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La proposta di riforma è identica per le due Camere.

L’elettore dà un voto unico che vale per una lista proporzionale bloccata corta in una circoscrizione plurinominale e per un candidato nel collegio uninominale.

Se più liste sono collegate in una coalizione ad un medesimo candidato uninominale e l’elettore vota solo il candidato nel collegio, i voti così espressi sono attribuiti pro quota tra le liste proporzionali secondo le opzioni già espresse dagli altri elettori (ad es. se 9 elettori votano solo il candidato e ci sono due liste collegate, di cui la prima col doppio dei voti della seconda, 6 voti si spalmano sulla prima e 3 sulla seconda). Le coalizioni devono essere omogenee sul piano nazionale.

 

Nei 232 collegi Camera (225 in 18 regioni, 1 in Val d’Aosta e 6 in Trentino Alto Adige) è eletto il candidato che arriva primo. 12 sono eletti come sempre nei collegi esteri. I restanti 386 seggi  sono attribuiti con la proporzionale, utilizzando metodo del quoziente: gli sbarramenti sono del 10% per le coalizioni e del 3% per le liste, nonché del 20% regionale (o due collegi vinti) per le liste delle minoranze linguistiche. Al Senato, invece, i collegi sarebbero 116 (109 in 18 regioni, 1 in Val d’Aosta e 6 in Trentino Alto Adige). 6 senatori restano eletti all’estero. I restanti 193 sono eletti con la proporzionale: con formula identica a quella illustrata per la Camera.

 

Che giudizio darne, al netto delle infondate polemiche di costituzionalità (molti che non condividono legittimamente nel merito le soluzioni introdotte cercano con scarsa efficacia argomentativa di trasformarle appunto in accuse di incostituzionalità)?

 

Dal punto di vista della rappresentanza il sistema sarebbe decisamente migliore perché adotterebbe soluzioni europee (liste bloccate corte e collegi uninominali maggioritari) invece dell’anomalia, Italia sola tra le grandi democrazie, del voto di preferenza.

Dal punto di vista della governabilità, invece, quasi nulla cambierebbe, nel senso che se le opzioni degli elettori restano frammentate, senza una lista o coalizione che superi il 40%, dalle urne non uscirà un vincitore e si dovrà far ricorso alla ricerca di difficili coalizioni post-elettorali con ruolo rilevante della Presidenza della Repubblica. Vi è solo una differenza, nel senso che si inserisce un limitato correttivo maggioritario legato ai collegi, mentre nelle leggi vigenti la disproporzionalità era solo dovuta allo sbarramento e alla soglia del 40%, difficilmente raggiungibile, per accedere al premio Camera.

 

I problemi relativi alla governabilità sono quindi rinviati inevitabilmente alla prossima legislatura, ma è alquanto dubbio che essi possano essere affrontati efficacemente solo sul piano elettorale e sarebbe del resto di scarsa consolazione notare che problemi analoghi, dovuti alla maggiore debolezza dei partiti, si manifestano anche in altre democrazie consolidate (perfino in Germania). Dal momento che i Governi poggeranno su una supplenza presidenziale, diventata stabile, potrebbe ritornare d’attualità l’idea di mutuare per intero il sistema francese, sia sul piano della forma di governo sia su quello del sistema elettorale.

 

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