In Diario

Accordo fatto sul nuovo Senato e unità del Pd momentaneamente salva. Evviva. Non se ne poteva più (non se ne può più!), e tutti devono essersene resi conto.  La strada della revisione resta lunga, le insidie molte ed è certo che i nemici del progetto si rifaranno vivi (prossimi giorni al Senato, poi nuovo iter Camera, poi terzo e ultimo al senato, poi terzo ed ultimo alla Camera: infine, il referendum, il cui esito è sicuro, salvo Renzi non incappi in qualche incidente grave e diventi un referendum contro di lui in condizioni difficili). Ma un po’ di ottimismo è legittimo.

I senator-consiglieri (con doppio incarico e una sola indennità) saranno eletti dai Consigli regionali, nel rispetto delle minoranze (non saranno solo di maggioranza), e «in conformità – dice l’emendamento tregua – alle scelte espresse dagli elettori… secondo modalità stabilite dalla legge…». Non più, dunque, scelte di partito filtrate dai gruppi consiliari, ma indicazione degli elettori. E’ una buona cosa?

Francamente non credo. Al di là dell’ormai insopportabile retorica contro i “nominati” (da sempre sono i partiti a scegliere i candidati con o senza preferenze: se no che ci stanno a fare?), se è vero come è vero che il nuovo Senato rappresenta le “istituzioni territoriali” (c’è scritto così in più parti del progetto), affidare agli elettori quella scelta è un cedimento al populismo che potrebbe  portare qualche guaio: il rischio è che i senator-consiglieri finiscano col rappresentare sé stessi all’insegna del «io rappresento gli elettori». Invece, pur nella differenza di programmi (ci sono quelli d’opposizione),  dovrebbero star lì a sostenere le ragioni delle istituzioni (non dei cittadini): per fare sì che il Senato esprima davvero una rappresentanza diversa dalla Camera, portando in Parlamento le istanze regionali e locali.

Ma tant’è: politica è scelta di priorità, è realizzare il possibile, non rinviare all’infinito alla ricerca d’un optimum astratto cui – giustamente – possono dedicarsi gli accademici. E la priorità oggi è dare al paese tutto il buono che c’è nella riforma (ed è tanto), e farlo subito, passando all’ordine del giorno (riforme e ripresa sono ancora agli inizi).

E poi la (pasticciata) soluzione escogitata per dar di che gloriarsi agli oppositori e salvare il grosso, lascia aperta la porta a variegate soluzioni, a riforma fatta. Primo, la disciplina di questa “semi-elezione diretta” sarà affidata a una legge dello Stato, tutta da inventare. Secondo, la legge dello Stato non potrà, a sua volta, che lasciar qualche spazio alle leggi regionali. Queste infatti sono diverse l’una dall’altra, e il metodo individuato a Roma dovrà essere adattato ai singoli casi. Terzo, le soluzioni sono tante: lista bloccata? preferenze? preferenze fra tutti i candidati o solo fra quelli del listino? i candidati presidente? Nella legge toscana, ad esempio, potrebbero essere il presidente più i tre del listino regionale (che al momento è però facoltativo). Quarto, tutto il discorso non dovrebbe comunque applicarsi ai 21 sindaci. Infine: resta da capire la sorte della norma transitoria in attesa della nuova legge statale, di cui all’art. 38 del progetto, che per ora affida tutto ai consigli in carica. Insomma: ci sarà da divertirsi.

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