dei legislativi regionali) giacché il modello vigente fondato per quattro quinti sull’elezione diretta riproduce le medesime dinamiche partitiche della prima Camera e, pertanto, finisce col presentarsi come un inutile doppione, mentre le ricorrenti tensioni territoriali non trovano una sede istituzionale adatta. Il tema sta riemergendo in modo impegnativo in questi mesi che precedono le elezioni politiche previste per fine anno. Se si apre il sito del Psoe per la costruzione del programma elettorale uno dei punti chiave della parte denominata “reforma democratica” prevede che il Senato si trasformi in “una auténtica cámara territorial”.
Le ragioni di queste scelte previste dal testo in discussione sono evidenti: in ultima analisi la riduzione dei conflitti tra Stato e autonomie regionali, come chiarito durante i lavori della commissione Letta-Quagliarielllo da molti autorevoli colleghi, non dipende tanto dalla migliore riscrittura degli elenchi di competenze, pur opportuna , ma dal fatto che nella seconda Camera si realizzi un’effettiva rappresentanza dei legislatori regionali. In ultima analisi è la riforma del Senato quale rappresentante delle istituzioni territoriali che risolve i problemi del Titolo Quinto.
1- Nuova formulazione art. 83: norma di chiusura sull’elezione del Presidente del Presidente della Repubblica
L’esigenza di una norma di chiusura con tempi certi per l’elezione del Presidente è quella che mi pare sia stata espressa con più forza nella relazione Finocchiaro. E’ un’esigenza ben motivata: visti in particolare i poteri incisivi del nostro Capo dello Stato rispetto alle altre figure corrispondenti nelle altre forme parlamentari, le minoranze potrebbero essere tentate di richiedere l’elezione di un proprio componente per sbloccare l’elezione e la maggioranza potrebbe voler resistere. L’ipotesi di un blocco appare quinti tutt’altro che remota e particolarmente grave per un organo monocratico.
La formulazione Camera, nell’intento giusto di evitare che possa esprimerlo da sola la maggioranza pro tempore, lascia però scoperta questa esigenza. Il semplice ballottaggio tra i due più votati a maggioranza assoluta ad un certo punto degli scrutini darebbe certezza ma non risponderebbe all’altra esigenza, traducendosi molto probabilmente nella riproposizione del conflitto tra maggioranza e minoranze. C’è quindi bisogno di una soluzione più complessa basata su 3 obiettivi che ho elaborato dialogando con Augusto Barbera:
-responsabilizzare i singoli parlamentari in modo, per quanto possibile, la promozione di intese non sia solo delegata ai leaders;
-rendere trasparenti tutte le candidature;
–rendere flessibile il raggiungimento del quorum con il sistema del “supplementary vote”, la variante più semplice del voto alternativo che si usa per l’elezione del sindaco di Londra, ossia dando ai parlamentari anche l’espressione di un secondo voto, che dà flessibilità anche ai confini tra gli schieramenti.
Una formulazione potrebbe essere questa
“L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’Assemblea. Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti.
Le candidature alla Presidenza della Repubblica sono sottoscritte da almeno un decimo dei parlamentari. Ogni parlamentare può sottoscrivere fino a tre candidature.
In ogni scrutinio ciascun parlamentare, a pena di nullità, esprime un primo e un secondo voto. Se in seguito allo scrutinio dei primi voti nessun candidato ha raggiunto il quorum richiesto, si considerano i soli due candidati che hanno avuto il maggior numero di primi voti e si aggiungono ad essi i secondi voti espressi in loro favore.
Se al settimo scrutinio nessun candidato ha raggiunto i tre quinti, è eletto il candidato che in quello scrutinio, al termine del conteggio dei primi e dei secondi voti, risulti il più votato.”
2- Modifiche all’art. 55 quinto comma: competenze esclusive Senato su politiche pubbliche relative alle autonomie territoriali
Si potrebbe adottare una soluzione intermedia sulla valutazione delle politiche pubbliche tra il testo originario Senato (esclusiva integrale) e il testo Camera (concorrenza paritaria su tutto), prevedendo l’esclusiva Senato nei rapporti con Regioni ed enti locali (in coerenza con l’art. 82 Cost novellato si poteri di inchiesta), oltre a un ruolo di raccordo rispetto alla giurisprudenza costituzionale in materia. Manterrei invece, come adesso, il concorso sul resto perché è difficile immaginare che il rapporto fiduciario non sia basato anche su tale verifica.
Concretamente aggiungere in fine al comma in questione il seguente periodo:
“Valuta le politiche pubbliche concernenti le autonomie territoriali, verifica il seguito delle sentenze della Corte costituzionale ad esse relative. Verifica altresì l’attuazione delle leggi regionali”
Postilla- precisazione in seguito alle domande
Perché l’articolo 2 del testo di riforma costituzionale non è emendabile sulla elettività diretta dei senatori
L’art. 104 del Regolamento Senato pone due limiti ben distinti all’emendabilita’ in terza lettura.
Il primo e più rilevante e’ l’esclusione dall’oggetto emendabile delle parti non modificate dalla Camera, e questo è proprio il caso in questione, dato che l’unica modifica apportata (“dai” rispetto a “nei”) conferma l’elezione indiretta.
ll secondo riguarda i “nuovi emendamenti “, per i quali è stabilito il requisito della “diretta correlazione” con le modificazioni approvate dalla Camera. Ma qui non si tratta certo di tutti i possibili emendamenti, perché altrimenti la disposizione sarebbe ultronea, ma solo di quelli che introducano altre disposizioni, aggiuntive, dunque materie nuove, ammissibili purché in diretta correlazione con le modificazioni della Camera.
L’articolazione in due distinte sfere del limite all’emendabilità posto dall’art. 104 trova riscontro nella norma simmetrica, ma diversa, del Reg. Camera (art. 70) che riconduce tutto alla condizione di emendamenti consequenziali alle modifiche del Senato, senza distinguere tra disposizioni già approvate dalla Camera e modificate dal Senato e disposizioni nuove.
Articolo 104 Regolamento Senato
“Se un disegno di legge approvato dal Senato è emendato dalla Camera dei deputati, il Senato discute e delibera soltanto sulle modificazioni apportate dalla Camera, salva la votazione finale. Nuovi emendamenti possono essere presi in considerazione solo se si trovino in diretta correlazione con gli emendamenti introdotti dalla Camera dei deputati.”
Articolo 70 comma 2 Regolamento Camera
“I progetti già approvati dalla Camera e rinviati dal Senato sono riesaminati dalla Camera la quale, prima della votazione finale, delibera soltanto sulle modificazioni apportate dal Senato e sugli emendamenti ad esse conseguenti che fossero proposti alla Camera.”