I procedimenti fiduciari
Come previsto dalla Costituzione, nell’art. 92 secondo comma è il Presidente della Repubblica a nominare il Presidente del Consiglio e su proposta di quest’ultimo i ministri, che poi giurano. Le norme costituzionali vanno poi integrate con consuetudini e convenzioni (es. consultazioni che precedono l’incarico.)
Nella monarchia spagnola invece le consultazioni sono codificate nell’art. 99 della Costituzione e prevedono che il Re consulti le forze politiche.
In Italia l’ordine dell’iter di formazione del governo segue questi passaggi:
- Il Presidente della Repubblica incarica un Presidente del Consiglio
- Consultazioni con gli altri partiti
- Presidente del governo nominato, se le consultazioni hanno esito positivo
- Giuramento del Presidente del Consiglio (NB: dopo il giuramento si è formalmente primi ministri in carica, con potere sufficiente a ordinaria amministrazione)
- Fiducia parlamentare entro dieci giorni.
In qualche caso può esserci un incarico esplorativo: il Presidente del Senato in veste di supplente del Presidente incontra le forze politiche che compongono le camere per verificare una possibile maggioranza. L’ultimo caso ha riguardato Franco Marini nel 2008.
In Spagna il 24 e 25 ottobre ci saranno nuove consultazioni del Re, il quale emanerà un decreto di nomina/candidatura controfirmato dal Presidente della Camera, poiché un monarca non può compiere da solo degli atti che hanno natura politica, l’atto deve essere controfirmato dalla prima carica al di sotto del Re: questa nomina è da considerarsi solo una mera candidatura. A questo punto il 27 o il 28 ottobre il Presidente della Camera dovrebbe convocare le votazioni. Entro il 30 ottobre novembre la Camera deve eleggere un Presidente del Governo o sarà necessario tornare alle urne (per la terza volta in meno di un anno). Le votazioni previste sono due: la prima a maggioranza assoluta dei componenti (i componenti sono 350, bastano quindi 176 sì); la seconda invece prevede il quorum a maggioranza relativa, che i sì battano i no. È possibile che il secondo partito si astenga permettendo l’elezione del Presidente del Governo. Tutte le votazioni avvengono a scrutinio palese, il Presidente nominato tiene un discorso in aula e risponde agli interventi dei deputati prima della votazione. Dopo aver ottenuto la fiducia il Presidente torna dal Re che lo nomina. In seguito il Presidente propone la nomina dei ministri.
Tornando all’Italia, non esiste solo la fiducia ma anche la sfiducia, che può essere individuale. Per la prima volta la sfiducia individuale è stata applicata nel 1995 durante il Governo Dini (ex ministro tesoro del governo Berlusconi.) Il Governo Dini era sostenuto dalla strana maggioranza costituita da Centro Sinistra e Lega. Il ministro della giustizia Mancuso, espresso da Forza Italia prima che questa uscisse dalla maggioranza, era poco gradito alla maggioranza che sosteneva il governo. In Italia a differenza della Spagna il Presidente del Consiglio non può revocare i ministri. La maggioranza decise quindi di sfiduciare il ministro del suo governo. Il presidente della Repubblica Scalfaro revocò l’incarico al ministro prendendo atto della sfiducia votata dal Senato. Il ministro però fece ricorso alla Corte Costituzionale sostenendo che la sfiducia individuale non fosse prevista dalla Costituzione, e tra l’altro nemmeno nel regolamento del Senato. La Corte ha dato torto all’ex ministro motivando tale scelta tra l’altro con la considerazione paritaria delle due Camere. Le camere in Italia stabiliscono un identico rapporto fiduciario con il governo, la sfiducia individuale che era prevista solo dal regolamento della Camera è quindi applicabile anche al Senato.
In realtà la sfiducia individuale è stata utilizzata come sostituto funzionale del potere di revoca.
In Costituzione non è citata la previsione della questione di fiducia. Questa prerogativa però è stata riconosciuta implicitamente già per iniziativa del Presidente del Consiglio De Gasperi che la definì una “consuetudine”. Successivamente fu inserita nei regolamenti parlamentari. Non è possibile porre la fiducia in tutte le materie, nei regolamenti sono elencate le poche materie escluse. Ad esempio non è utilizzabile per modificare i regolamenti parlamentari. Nessun governo Italiano è caduto per una sfiducia dell’opposizione, due governi sono caduti per una mozione di fiducia respinta (Prodi I e Prodi II: 1998,2008). Tutti gli altri governi sono caduti per crisi extraparlamentari. La dottrina sostiene varie nozioni di crisi extraparlamentare: quella più rigorista sostiene siano tutte quelle crisi che non avvengono in seguito a mozione o questione di fiducia, altra dottrina sostiene invece riguardi i casi in cui le crisi nascono comunque da atti del parlamento, anche quando il governo finisca in minoranza su un suo provvedimento significativo. In questi casi non è obbligato giuridicamente alle dimissioni, però risulta difficile non si apra una crisi politica fino a spingere il governo alle dimissioni.
La questione di fiducia è usata di solito per evitare l’ostruzionismo. La fiducia inverte l’ordine di votazione, si vota il testo proposto dal governo. Saltano così tutti gli emendamenti. La fiducia però è applicabile a un solo articolo. Quindi l’intera legge viene compattata in un unico articolo con molti commi. I decreti, e soprattutto il così detto “Decreto Mille Proroghe” tendono a gonfiarsi anche del 50% rispetto al testo del governo. Ogni deputato cerca di inserire commi in commissione. Spesso poi viene posta la fiducia. In questo modo il governo fa approvare tutti i suoi commi dando in cambio ai parlamentari l’inserimento di altri commi. Tale modus operandi ha portato spesso a leggi molto eterogenee. Va detto che al di là della conversione dei decreti, la quale segue una corsia preferenziale, onde evitarne la decadenza ex tunc, le altre proposte di legge vengono inserite nel calendario dell’Aula dalla conferenza dei capigruppo rimanendo in attesa anche per anni. Nel caso in cui nella conferenza dei capigruppo non si raggiunga un accordo vi sono due previsioni diverse per ramo del parlamento: al Senato è l’aula stessa a stabilire il calendario, alla Camera invece se non c’è accordo decide il Presidente della Camera (come previsto dalla modifica del regolamento del 1997). Considerato che la prassi vuole, dal 1994, che la Presidenza della seconda camera sia affidata al partito della maggioranza più lontano dal partito del Presidente del Consiglio, la presidenza può condizionare fortemente il programma di governo.