Da quando, in piena Tangentopoli, la Lega portò alla Camera le corde a cappio degli impiccati, a ieri quando un senatore per sbeffeggiare una collega pare abbia mimato il sesso orale, passando per un campionario di “gesti” sempre più fuori dalle righe, quasi in una compulsiva ricerca della volgarità più volgare della precedente, è stato tutto un degradarsi delle nostre due Camere: una gara al peggio, alla ricerca di un “radicalismo dello sberleffo” che ha trasformato le aule del Parlamento in una specie di suburra riflettendo il peggio della società. Denunciava bene questo andazzo Paolo Ermini nel suo commento di alcuni giorni fa.
Perché ci siamo ridotti così, è difficile spiegarlo: se non con una maleducazione profonda, diffusa, che rende accettabile ciò che accettabile non deve essere, e dietro la quale si nasconde una radicata mancanza di rispetto verso noi stessi. Quasi che dalla sacrosanta critica al finto perbenismo si debba per forza passare a una specie di nichilistica perdita della minima dignità collettiva; quasi che non ci sia nulla nel mezzo fra essere parrucconi e fare i buffoni (con rispetto di chi il buffone lo fa per mestiere): anche quando si discute di cose serie e in luoghi che un certo decoro pur lo pretenderebbero (e giustamente).
Eppure questo modo cialtronesco di fare opposizione non è la cosa più grave del nostro sistema istituzionale. La cosa grave è che il nostro Parlamento da quarant’anni in qua s’è messo in testa d’essere il Congresso americano. Il che non è: per fortuna aggiungo.
Il Congresso degli Stati Uniti è certo potente, ma la forma di governo americana non funziona meglio di quelle europee: anzi. Tant’è che far passare leggi di riforma in qualsiasi settore (si pensi alla sanità, si pensi al controllo delle armi) è impresa quasi impossibile; se va bene, obbliga i presidenti a commerci di voti che vi raccomando (per fortuna loro non hanno le nostre procure). Il sistema funziona solo perché è appunto un regime presidenziale: molte cose le decide il presidente da sé e soprattutto la presenza dello stato è incomparabilmente minore che in Europa.
Qui, invece, abbiamo tutti (o giù di lì) regimi parlamentari: il che non vuol dire dominati dal Parlamento, anzi il contrario. Regimi nei quali le elezioni (se possibile) o gli accordi fra i partiti (peggio) producono esecutivi che contano sul leale – quasi automatico – sostegno della maggioranza, che essa sia di un solo partito (meglio) o che sia di coalizione (peggio): ma ci può sempre contare.
In altre parole il governo non è costretto a procurarsi i voti uno per uno, non deve dimostrare giorno dopo giorno, seduta dopo seduta, voto dopo voto (e pure a scrutinio segreto: c’è solo qui), di essere in di più della somma delle minoranze! In nessun parlamento di forma di governo parlamentare si fanno tante votazioni, si presentano tanti emendamenti al solo fine di stancare fisicamente la maggioranza, imponendo tour de force continui che obbligano alla presenza minuto per minuto con maratone defatiganti. Certo, ci può essere l’ostruzionismo (il tentativo della minoranza di impedire alla maggioranza di imporsi): ma è un’eccezione, si fa una volta per legislatura, non una al mese con tanto di ricorrenti buffoneschi Aventini (il povero Giacomo Matteotti si rivolta nella tomba).
Se queste riforme, oltre a dare ai cittadini la scelta di governo e a semplificare le istituzioni, concorreranno a una più seria interpretazione del regime parlamentare, allora sì che avremo fatto un bel passo avanti: liberandoci a un tempo sia dell’opposizione come ostruzionismo sia di un malcostume parlamentare che entrambi ci squalificano.