Provo a implementare e rendere più semplice la spiegazione dei meccanismi (proporzionali) di riparto dei seggi previsti dal sistema elettorale della Camera dei deputati.
A tal fine è meglio avvalersi dei numeri assoluti che rendono più semplice la comprensione.
Gli elettori aventi diritto in Italia sono circa 46,5 milioni (il numero esatto sarà fornito dal Viminale alla vigilia del voto).
Ipotizziamo che votino 33 milioni (circa il 71%), che i voti non validi, comprese le bianche, siano 1 milione e che i voti dispersi dalle liste singole sotto il 3% e dalle liste coalizzate sotto l’1% siano 1,5 milioni. Le coalizioni e liste che accedono al riparto hanno pertanto nel complesso 30,5 milioni di voti (il 25 settembre i numeri ora ipotizzati non risulteranno probabilmente molto diversi). Dividendo 30,5 milioni di voti per 245 (il numero dei seggi proporzionali) si ottiene il quoziente nazionale, circa 122.500 voti.
Ad esempio, una lista con 950 mila voti, poco più del 3%, avrà pertanto 7,75 seggi, 7 seggi certi e con grande probabilità un seggio con un resto, dato che, in questo caso, il resto è piuttosto alto (pari al 75% del quoziente), quindi 8 seggi complessivi.
Compiuto il riparto dei seggi a livello nazionale tra tutte le coalizioni e le liste singole aventi diritto, si procede al riparto dei seggi circoscrizione per circoscrizione.
Il quoziente circoscrizionale non sarà molto diverso da quello nazionale, diciamo che potrà variare da 130 a 115 mila voti circa (dipende dal diverso numero di votanti nelle diverse circoscrizioni e dal fatto che in sede di assegnazione dei seggi alle circoscrizioni, in rapporto alla popolazione, alcune circoscrizioni hanno ottenuto o no un seggio con i resti). Insomma, un seggio con quoziente intero costa dappertutto più o meno lo stesso numero di voti.
A questo punto sorge un problema. In sede circoscrizionale le liste con il 3% nazionale o poco più non hanno mai, salvo eccezioni, i voti per conseguire un quoziente intero e neppure alti resti, cioè almeno 70-80 mila voti; in genere, salvo eccezioni, hanno al più 40-50 mila voti, ma anche meno. Pertanto facendo la somma dei seggi conseguiti in tutte le circoscrizioni in base ai riparti circoscrizionali, esse hanno al più 2 o 3 seggi, 5-6 in meno rispetto a quelli spettanti in base al riparto nazionale, mentre le coalizioni e liste maggiori ne hanno un numero maggiore rispetto a quello spettante in base al riparto nazionale. Ecco che scatta il meccanismo di compensazione dei seggi tra liste “eccedentarie” e liste “deficitarie”. Le liste “eccedentarie” cedono i seggi in più alle liste “deficitarie”. Dove li cedono? Nelle circoscrizioni dove hanno conseguito i seggi con i minori resti (rectius, con le minori parti decimali dei quozienti di attribuzione). Ma tali circoscrizioni non coincidono quasi mai con quelle dove le liste “deficitarie” hanno ottenuti i maggiori resti, possono essere circoscrizioni in cui hanno ottenuto, ad esempio, 20 mila voti e non quelle dove hanno ottenuto, ad esempio, 40 mila voti. È il cosiddetto effetto “flipper”. Un limite che dipende dal fatto che la legge ha imposto la compensazione dei seggi nella stessa circoscrizione per evitare lo slittamento dei seggi da una circoscrizione all’altra (nel sistema della prima repubblica non si vietava tale slittamento proprio per consentire ai partiti di ottenere i seggi dove avevano conseguito i migliori risultati).
Il problema di cui sopra si ripropone anche per il terzo riparto dei seggi, quello nei collegi plurinominali della stessa circoscrizione. Ma in questo caso, per le compensazioni, la legge privilegia il rispetto della graduatoria decrescente dei resti (rectius, della parti decimali dei quozienti di attribuzione), di ciascuna lista, comprese quelle minori. Ma inevitabilmente consentendo che qualche seggio possa slittare da un collegio all’altro della stessa circoscrizione e che pertanto due collegi plurinominali a cui sono stati assegnati, ad esempio, 6 seggi ciascuno, alla fine abbiano, rispettivamente, 7 e 5 seggi.
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