Il presente scritto rappresenta la trascrizione dell’intervento del Prof. Sergio Fabbrini[1] in occasione della Maratona europea organizzata dal Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza.
L’Unione Europea (UE) è un’unione di stati e di cittadini. Non è un’organizzazione internazionale, né uno stato in grande. Come tutte le unioni di stati si basa su compromessi, alcuni dei quali acquisiscono un carattere costituzionale. Quello che io considero il più grande studioso di scienza politica, cioè James Madison, ha trasformato quei necessari compromessi interstatali in una teoria della costituzione di un sistema sovra-statale. Madison ha affrontato temi che sono molto vicini alla nostra realtà europea, con una concettualizzazione così originale che allora gli stessi membri del dibattito a cui lui partecipava (a Filadelfia nel 1787) in molti casi non riuscivano a capire. Ed è Madison che introduce il concetto di compromesso ‘costituzionale’. E se voi guardate all’esperienza americana a partire da Filadelphia è fatta di compromessi. Perché le unioni di stati nascono su compromessi, parlo di unioni di stato non parlo di stati federali, parlo di unioni di stato che sono unioni federali. Perché lo stato federale è la disaggregazione di uno stato precedente unitario. E lì il compromesso è principalmente tra partiti. Tra cristiano-democratici e social-democratici nel caso della Germania. Le unioni di Stato le unioni federali sono invece aggregazioni di stati precedentemente indipendenti. Quindi i compromessi sono tra gli stati e non tra partiti. Si mettono insieme delle realtà territoriali che sono indipendenti, ma quando si mettono insieme si mettono insieme tenendo presente che Rhode Island è un piccolo stato Virginia New York erano grandi Stati. Che Malta è 400 mila abitanti, meno di un quartiere di Roma, la Germania è di 82 milioni di abitanti. La natura del compromesso tra Stati è qualitativamente diversa dalla natura del compromesso tra forze politiche. Le unioni di stato nascono da questi compromessi, se non capiamo questo confondiamo lo Stato federale con l’Unione federale. Se noi abbiamo un’aggregazione di Stati, gli stati piccoli non accetterebbero mai di entrare in uno Stato perché in uno Stato sarebbero sempre dominati dagli Stati più grandi mentre invece nel compromesso tra forze politiche oggi vince la destra, domani vince la sinistra, il compromesso può funzionare dentro un’autorità comune. Le unioni di Stati sono senza uno stato, cioè non hanno una realtà istituzionale overriding che stanno sopra gli Stati e come cerco di dimostrare sono senza un governo e l’esempio massimo di questo è ovviamente gli Stati Uniti oltre che la Svizzera. Non c’è un governo negli Stati uniti. C’è un Presidente, c’è una Camera, c’è un Senato, c’è una Corte. Quello che diciamo agli studenti americani che fanno one-one di scienze politiche, nel mid-term la domanda è come definisci “How would you define the system of government of the U.S.” la risposta è necessariamente, se sbagliano sono torturati fisicamente, è un sistema di istituzioni separate “separate institutions sharing power” che condividono il potere. Quindi voi non guardate che ha vinto Trump, guardate anche chi c’è alla Camera, chi c’è al Senato, guardate i checks and balance che ci sono tra di loro.
Ora quali sono i compromessi che ci sono di fatto nell’Unione europea. C’è un primo compromesso che è il compromesso tra la logica del mercato unico e le nuove politiche che entrano nell’agenda europea con Maastricht. Un secondo compromesso è dentro l’eurozona, è dentro diciamo il gruppo più avanzato. Il terzo compromesso è il modo in cui si organizza l’eurozona. Ora io quello che nel libro cerco di mostrarvi è perché i compromessi sono saltati.
Cominciamo dal primo compromesso che è quello più importante per farvi capire il mio modo di interpretare e di concettualizzare. Perché chi fa scienze politiche deve concettualizzare. Noi non dobbiamo descrivere, quello è un compito di altri. noi dobbiamo dare ordine ad una realtà che pare disorganizzata e se non abbiamo dei concetti non riusciamo a farlo. Diceva Sartori che i concetti sono delle scarpe con cui camminiamo, si può anche andare scalzi ma ci si fa male
Ora quello che succede a Maastricht, che ci può aiutare a capire quello con cui poi oggi dobbiamo misurarci, è che a Maastricht viene interrotta la costruzione unitaria dell’Unione europea. Da Roma nel 1957 fino a Maastricht si sviluppa una logica di organizzazione del mercato che è comune, poi diventa mercato unico attraverso un sistema istituzionale relativamente bilanciato, con i suoi difetti ma relativamente bilanciato. C’è la Commissione che ha un potere di monopolio e di iniziativa legislativa e poi c’è un Consiglio dei Ministri e sempre di più dopo il 79 un Parlamento europeo che assume una funzione di co-decisione sulle proposte della Commissione. C’è un triangolo diciamo così, a questo si aggiunge nello sfondo il consiglio europeo dei capi di governo, che rimane una istituzione informale, nasce nel 74, ma rimane informale perché non vuole essere vincolata dal Trattato, dai vincoli, dai controlli del Trattato. Rimane dunque una struttura informale che dice “ok noi siamo quelli tirano il freno a mano, quelli che intervengono nella crisi ultimativa”. Il negoziato più complicato lo trasferiamo ai Capi di governo, però il cuore del meccanismo decisionale è in quel triangolo. Jaques Delors lo chiama il metodo comunitario.
Ora quello che succede a Maastricht, che ci può aiutare a capire quello con cui poi oggi dobbiamo misurarci, è che a Maastricht viene interrotta la costruzione unitaria dell’Unione europea. Da Roma nel 1957 fino a Maastricht si sviluppa una logica di organizzazione del mercato che è comune, poi diventa mercato unico attraverso un sistema istituzionale relativamente bilanciato, con i suoi difetti ma relativamente bilanciato. C’è la Commissione che ha un potere di monopolio e di iniziativa legislativa e poi c’è un Consiglio dei Ministri e sempre di più dopo il 79 un Parlamento europeo che assume una funzione di co-decisione sulle proposte della Commissione. C’è un triangolo diciamo così, a questo si aggiunge nello sfondo il consiglio europeo dei capi di governo, che rimane una istituzione informale, nasce nel 74, ma rimane informale perché non vuole essere vincolata dal Trattato, dai vincoli, dai controlli del Trattato. Rimane dunque una struttura informale che dice “ok noi siamo quelli tirano il freno a mano, quelli che intervengono nella crisi ultimativa”. Il negoziato più complicato lo trasferiamo ai Capi di governo, però il cuore del meccanismo decisionale è in quel triangolo. Jaques Delors lo chiama il metodo comunitario.
A Maastricht entrano nell’agenda europea dei problemi che non erano a Roma nel 1957, ci sarebbero stati se i francesi avessero votato a favore della Comunità europea della difesa nel 1954, ma dopo quel voto, per ragioni di politica interna non perché erano anche europei (perché gollisti e comunisti avevano altri problemi da criticare il governo in carica per quello che faceva nelle sue ex colonie). Dopo quel voto ci siamo limitati a discutere del mercato e abbiamo pensato che il mercato fosse l’occasione per costruire quella cooperazione tra gli stati, quella lealtà che si trasferiva dal livello nazionale a quello europeo. A Maastricht entrano nell’agenda europea dei problemi molto più complicati, problemi che stanno al cuore degli Stati nazionali. Entra la politica degli esteri, la politica della difesa, entra la politica della giustizia, degli interni. Ed entra un problema che noi non avremmo mai pensato di affrontare in questa dimensione, con questa drammaticità, che è il problema di tenere sotto controllo la Germania. Quindi a Maastricht si pone il problema di costruire una european economy monetary union (unione economica monetaria) che ha una politica monetaria, una moneta in comune per potere sotto controllo la Germania. Perché voi dovete pensare che noi come europei abbiamo una ossessione da sempre, che abbiamo in mezzo al continente un paese che è troppo grande per stare in equilibro agli altri, ma è troppo piccolo per agire da solo fuori dall’Europa.E questo problema della Germania è un problema fondamentale, non potete pensare all’Europa indipendentemente dal rapporto tra Germania e il resto d’Europa, in particolare la Francia. io faccio parte di una famiglia di partigiani e la prima cosa che mio padre mi ha detto quando sono cresciuto, dopo la guerra (per fortuna sono nato dopo la Guerra, la I generazione della mia famiglia, come i molti qui che non conosce la guerra, mio padre mi ha detto “tu puoi imparare tutte le lingue che vuoi ma in questa casa non si parla più tedesco, non voglio sentire una parola di tedesco, perché mio padre fu catturato come partigiano e non lo trattarono diciamo così bene. Quando è ritornato dalla cattura dei tedeschi, per lui la lingua tedesca non era quella di Kant, di Hegel, di Marx, di Heine. Era la lingua del nazismo. Quindi voi pensate sempre a questo. La politica è fatta di corpi di anime, di cuori. Non è mica una cosa astratta. Cioè se ragioniamo sulle istituzioni, è perché dobbiamo trovare delle soluzioni per impedire di andare, per impedire di ritornare a quella cosa lì per cui la mia famiglia è stata spaccata, divisa, come la famiglia di milioni di italiani). Allora se così è, come terniamo sotto controllo la Germania? La Germania nell’ottobre del 1990, senza il consenso europeo, assoluto con il consenso di George W. H. Bush, spinge e si riunisce. Over a night, in una notte, uno stato diventa 5 länder più metà Berlino di un altro stato. Cosa che è abbastanza complicata, adesso io non voglio entrare nel merito della questione, ma è abbastanza complicata. Non è che hanno preso dei territori d’oltremare. Uno stato è stato integrato senza cambiare la Costituzione, che non si chiama Costituzione perché si chiama Legge fondamentale proprio perché in attesa della ricomposizione delle due Germanie, over a night diventano 5 länder dell’est più la parte orientale di Berlino.
Il punto è che a quel punto la Germania diventa 80 milioni di abitanti. La simmetria democratica con la Francia che l’aveva tenute in equilibrio salta completamente. Quindi voi capite perché Mitterand non era così entusiasta, capite perché il nostro Andreotti disse la famosa frase “io voglio così bene alla Germania che ne vorrei due” e capite
Prof. Ceccanti: che era una frase di Andrè Malraux
Prof. Fabbrini: capite che noi non eravamo tanto felici, perché ovviamente andava ricomposta la frattura della guerra fredda andava superata, nondimeno quella frattura era destinata a creare grandi problemi. problemi che ci portiamo dietro. Allora cosa succede, che il primo compromesso è: teniamo il modello comunitario per il mercato, tuttavia sulle nuove politiche (estera, della difesa, degli interni, della giustizia e la politica economica) adesso arrivo, su queste nuove politiche i francesi dicono “stiamo prudenti, perché noi non vogliamo finire, se rimane il modello comunitario, a dare un grande potere al parlamento sempre di più nel parlamento la rappresentanza della Germania sarebbe stata di lungo superiore rispetto alla Francia, si vota per maggioranza e cosa succede alla grande potenza francese, finiamo per essere risucchiati dalla Germania. Quindi, almeno per quello che io ho cercato di capire in particolare per la ricerca che ho fatto per il libro di Cambridge non è che c’è un disegno da parte del gruppo di Mitterand, non è che loro hanno in mente un altro modello costituzionale, ma nei fatti si forma un modello costituzionale di tipo intergovernativo. Le decisioni principali le prende il consiglio dei capi di Governo (il consiglio europeo) e consiglio dei ministri e decidono all’unanimità. Guardate che su questo punto i francesi sono stati durissimi. Poi magari il dott. Panzano può anche dire la sua, ha seguito quel dibattito in quel periodo. Perché loro dicono unanimità perché se io voto all’unanimità posso mettere il mio potere di veto ad una decisione che magari i tedeschi mi impongono e io non desidero. L’unanimità garantiva in qualche modo la Francia che la nuova simmetria democratica non produceva una egemonia tedesca su queste politiche così cruciali per la sovranità nazionale. Ma non solo solamente cruciali per la sovranità nazionali, ma sono politiche che definiscono i risultati della politica interna. Come noi oggi abbiamo scoperto. La politica migratoria può decidere se la Merkel rimane alla cancelleria oppure no. Ora voi capite che in queste politiche come diciamo noi con i nostri gerghi “ad alta salienza politica interna”, in queste politiche i governi nazionali non vogliono che a deciderle siano rappresentanti come la Commissione europea o il Parlamento europeo, che quei governi non controllano. La conclusione è che queste politiche siccome decidono il mio destino elettorale io voglio avere decisione in capitolo. E qui si forma de facto una costituzione intergovernativa, in cui i governi riducono il peso del parlamento, che è il grande vincitore dell’altra costituzione quella sul mercato, riducono la Commissione ad una struttura di supporto del Consiglio europeo e soprattutto i Governi decidono attraverso quello che loro chiamano policy coordination, decidono politicamente e non attraverso la legge. Mentre di là, la commissione propone una direttiva/una regolamentazione, la approva il consiglio a maggioranza, poi a maggioranza assoluta il Parlamento. Lì l’integrazione avviene attraverso la legge, qua l’integrazione avviene attraverso il coordinamento volontario del governo. Ma se io ho un’integrazione attraverso la legge, la corte europea di giustizia ha un potere di controllo di costituzionalità di quei provvedimenti, ma se io ho un’integrazione attraverso il coordinamento volontario delle decisioni politiche, la Corte non può intervenire sulla costituzionalità di quelle decisioni politiche, non può dire se non è una legge (cioè una direttiva o una regolamentazione) che quel provvedimento sulla politica migratoria è incostituzionale. perché quella è una decisione che prendono i governi politicamente e che loro si impegnano a realizzare e implementare nella loro autonomia individuale. Quindi voi vedete che in queste politiche la Corte viene ridimensionata, il Parlamento diventa ridondante, deve essere informato – leggete testualmente il parlamento deve essere informato. figuriamoci siamo agli stati generali? siamo alla monarchia assoluta? prima del 1787 per cui vi informiamo? Ma i Parlamenti contano perché hanno poteri di sanzione non perché sono informati. Perché senza il Parlamento l’esecutivo non può prendere decisioni, perché come si dice nel gergo americano l’esecutivo propone, ma è il parlamento dispone. Perché lì c’è una parte importante della sovranità popolare.
E soprattutto la commissione vede ridotto il suo potere. Allora questo è il primo compromesso. arrivano le crisi e ovviamente le crisi avvengono in quelle politiche che sono state assegnate al modello intergovernativo. politica della difesa, politica degli esteri, politica della sicurezza, politica interna, della immigrazione e ovviamente politica economica.
E qui arrivo al secondo grande compromesso. Il secondo grande compromesso avviene tra i paesi più integrati che vogliono andare avanti – e diciamo principalmente tra la Francia e la Germania – che creano una unione economico monetaria, però dicono la Francia siccome voi tedeschi volete un’unica politica monetaria, il modello della Bundesbank: una banca centrale europea indipendente dalla volontà politica, tenuta a rispettare solamente i vincoli del proprio statuto (inflazione al 2% e controllo dei prezzi). Noi però non vi diamo una unica politica economica, perché nella unica politica economica – Kohl era favorevole a portarla dentro il metodo comunitario, però lì di nuovo tornava di nuovo il problema del parlamento e i francesi avevano paura di essere deboli, chiedono che invece la politica economica sia decentralizzata, cioè che sia dentro un meccanismo in cui ogni Governo gestisce la propria politica economica. I tedeschi accettano questo compromesso però cominciano a dire “però che garanzie abbiamo che i governi nel seguire la propria politica economica rispettino i vincoli di interdipendenza che avere una moneta in comune implica” quello che i tedeschi chiamano “azzardo morale” prendendo una teoria importante della economia (noi italiani dovremmo essere molto consapevoli di cosa sia l’azzardo morale. il fatto che ci siano alcune regioni in Italia che da sempre approfittano del fatto che ci sono altre regioni più ricche che pagano i debiti delle regioni più deboli. poi possiamo criticare il modo in cui questo è avvenuto, ma non possiamo disconoscere il fatto che una città come Roma sia in continuo deficit e qualcun’altro sulla fiscalità generale paghi i deficit del mal governo di Roma. noi dobbiamo essere consapevoli ve lo dico, perché io critico questa cosa, ma come italiano non posso non pensare che dietro questo ci sono degli elementi forti. Quindi se noi condividiamo la stessa moneta dobbiamo avere relativamente delle politiche in qualche modo convergenti, omogenee. Allora i tedeschi si inventano il patto di stabilità e crescita e dicono – successivo a Maastricht, previsto a Maastricht, ma non formalizzato a Maastricht – le politiche di bilancio dei singoli paesi che fanno parte della moneta comune devono garantire il 60% e il 3% etc. e questa cosa che oramai sa anche la signora che va a fare la spesa che noi non possiamo superare il 3% del deficit e il 60% e se lo superiamo la commissione ha il potere di intervenire sulle nostre politiche di bilancio. ora questi due compromessi sono stati messi in discussione dalla crisi, dalle crisi che avvengono dopo Lisbona e hanno dimostrato che questi due compromessi sono il risultato di differenze di prospettive sulla integrazione europea da parte degli stati che fanno parte della integrazione europea. vediamo il primo compromesso. Appena noi andiamo dalla direzione di creare una costituzione come dire sovranazionale, una costituzione intergovernativa, diamo potere ai governi della costituzione intergovernativa, ma quando diamo potere ai governi della costituzione intergovernativa, i governi dovrebbero agire consensualmente. Non c’è nessun vincolo, ma appena c’è la crisi si impongono delle scelte. E come si fa a far delle scelte quando quelle decisioni devono essere prese consensualmente. Se io Victor Urban non sono d’accordo sulla scelta proposta dalla Commissione di distribuire una quota di rifugiati siriani in ogni paese dell’Unione europea in relazione al gdp di quel paese, alla popolazione di quel paese e pongo il veto, tanto che il sistema è consensuale, chi prende le decisioni? La conclusione è che il sistema intergovernativo in condizione di crisi con effetti redistributivi non può funzionare. Cosa è avvenuto? Che la Signora Merkel che ci gioca il suo futuro elettorale sulle politiche migratorie, va fuori del consiglio europeo, crea una coalizione di volenterosi, va a parlare con Erdoğan, va un accordo con Erdoğan, decide di aiutare economicamente sostanzialmente la Turchia, in cambio del fatto che la Turchia blocca le frontiere ai rifugiati siriani che vanno verso la Germania e dopo aver fatto questo accordo fuori dal consiglio europeo, lo porta nel consiglio europeo e chiede l’autorizzazione e l’approvazione del Consiglio europeo. Quell’accordo è il risultato di un’azione unilaterale, non è il risultato di Donald Tusk che agisce, ma il risultato di un cancelliere di uno stato membro che non può aspettare la logica consensuale del Consiglio europeo. E poi, siccome è forte, contrariamente a noi, che noi possiamo fare una cosa del genere con i paesi africani, ma non abbiamo la forza. Siccome lei è forte, rappresenta un paese forte e stabile economicamente e politicamente, lo impone nel consiglio europeo. Chi decide se la Grecia va aiutata oppure no? La commissione? Guardate l’estate del 2015, chi c’era nella riunione in una stanzetta che ha deciso alla fine di aiutare la Grecia a condizione che accettasse delle condizioni più difficili di quelle che avevano rifiutato nel referendum tenuto la settimana precedente: c’era la signora Merkel, c’era il signor Hollande, c’era Tusk ma non c’era Juncker. C’era Tsipras e Tsipras ha avuto una crisi di nervi, hanno dovuto chiamare il nuovo ministro delle finanze greco per entrare dentro, perché Tsipras non riusciva più a controllare la conversazione. Ma sono i capi di governo che decidono. E quando non sono in grado di produrre delle logiche consensuali, è evidente che i più forti vanno per la loro strada. Nel capitolo finale del libro dico “italiani, fate attenzione, perché voi, noi italiani, che siamo un paese debole politicamente, con una scarsa legittimazione internazionale e con una fiducia in noi stessi che rasenta diciamo il fallimento, abbiamo inventato questa narrativa che <<per fortuna che c’è la commissione che ci difende>> perché altrimenti noi non siamo in grado di difenderci”. E quindi abbiamo sopravvalutato il ruolo della Commissione. Noi e i tedeschi. Ma i tedeschi dopo l’unificazione hanno preso un’altra strada. la Germania pre-ottobre 1990 non è la Germania dopo o post ottobre 1990. La Germania dopo l’ottobre 1990 è una Germania che parla di interessi nazionali, che si pone i propri interessi, che agisce come Governo dentro i Governi. Noi invece siamo rimasti fuori da questo gioco e siamo rimasti fuori da questo gioco perché siamo deboli, perché la nostra voce dentro l’istituzione intergovernativa conta pochissimo. Abbiamo fatto una ricerca per capire ma come è possibile che noi siamo arrivati ad accettare la clausola del bail-in, che ha messo in difficoltà un sistema bancario che non era poi ridotto così male come quello italiano. Ma chi è che ha approvato il bail-in. Siamo andati ad intervistare lo staff di Schäuble e ci ha detto questa persona molto influente di Schäuble “eh ma guardi – ad uno dei miei studenti – che sono passati di qui mentre abbiamo discusso del bail-in quattro ministri italiani delle finanze può essere – con ironia – che magari si i siano dimenticati di dire a quello che seguiva qual era il problema”.
Prof. Ceccanti: “Come l’asilo”
Prof. Fabbrini – “Come l’asilo, stesso problema. Se noi abbiamo una testa – e voi soprattutto più giovani che dovete avere questa testa quasi fisicamente istintivamente – quello che succede qui in quest’aula è parte di una cosa molto più grande, interdipendente. Non possiamo più pensare all’Italia pensando che siamo un ombelico che può fare quello che gli pare, non possiamo fare quello che ci pare se vogliamo difendere anche interessi e valori italiani dobbiamo essere in grado di contare nelle istituzioni in cui queste negoziazioni si fanno. Questa è la ragione per la quale ho cercato di battermi nel referendum del 4 dicembre da un punto di vista europeo. Non normativo, non ideologico. Io trovo insensato che ci sia dei giuristi che parlino in astratto di cosa sia democratico e cosa non sia democratico, ma cosa vuol dire? Siamo in grado di avere una voce dentro il consiglio europeo? Siamo in grado di dire “no le nostre banche non possono accettare il bail-in a partire dal primo gennaio 2017 o 16 o no”. Questa è la discussione. Dobbiamo avere una classe dirigente che parla di questo. Non “è più democratico il sistema”.
Secondo compromesso. Secondo compromesso era: voi andate avanti, perché dobbiamo andare avanti. Quelli che non sono d’accordo si fanno un opt-out. E quindi noi inventiamo questa clausola dell’opt-out. C’è un opt-out per l’eurozona (Gran Bretagna, Danimarca, nei fatti la Svezia); poi c’è un opt-out sui diritti fondamentali della Carta; poi c’è un opt-out su Shengen. Quindi noi abbiamo creato un sistema che al suo interno è un sistema altamente differenziato, ma un sistema altamente differenziato è un sistema che fa fatica a spiegare chi prende le decisioni e perché prendono le decisioni. Qui è questa parte diciamo costruttiva del lavoro, io penso che noi come studiosi ma anche come italiani è un pessimismo che non possiamo più permetterci. Chi diffonde il pessimismo è veramente secondo me – dal punto di vista di chi fa il mio mestiere – è un irresponsabile. Perché noi dobbiamo costruire, trovare sempre un pertugio in cui entrare per vedere come uscire dalla situazione. E lo sforzo nostro è quello di vedere dove è quel pertugio, dobbiamo essere tanto realisti nell’analisi, tanto dettagliati nell’analisi, ma allo stesso tempo l’analisi – perché la realtà è così, non perché io me la invento
Qui è questa parte diciamo costruttiva del lavoro, io penso che noi come studiosi ma anche come italiani è un pessimismo che non possiamo più permetterci. Chi diffonde il pessimismo è veramente secondo me – dal punto di vista di chi fa il mio mestiere – è un irresponsabile. Perché noi dobbiamo costruire, trovare sempre un pertugio in cui entrare per vedere come uscire dalla situazione. E lo sforzo nostro è quello di vedere dove è quel pertugio, dobbiamo essere tanto realisti nell’analisi, tanto dettagliati nell’analisi, ma allo stesso tempo l’analisi – perché la realtà è così, non perché io me la invento – ci mostra che c’è sempre un modo per uscire da qualche cosa, per fare un passo in avanti. E chi lavora con la testa deve sempre pensare che c’è un versante della collina e c’è un altro versante della collina. Solo non è una vita della mente, è la vita di un partigiano. Da ragazzino ho avuto la fortuna di seguire le lezioni di Karl Popper e lui la chiamava la teoria del crinale e Karl Popper diceva “se voi rimanete in un versante della collina vedete solo quel versante. Lo sforzo che dovete fare, se volete studiare lavorare con la mente, dovete sempre fare uno sforzo per salire sul crinale. Una volta che siete sul crinale vedete quell’altro versante, a quel punto potete decidere che non vi interessa, ma dovete essere consapevoli che c’è l’altro versante.
Ora, quello che ho cercato di vedere nel libro è: i versanti. Che dentro l’Unione europea ci sono prospettive istituzionali diverse, che c’è un gruppo di paesi, e va riconosciuto per ragioni storiche – lo spiego nel libro -, che vogliono solo la cooperazione economica. Perché il nazionalismo in Gran Bretagna è stato uno strumento a favore della democrazia nazionale. Per loro la difesa della democrazia nazionale è un valore, perché il loro nazionalismo è stato sempre un elemento di forza democratica del paese, così in Danimarca, così in Svezia. Nell’Europa continentale il nazionalismo è stato un elemento di lotte, di critiche, di distruzione delle democrazie nazionali. Quando parliamo del nazionalismo parliamo di cose diverse. Da noi quando è nato il nazionalismo, è nato per buttare giù la democrazia. Là il nazionalismo è nato e si è sviluppato per difendere la democrazia. Sono storie che producono identità diverse. E se noi non capiamo queste differenze è difficile tenere tutti dentro la stessa misura. I paesi dell’Est Europa sono stati diciamo “occupati, dominati” dal mondo sovietico. Dico tra virgolette perché anche una parte della loro società ha partecipato a quel tipo di regime fatto autoritario. Fatto si è che quando escono da quel mondo hanno riscoperto il nazionalismo come una forma identitaria. Figuratevi, loro escono da una dominazione che aveva distrutto la loro identità nazionale per entrare in una organizzazione che gli chiede di andare oltre la propria identità nazionale. È evidente che c’è una resistenza. Questo non giustifica Kaczyński, ma più noi insistiamo nell’obbligarli a fare quello che noi vorremmo che noi facessimo, più loro reagiscono.
Prendiamo atto che ci sono queste prospettive. Questo mondo di paesi europei deve stare insieme intorno al mercato, che già è molto, Perché vuol dire accettare i principi della libera circolazione dei beni, dei servizi, dei capitali, ma anche degli individui; vuol dire accettare lo stato di diritto, vuol dire accettare la trasparenza amministrativa, vuol dire tante cose. Vuol dire accettare le libertà economiche individuali e collettive, e così via
Ma oltre a questo c’è però un gruppo di paesi europei che ha fatto e ha pensato l’integrazione europea già da quell’incontro tra i 3 che parlavano tedesco: Schuman, Adenauer e De Gasperi pensando di chiudere una fase lunghissima di storia continentale fatta di guerre. Per quei paesi l’integrazione è un progetto politico, non è un progetto economico. E soprattutto per me italiano non mi basta pensare che io sono solamente il mio paese al sicuro perché parte di un mercato, perché non son sicuro che i diavoli illiberali che questo paese continua ad avere potranno essere tenuti sotto controllo solamente da un mercato.
Io come italiano ho bisogno di sapere che c’è di più, che c’è una organizzazione leggera, debole, limitata, ma che è in grado di tenere sotto controllo gli istinti illiberali che da Lisbona fino a Berlino hanno distrutto l’Europa tra le due guerre mondiali. Per questo dobbiamo pensare qui qualcos’altro. Non a uno stato che sostituisca gli stati, ma ad una unione che metta insieme stati su alcune politiche, lasciando tutto il resto agli stati nazionali, perché se noi costruiamo uno stato europeo che svuota gli stati nazionali intanto facciamo una operazione insensata, ma soprattutto irrealistica. Noi dobbiamo dire quali sono le politiche che devono fare gli stati che si mettono insieme per creare una unione. E qui il mio lavoro di comparativista, di colui che ha lavorato, soprattutto ha insegnato per tanti anni negli Stati uniti, mi dicono tre cose fondamentali, non è che ho inventato l’acqua calda.
Quando appunto ho scritto anche in un articolo e poi sul Sole e mi sono arrivate una serie di lettere anche di esponenti politici “ma non sapevamo”. Guardate l’esperienza degli Stati uniti e della Svizzera: loro hanno 3 aree che hanno messo in comune. (Se leggete la Costituzione americana, 4 paginette, 4 pagine di un giornale che tra l’altro è molto istruttiva, soprattutto leggetevi il federalista, che io ritengo obbligatorio per i miei studenti, insieme a Tocqueville e la sua democrazia in America, lettura obbligatoria per un giovane che vuole essere relativamente colto in questo paese).
La prima area è la sicurezza: si sta insieme non perché ci vogliamo bene (a me non mi interessa di voler bene ai francesi e ai tedeschi) stiamo insieme perché abbiamo bisogno di stare insieme. Guardate che a Philadelphia non è che tra i calvinisti protestanti super intellettuali del Massachussets e i cattolici schiavisti del sud c’era amore, figuriamoci se c’era amore, c’era necessità! Poi spero che nasca dentro la convivenza, l’abitudine a muoversi, etc, il reciproco rispetto, il senso di appartenenza a una comunità più ampia, la cultura europea. Ma noi dobbiamo pensare alla donna e all’uomo comune, non devono pensare a Sergio Fabbrini. A uno che parla più lingue, che si muove dalla mattina alla sera. Pensate alla gente comune. Quelle persone non potete trasformarle di giorno in notte in europei, loro sono italiani, spesse volte sono leccesi, poi sono italiani e poi sono europei. Ma io aggiungo di più è bene che sia così, perché io voglio che le identità siano multiple e non uniche. Perché più le identità sono multiple, più io mi premuro dal fatto che qualcuno su un’identità esclusiva diventi un fanatico, un fazioso, un partigiano. La libertà vive della molteplicità, non dell’unicità.
Seconda area. è la gestione della moneta, dell’economia, a cui col tempo si sono aggiunte le politiche di integrazione, le politiche sociali.
La terza area è l’area dello sviluppo, delle infrastrutture. Ci sono a volte dei termini: Security union, monetary union, development union. Questo deve fare un’unione. Il resto deve essere lasciato ai cittadini perché se noi svuotiamo le democrazie nazionali creiamo le condizioni formidabili per l’ascesa dei Salvini ed altri che vogliono tornare alle loro patrie nazionali. Perché più le svuotiamo, più creiamo sentimenti ipernazionalisti, sovranisti. Dietro quella crescita del sovranismo c’è la confusione di Bruxelles, non solo il fatto che ci sono dei ceti che non vogliono accettare l’integrazione. C’è la confusione del modo in cui è stata costruita questa unione. Ed è per questa ragione che io credo che dobbiamo ripensare strategicamente, non si può andare avanti pezzi per bocconi. Bisogna avere una visione strategica, e questa visione strategica deve essere portata avanti dai leader. Poi certo, come sempre mi viene chiesto, ma chi è che può fare questo? Ovviamente, io, come dire, rimango come sempre a quella lezione del 1919 di Max Weber ai suoi studenti che dice: benissimo quello vi ho raccontato, però io penso anche che nella storia ci vogliono i leader, e dobbiamo pensare che i leader sono una risorsa per il cambiamento. E chi sono i leader? Lui da questa definizione formidabile i leader sono coloro che hanno la possibilità di inserire le dita negli ingranaggi della storia, facendola girare a favore di un cambiamento. Pensate che definizione formidabile secondo me, devo dire quasi ispirata. Ecco, quello che posso dire è che oggi quei leader devono essere giovani, devono avere una prospettiva di fronte a loro, non riesco a immaginare che una cosa di questa genere, lo sforzo di costruire un’unione federale dentro un mercato integrato possa essere fatto da persone anziane. La leadership deve essere fatta da gente che ha di fronte a sé una prospettiva temporale di medio-lungo periodo, che ha un interesse antropologico e biologico al cambiamento, ma ovviamente quella leadership ha bisogno di buone teorie e lo sforzo di questo libro è di fornirne almeno un pezzettino di essi.
Prof. Ceccanti: bene poi le slides con le cose più tecniche ve le mandiamo, ma questo taglio dell’intervento era molto meglio che discutere di assetti istituzionali, perché penso che dia l’idea della costruzione verso cui tendere.
Domande dal pubblico:
Studente: Io ho un particolare interesse nei riguardi dell’Unioni federali composite da quando ho letto il suo libro “Intergovernmentalism in the European Union” volevo farle tre domande velocissime un po’ più tecniche. Siccome ogni volta anche quando ho finito questo libro sdoppiamento mi rimane un po’ come dire il rammarico perché appunto la vedo difficile con i leader attuali di cui parlava adesso si riesca arrivare a qualcosa di simile e volevo tentare di capire più concretamente quali potrebbero essere gli sviluppi. In particolare, quando lei parla del Presidente del Consiglio europeo, che dovrebbe essere l’elemento principale in un’Unione europea composita, non c’è il rischio che gli stati nazionali, gli stati membri con un autonomia del Presidente del Consiglio europeo vadano a perdere quelle prerogative che invece sono gelosi di tenere?
La seconda questione riguarda, invece, il Presidente della Commissione europea perché mediaticamente l’idea più forte è quella di avere un Presidente della Commissione europea eletto direttamente, adesso si parla di primarie per la sua elezione. Non potrebbe essere forse più realista puntare sul Presidente della Commissione europea e non sul Presidente del Consiglio europeo, magari facendo quello che lei propone ossia togliere il rapporto tra Parlamento europeo e Presidente della Commissione europea.
E la terza…
Prof. Fabbrini: È un esame questo eh…
Studente: E la terza ipotesi del libro bianco proposta dalla Commissione europea: non riusciamo a vedere almeno qualcosa di buono quando si parla di chi vuole fare di più fa di più e rapportarlo al modello che lei propone con uno sforzo diciamo complicato? Grazie mille
Prof. Ceccanti: Assembriamo se c’è qualche altra domanda, così poi facciamo la replica finale. Qualcuno vuol fare qualche intervento?
Prof. Scuccimarra: Al di là di tutte le rigidità istituzionali su cui siamo d’accordo,
il problema della cultura politica, di com’ è cambiata la cultura politica dei partiti europei negli ultimi vent’anni e in particolar modo il ruolo della socialdemocrazia tedesca, che poi è a mio giudizio l’anello debole in tutta questa vicenda, con l’auspicio che ci sia un cambiamento in atto.
Prof. Ceccanti: Abbiamo un’ultima domanda, un ultimo intervento.
Studentessa: Volevo domandarle se reputa la confederazione di stati europei una soluzione a tutti questi problemi che si stanno..
Prof. Fabbrini: La confederazione?
Studentessa: Si lasciare comunque sia gran parte della sovranità agli stati, però trovare a livello di alcuni stati una politica comune, come all’inizio è stato per Germania e Francia su alcuni aspetti. Grazie
Prof. Fabbrini: Grazie per le domande che avete fatto. Comincio dalla prima. La premessa è questa: il privilegio e anche la responsabilità degli intellettuali è quello di avere la testa libera. Noi dobbiamo pensare che le città sono dei luoghi dove dobbiamo pensare senza constraint senza vincoli. Chi fa politica ha ovviamente altri tipi di responsabilità e quindi quello che io cerco di fare è di sollevare tutte le ipotesi possibili che ci sono sul campo. Non mi pongo mai il problema della loro congruenza o meno con le linee di un paese o di un partito.
Allora per quanto riguarda le due ipotesi che ho sollevato anche recentemente in un articolo delle due elezioni del Presidente del Consiglio europeo e del Presidente della Commissione. Intanto la cosa che per me è importante è dire: se vogliamo rafforzare l’esecutivo cosa che dobbiamo fare, lo rafforziamo dentro la logica parlamentare oppure lo rafforziamo fuori dalla logica parlamentare? La predominante posizione, che io rispetto e capisco in Europa è stata: dobbiamo rafforzare il potere esecutivo attraverso la Commissione che deve diventare il vero esecutivo europeo e la Commissione deve essere sempre di più legata alla maggioranza del Parlamento europeo e questa elezione della Commissione alla maggioranza del Parlamento europeo può essere aiutata ad esempio dal meccanismo dello Spitzenkandidaten.
Prof. Ceccanti: cioè dei candidati indicati direttamente agli elettori in occasione delle elezioni europei
Prof. Fabbrini: Come studioso di politica non posso essere sensibile a questo argomento. Perché la tradizione europea si muove a partire dalla Gloriosa Rivoluzione del 1688 a Londra si muove dentro la logica di tagliare la testa al re, come facemmo allora, e di prendere il re e portarlo dentro al Parlamento .
La formula che noi usiamo per capire i nostri sistemi politici è King into the Parliament, se lei va a Londra, a Westminister, quando viene nominato il nuovo governo, il Re/la Regina entra da una porta laterale e va a leggere il suo discorso per il suo governo dentro la Camera dei Commons. Erano talmente preoccupati di garantire la subalternità del potere esecutivo al potere legislativo che hanno fatto una porticina bassa così. I re erano un po’ più alti e dovevano piegarsi per entrare, anche simbolicamente, dimostrare che loro omaggiano il potere legislativo. Quindi io capisco che ci sia questa attenzione storica nei confronti della Commissione che deve essere back into the parliament, ma la domanda che io mi pongo è: 1) può un sistema parlamentare funzionare in un’unione di stati e non in uno stato nazionale, in cui gli stati sono asimmetrici e hanno identità nazionali distinte.
2) dov’è il potere esecutivo oggi nell’Unione europea? Se io guardo la realtà sistemica io scopro che il Parlamento non può essere l’unica camera della decisione governativa in un’unione in cui ci sono stati che hanno 400mila abitanti e stati che hanno 80 milioni di abitanti; perché Malta dentro il Parlamento ha 6 rappresentanti, la Germania può arrivare fino a 96 rappresentanti. Il parlamento può funzionare quando le divisioni sono – sempre l’analisi comparativa – tra forze politiche, tra sinistra e destra. Ma per avere divisioni tra sinistra e destra, io non devo avere divisioni tra identità nazionali, perché quando ho divisioni tra identità nazionali la sinistra e la destra non funzione, perché nella crisi dell’euro lì c’è un governo di sinistra – Tsipras – che è contrario all’altro governo in cui c’era un partito di sinistra in Germania perché hanno degli interessi materiali diversi. Ritengo difficile pensare che un’Unione di stati asimmetrici e con identità nazionali differenziate possano stare dentro uno stato parlamentarista . Aggiungo anche che, e questo spiega perché (ed è il secondo punto), la decisione governativa che non così quella esecutiva sulle politiche importanti saranno sempre più prese dai governi e non dalla Commissione. Allora io posso dire: il mio modello è questo, la realtà si deve adeguare al modello, però io ragiono in modo radicalmente diverso. Io penso che se il modello non funziona, non è perché la realtà è sbagliata ma perché il modello non è sufficiente. Io parto dai fatti e poi vado a vedere qual è il modello adeguato per i fatti. Il problema dei governi nazionali va riconosciuto perché quei governi oramai hanno acquisito un potere, un peso decisionale per le ragioni che dicevo prima, di politiche che decidono sul loro futuro sulle loro fortune elettorali, che non può essere abolito come un articolo di un Trattato, Come se ne viene a capo? Ci sono due ipotesi: possiamo puntare sul rafforzamento del Presidente del Consiglio o sul Presidente della Commissione europea, ma la cosa che a me interessa è che l’esecutivo non sia dentro il legislativo come nei modelli a fusione dei poteri di cui ci ha parlato Bagehot già dalla fine dell’800. Quello che a me interessa è che ci sia una separazione di poteri tra esecutivo e legislativo perché se il legislativo non dipende dall’esecutivo in quanto gli ha dato la fiducia ha maggiore interesse di controllare l’esecutivo; mentre invece i parlamentarismi tendono a produrre un governo ma una volta che il governo si è formato è il governo che determina condizione e in qualche modo influenza il funzionamento del legislativo. Noi nella tradizione di Bagehot lo chiamiamo esecutivo, ma in realtà non esegue le decisioni della maggioranza ma è esattamente il contrario. Quello che voglio dire è che in un sistema di questo tipo se vuoi davvero rafforzare il parlamento non renderlo prigioniero del governo ma dagli il peso di controllare un potere esecutivo separato. Poi si potrà entrare nel merito dell’uno e dell’altro, a me non interessa la soluzione non sono un partigiano, a me interessa la logica, il metodo per capire una cosa. Poi i politici dentro le proposte che facciamo io o altri, possono ragionare. Però quello che io ho detto a Matteo Renzi: se tu mi dici l’elezione diretta del Presidente della Commissione ti metti dentro a un vespaio, perché se io faccio l’elezione diretta Presidente della Commissione oppure l’elezione diretta del Presidente del Consiglio europeo, io non tengo presente che ho 400mila di Malta e gli 80 milioni della Germania. Nell’elezione diretta i 3/4 grandi paesi decidono l’esito delle elezioni. Devo trovare un meccanismo, non sarà quello che non ha fatto dormire per notti intere Madison, che sovrarappresenti gli stati piccoli rispetto agli stati più grandi. Lui ha dato la soluzione del collegio elettorale, troviamo un’altra, ma dobbiamo capire che c’è un problema. Che se io vado all’elezione diretta, i 20 stati degli attuali 27 che sono sotto 20 milioni di abitanti contano quasi niente. E avremo permanentemente Presidenti sensibili o addirittura di nazionalità legata ai paesi più grandi. Questo è il problema. Le soluzioni le troviamo, ma lo studioso deve individuare il problema. Noi dobbiamo creare le giuste domande e lasciare a chi fa politica di trovare le risposte. Ma con le giuste domande dobbiamo essere ferrei.
Si chi vuole fare di più vada avanti. Benissimo. Io dico solamente che un’Unione europea in cui c’è un gruppo di stati che fa una cosa, un altro gruppo di stati che ne fa un’altra, un altro gruppo di stati che ne fa un’altra, finisce per perdere il suo carattere di istituzione democratica. Io contrariamente al WTO o contrariamente al NAFTA, o al MERCOSUR o all’ASEAN, penso che l’Unione europea debba essere una istituzione democratica, che ha il problema della legittimazione. E non mi posso stupire se i cittadini non vanno a votare quando non capiscono chi prende le decisioni e votare per che cosa. Quindi, contrariamente a molti tecnocrati che girano attorno sempre di più a questi dibattiti così complicati dico: guardate che c’è anche un problema di legittimazione, non c’è solamente un problema di funzionalità. E se questo problema non lo solleviamo noi, chi deve sollevarlo?
Come nell’Europa dei club: lei si iscrive a una polisportiva, poi lei fa canottaggio, suo figlio fa, sua moglie fa…ma l’Europa non è mica una polisportiva. Io devo, se soprattutto si pone delle politiche nella sicurezza, nella gestione della moneta, di tipo sociale, devo sapere chi è responsabile di questa cosa e devo sostituirlo se non sono contento. Perché non trovo giusto che la crisi dell’euro, la crisi della Grecia sia stata risolta da una decisione del Parlamento tedesco. Deve essere il Parlamento europeo ad avere la voce in capitolo, non il Bundestag. Ma il Parlamento europeo può fare questo se ha un suo budget che è indipendente dai trasferimenti finanziari degli stati, se ha una sua autorità politica, che è legittimata democraticamente.
Luca Scuccimarra, si certo questa qui è la questione della cultura politica. Il fatto è che noi abbiamo costruito l’integrazione europea senza una visione strategica. L’abbiamo fatto sulla base degli interessi, delle convenienze. E, per esempio, qual è stato il ruolo della socialdemocrazia tedesca nella discussione sul patto di stabilità e crescita. è evidente che i socialdemocratici sono andati dietro all’egemonia cristiano-democratica, che hanno sposato l’interpretazione ordoliberale del mercato sociale, mentre loro potevano invece rafforzare molto di più la versione sociale del mercato sociale. E alla fine quando si crea una verità consolidata intorno a quel modello non ti puoi muovere non solo se sei in coalizione, ma anche se non sei in coalizione quel modello è il modello che obbliga le politiche nazionali. Se tu non stai dentro a quel modello i mercati finanziari ti massacrano. Ma il risultato di questo è che noi abbiamo creato un’autostrada per l’antieuropeismo. Perché una volta che non c’è più la destra vs sinistra e la destra la sinistra sono tutte e due appaiate da una parte e quell’altro versante chi lo copre? E questo è quello che ogni volta quando vado in Germania gli dico. Ma dov’è il vostro interesse a difendere l’ordoliberalismo, perché se voi costruite un sistema in cui non si può uscire, è chiaro che dobbiamo stare lì dentro e al massimo possiamo dire un po’ più di flessibilità , vabbè un po’ più di flessibilità ma non è questo il problema. Chi è che va di là? Guardate i sistemi politici europei oggi. Grazie a quel modello, la divisione non è più tra destra e sinistra, la divisione è tra europeisti e antieuropeisti.
E se gli antieuropeisti diventano la maggioranza? Se nel Consiglio europeo comincio ad avere persone che si chiamano Marine Le Pen, Geert Wilders, etc. non voglio fare riferimenti all’Italia..ma che cosa succede? Questo sistema è un sistema che io definisco nel libro di centralizzazione senza democratizzazione. Un’Unione di stati non può essere governata da regole ma deve essere governata dalla politica. E quello che ci tiene insieme, a proposito della identità nazionale, non è il fatto che dobbiamo tutti avere una identità europea, ma il fatto che condividiamo gli stessi valori politici. Un’Unione di Stati non sta in piedi perché siamo tutti cattolici, mangiamo le mozzarelle e andiamo a vedere le partite di calcio la domenica pomeriggio. Sta in piedi perché abbiamo gli stessi valori politici. E la politica che tiene insieme identità nazionali distinte. Io non voglio rinunciare all’identità nazionale di italiano, ma tutta via mi considero europeo perché condivido certi valori politici non perché comincio a mangiare i wurstel come qualcuno penserebbe che l’identità europea dovrebbe essere quel tipo di cose. Non è un caso che in Germania che il modello tedesco che prima si forma un demos e poi i forma una democrazia, lo trovo terribile. Posizione tenuta dalla corte costituzionale tedesca, Cos’è un demos europeo? Chi è che rappresenta un demos europeo? da che cosa è connotato un demos europeo? Dal fatto che mangiamo tutti in uno stesso modo, abbiamo tutti la stessa fede e parliamo tutti la stessa lingua’ Ma questa è una visione pazzesca, illiberale. Noi dobbiamo mantenere i demoi che ci sono in Europa. Perché il pluralismo è garanzia di libertà per noi e non una minaccia per la libertà, è esattamente il contrario.
La confederazione. Lo sforzo che io ho fatto è di uscire da questo schema. Per questo io parlo di unione. Prendiamo gli Stati uniti: gli Stati uniti vengo considerati una federazione, ma dentro gli Stati uniti c’è un forte elemento confederale. Quindi se io vado a capire la realtà, scopro che la distinzione che impariamo dai testi di diritto costituzionale tra federazione e confederazione (la confederazione mantiene la sovranità nei singoli stati, la federazione trasferisce la sovranità nello stato) questa divisione non regge più. Lei guardi gli Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno una sovranità condivisa ma anche delle istituzioni che rappresentano la sovranità dei singoli stati. Qual è l’istituzione che rappresenta questo? Pensi al Senato. Il Senato americano è un ‘istituzione confederale. E fatto di due senatori a prescindere dalle dimensioni demografiche di quello stato per cui lei arriva al paradosso per cui la California, che ha 43 milioni di abitanti, ha due Senatori e il Vermont che ha 400mila ha due Senatori . Arriva un ulteriore paradosso. Che per potere decidere dentro il Senato ci vuole la maggioranza qualificata ossia 60 senatori su 100. Ora si chiama filibustering: 40 Senatori possono bloccare la votazione, la decisione, come appunto avviene all’interno delle Nazioni unite. Possono bloccare decisioni indesiderate. Guardi quei 40 Senatori. Io ho fatto uno studio tempo fa per capire chi è che aveva bloccato l’emendamento costituzionale che si chiamava Equal Right Amendment che dava alle donne lo stesso salario per le stesse mansioni dei maschi, che non è passato come sappiamo. Poi con grande fatica dentro al Senato, poi è stato bloccato dagli Stati. I quaranta senatori, rappresentanti di 20 stati, rappresentavano una popolazione che era inferiore nella loro somma alla popolazione rappresentata dai 2 senatori della California. Ora se io devo ragionare dal punto di vista di Rousseau, rousseauiano una testa un voto, ma dico questa è una pazzia, una follia. Quaranta senatori che rappresentano una popolazione inferiore a 40 milioni hanno un potere che i due senatori che rappresentano più 40 milioni non hanno. Perché questo? perché c’è un elemento confederale dentro il sistema federale. Ora questo per dire che noi dobbiamo trovare soluzioni originali non rimanere prigionieri dei modelli normativi.
Prof. Ceccanti: Grazie al Prof. Fabbrini.
[1] Sergio Fabbrini insegna Political Sciences and International Relations presso la Luiss Guido Carli ed è Direttore della School of Government.