Senza disciplina di gruppo la democrazia parlamentare non può funzionare
di Stefano Ceccanti
L’intento del gruppo Pd Camera di riaffermare l’effettività delle norme già esistenti che prescrivono l’unità di voto coglie un punto di fondo, senza il quale anche la riforma elettorale e quella costituzionale sarebbero neutralizzate. A cosa servirebbe l premio di 340 seggi nella sola Camera che darebbe la fiducia al Governo se poi i suoi componenti potrebbero agire ciascuno come una monade?
Le forme parlamentari si basano soprattutto sui gruppi, quali devono assicurare coerenza alla loro azione. Non si può concepire l’Aula parlamentare come un insieme di atomi, ciascuno dei quali abilitato a negoziare col Governo perché, in tal modo, non ci sarebbe nessuna coerenza nel perseguire le politiche pubbliche, di cui poi assumere la responsabilità Ovviamente questa disciplina è strettamente collegata all’esercizio della democrazia: si può chiedere e ottenere disciplina se si assicura un confronto aperto. Spesso si tende però a dimenticare il rovescio di questa affermazione: i congressi di partito, le assemblee, non avrebbero senso alcuno se, alla fine, non vi fosse un dovere per la minoranza di adeguarsi alla maggioranza.
Contro queste consapevolezze si usano due argomenti, entrambi infondati. Il primo è quello per il quale in alcuni casi esteri si registrano dei dissensi. Tuttavia i dissenzienti stanno bene attenti a dosare i voti contrari in modo tale che l’esecutivo non perda comunque, come capitato in Germania sul voto del pacchetto Grecia. Per di più ciò non esclude, come accaduto in Grecia qualche giorno prima, che vengano applicate sanzioni ai dissenzienti, a cominciare dall’esclusione dal Governo da cui si dissociano. Il secondo è che si tornerebbe a un modello troppo rigido, al cosiddetto “centralismo democratico” dei partiti comunisti. In realtà in quei partiti le diverse posizioni di vertice erano nascoste agli elettori e al Paese e quindi l’indirizzo politico non si poteva formare con una contendibilità chiara delle posizioni e dei ruoli. Qui invece il problema non consiste affatto nel dissimulare le differenze, ma nel renderle compatibili col funzionamento del sistema. L’attuale Presidente della Repubblica non apparteneva a un partito leninista, anzi la Dc aveva dei tratti persino un po’ anarchici, ma dopo essersi dimesso da ministro contro la legge Mammì la votò poi disciplinatamente quando Andreotti mise la fiducia. Fuori da questo schema la democrazia parlamentare degenererebbe e probabilmente, nonostante le riforme, sarebbe destinata a revisioni ben più drastiche. Chi teorizza l’irresponsabilità dovrebbe pensarci per tempo.