“Le democrazie occidentali alla prova dei radicalismi identitari e dei populismi”. Resoconto della conferenza del 26 ottobre, presso la Sala del Refettorio della Camera dei Deputati. La giornata seminariale è stata curata dal gruppo di Coscienza e Libertà.
Dopo i saluti di rito da parte del direttore della rivista Coscienza e Libertà, Davide Romano, abbiamo ascoltato l’intervento introduttivo della Vicepresidente della Camera dei Deputati, On. Marina Sereni, la quale ha messo subito in contrapposizione il populismo alla democrazia liberale, in quanto esso rifiuta i controlli e i bilanciamenti istituzionali tradizionali della liberaldemocrazia. Inoltre – ha sostenuto l’On. Sereni – i “nazional-populismi” si affermano, ancora oggi, in tutta Europa, attraverso l’idea che si possa essere più ricchi senza gli altri, stando così meglio, senza difficoltà e paure, illudendosi quindi di avere maggiori possibilità di tirarsi fuori dai propri problemi eliminando la minaccia di cui l’altro è portatore. Questo, per la Vicepresidente, è in sostanza il messaggio che i populisti fanno arrivare ai contribuenti desolati, ai giovani ecc. Dunque alla base vi sarebbero cause socioeconomiche. Ma non sarebbero affatto da trascurare quelle politiche, che si declinano nell’invettiva antipolitica contro i partiti tradizionali e contro le istituzioni del sistema-stato. Ma oggigiorno esiste soprattutto il “nemico” sovra statale, combattuto a livello dialettico dai populisti attraverso la difesa della nazione rispetto all’invadenza del “super-stato” europeo (il cosiddetto antieuropeismo). In realtà – secondo l’On. Sereni – essi sbagliano sia l’analisi (quando danno, ad esempio, la colpa alla moneta unica), sia la terapia (uscirne). Purtuttavia certe visioni riscuotono successo in una vasta opinione pubblica attraverso una narrazione che sfrutta il sentimento di paura.
Vi è ad oggi – osserva Marina Sereni – una tangibile linea di separazione fra classi dominanti e classi popolari, fra altro e basso. Tant’è che Marine Le Pen, all’indomani delle amministrative francesi aveva dichiarato chiusa la distinzione fra destra sinistra, indicando come nuovo centro di lotta politica quello fra alto e basso.
La soluzione – conclude la Vicepresidente della Camera – può coincidere con politiche di welfare mirate, una maggiore continuità del processo di integrazione e di unificazione europeo, e il perfezionamento di una «democrazia governante», più vicina ai cittadini. In riferimento a quest’ultimo elemento, la riforma costituzionale – procedendo secondo lei in tal senso – acquisirebbe fondamentale importanza.
1° Sessione. Le democrazie occidentali e i radicalismi identitari.
- Margherita Boccali, Le narrazioni della paura.
La dott.ssa Boccali, antropologa e collaboratrice della rivista Coscienza e Libertà, citando anche il lavoro del filosofo svedese Lars Svendsen Le filosofie della paura, si è soffermata sull’aspetto “umano” (nel senso di naturale) dal quale i populismi da sempre traggono forza vitale, ossia la paura. Paura come reazione, per l’appunto, del tutto naturale, insita nella vulnerabilità della stessa vita umana. Ed ecco che ad oggi, parole come rischio, paura, emergenza, aumentano, oltre che nel nostro, all’interno del discorso massmediatico, facendo aumentare dunque nell’individuo quel sentimento di vulnerabilità crescente. Tutto ciò comporta inevitabilmente un aumento strutturale delle misure di sicurezza, le quali da un lato ci rassicurano ma dall’altro aumentano nostre paure. Secondo Svendsen, per l’appunto, la lotta alle cause della paura produce nuova paura. Sono fenomeni che si autoriproducono.
Infine, a sostegno del suo discorso, la dott.ssa Boccali, ci ha mostrato un video nel quale sono raccolte le varie narrazioni dei news media televisivi, in merito alla costruzione di “muri”, reali o metaforiche (p.es. Francia-Inghilterra, Ungheria, Macedonia) e a fenomeni migratori.
- Loris Zanatta. Il populismo e l’eterno ritorno dell’utopia unanimista.
Vi sono una infinità di modi per definire il “populismo”. Questo termine ha innanzitutto un potere evocativo, molto simile a quello di utopia, che in questo caso è, appunto, unanimista. Si tratta cioè di considerare che nell’immaginario del capo ci sia l’idea di creare da zero (o ri-creare) un sentimento comune, recuperando l’unanimità perduta (ri-crearla). Così ci si rende conto che il populismo, in realtà, è animato da spirito redentivo, quando si inneggia alla rivoluzione. Rivoluzione è un termine secolare che richiama il concetto religioso, più antico, di redenzione. Rivoluzione è dunque sinonimo di una redenzione secolarizzata. E l’unanimità una sorta di paradiso terrestre del populismo. Ricreare con atto rivoluzionario è come redimere dal peccato.
Inoltre, l’identità è un termine chiave del populismo, ma lo è in chiave ideologica (identità ideologica). L’identità può essere infatti ideologica, religiosa, nazionale, territoriale; e in virtù di questa si può andare a caccia di unanimità. Il minimo comune denominatore di queste esperienze possibili è il diversificarsi dall’altro – anche se a livello di comunità, trascendendo dall’individualità – secondo uno schema manicheo.
Perché questi populismi ritornano sempre con straordinaria forza, nonostante le esperienze storiche? E perché lo fanno oltretutto con una certa dose di popolarità? Perché traggono forza da processi di disgregazione (e uno ne è in corso ad oggi). I populismi nascono da crisi che portano con sé disgregazione di legami, identità, comunità ecc. C’è da dire anche che senza modernità non c’è populismo (storico legame conflittuale fra i due fenomeni). Ecco quindi che mercato, immigrazione, media, minigonne, internet etc., rappresentano per il populismo malattie da debellare, contro le quali offre una medicina portentosa, e poco importa che esse siano, storicamente, empiricamente insufficienti. La narrazione populista, Intrisa di “spirito religioso”, pur secolarizzato che sia, si insinua continuamente nelle società.
Ma il prof. Zanatta conclude il suo intervento non dichiarandosi pessimista, nonostante la riconosciuta potenza dell’immaginario populista. Si tratta piuttosto, ci ha detto, di un ottimismo disincantato che nasce dalla sua professione di storico. «Davanti a fenomeni come innovazione tecnologica, globalizzazione emigrazione etc., non mi stupisco che vi siano effetti legati al populismo. Ma le nostre istituzioni democratiche e il nostro ethos liberale sembrano essere in grado di resistere; e questa ondata populista ha avuto un impatto relativamente limitato sulle istituzioni attuali».
- Stefano Ceccanti. I sistemi costituzionali europei alla prova dei populismi.
Secondo il professor Ceccanti, i sistemi costituzionali europei non funzionano bene. Questo aspetto avrebbe un certo peso specifico all’interno del fenomeno di esplosione dei populismi contemporanei.
Vi è, innanzitutto, una scissione concettuale sbagliata fra il luogo dove si crede di poter prendere decisioni in maniera esclusiva (lo Stato nazionale) e quello dove in realtà si decide concretamente (l’Unione Europea). Gli Stati Uniti d’America – ha osservato Ceccanti a sostegno della sua tesi – non sarebbero gli stessi se i singoli stati avessero sin dall’inizio ignorato l’assetto federale, nel rispetto di cospicue cessioni di sovranità. Questa mancanza di una completa considerazione della dimensione europeista, fa sì che non vi sia, nel nostro continente, un efficiente motore europeo capace di mettere in campo investimenti, che potrebbero avere senz’altro delle ricadute positive sulla società, scongiurando ulteriori populismi.
È stato fatto poi un ragionamento riguardo ai partiti tradizionali, i quali – ha fatto notare il prof. Ceccanti – hanno oggi rendimenti minori di quelli che l’elettore si aspetterebbe. Ciò aiuta non poco l’avanzata dei partiti populisti. È come se i partiti, e la politica in generale, abbiano paura a procedere “secondo coscienza” per non suscitare sentimenti che favoriscano populismi. Ciò risulta essere vero soprattutto in questa congiuntura europea, farcita peraltro da numerosi appuntamenti elettorali. Per capire meglio questo punto, il prof. Ceccanti, attivando così un frame familiare nel pubblico, ha parlato di atteggiamento “doroteo” di Hollande e Merkel, leader di due Grandi europei, che di fatto è come se rimbalzassero continuamente determinati problemi (non dimentichiamo che Germania e Francia si avvicinano a importanti vigilie elettorali nazionali). Dunque da qui ancora una volta si nota come, senza un governo europeo gli stati membri girino a vuoto. Ma non solo: essi risultano essere «obsoleti – ha aggiunto Ceccanti – in quanto da soli non riescono a produrre granché».
Tornando sul funzionamento dei sistemi costituzionali europei, Ceccanti ha precisato che alcuni funzionano meglio rispetto ad altri. Quelli che non funzionano bene, e che dunque alimentano ancora di più populismo e antipolitica, sono quelli che praticano abbastanza frequentemente esperienze di “grandi coalizioni”. Ciò porta inevitabilmente alla nascita o al rafforzamento di partiti o movimenti anti-sistema. A rimetterci di più, nella compagine di una grossa coalizione, sarebbero le componenti minori o subalterne; mentre riuscirebbero a resistere a una corrosione di consensi e popolarità soltanto le componenti più grandi, ad esempio il partito di riferimento del leader governativo. Il caso emblematico sarebbe quindi quello della cancelliera Merkel, con una CDU che resiste, mentre la componente SPD perde consensi. Un altro caso empirico sembrerebbe essere la Spagna, con un PSOE davanti a un vero e proprio bivio. Ma non bisogna guardare ai populismi come riflesso della politica tradizionale solo in Europa. Anche nel secondo periodo dell’ultimo mandato di Obama vi è stata, di fatto, una forma di grande coalizione. E ciò, secondo Ceccanti, non è estraneo all’ascesa di Donald Trump.
Quindi, riassumendo, una grande coalizione – secondo le tesi del relatore – è sinonimo di crescita dei partiti e dei movimenti anti-sistema, e delle loro chance elettorali.
Il professor Ceccanti ha concluso proponendo delle vie d’uscita, articolate in due punti fondamentali:
- Riuscire rapidamente a superare questo infelice periodo elettorale in Francia e in Germania, riallineando poi i grandi paesi europei attraverso “una nuova Ventotene” che possa aprire la strada ad una Europa a due livelli (oltre il binomio Euro-UE) consistenti in integrazione politica da un lato e integrazione economia dall’altro. Solo così avremmo un governo europeo in grado di risolvere i problemi che solleva.
- Tornare ad una competizione politica fra destra e sinistra.
Prof. Massimiliano Panarari. Populismi mediatici e il caso di D. Trump.
L’intervento si è sviluppato in una dimensione comunicativa e massmediologica.
il populismo sia uno stile comunicativo a sé stante.
È dagli anni Cinquanta, con Eisenhower, che si afferma il postulato secondo cui “il presidente è un prodotto”. Ciò è vero per tutti il candidato, sia democratici che repubblicani. Fino ad arrivare a Donald Trump, rispetto al quale il concetto di prodotto non sarebbe totalmente applicabile. È sì prodotto se lo si considera secondo i canoni della pubblicitaria, ma quanto alle caratteristiche della personalità che propina al pubblico si tratterebbe piuttosto di un uomo autoprodotto (self made man. Grazie anche al successo, a suo tempo, del reality show The Apprentice, che lo vide assoluto protagonista, Trump ha avuto un impatto particolare sul cittadino americano, che vede il lui l’immagine del self made man, contrapposto dunque a una classe politica vista invece incapace di lavorare. Donald Trump nell’immaginario che abbraccia in buona porta il suo elettorato, rappresenta quindi tale contrapposizione.
Il tipo di retorica in gioco è una retorica post e anti illuminista, post e anti razionalista, che gli elettori però colgono come normale, e assimilano. E il paradosso del fenomeno Trump sta proprio nel fatto che il personaggio riesce a bilanciare aspetti irrazionalisti, quasi fanciulleschi, agli attributi tipici del candidato repubblicano, di padre severo, attivando quei frame secondo i quali il presidente è soprattutto il comandante in capo.
Un altro elemento degno di nota, evidenziato dal relatore, è lo sdoganamento, la demolizione, negli Usa, del politicamente corretto, graduale alla discesa in campo di Trump. Se si pensa che la sua candidatura inizialmente era stata raccontata da alcuni giornali, inserendola nelle pagine relative allo spettacolo, ciò appare ancor più vero. Il tabu breaking è stato completato: ad oggi molti giornali mainstream hanno inserito parole, e si sono occupati di temi, che un tempo sarebbero rimaste fuori dalle loro pagine. Ciò dall’altro lato rappresenterà per i democratici un problema legato alle pratiche linguistiche e discorsive.
Ma quali sono le caratteristiche di Trump secondo il prof. Panarari? L’uso di iperboli facendo news making. Ad esempio quella del muro Usa-Messico, che è piuttosto una cementificazione identitaria dell’elettorato. Trump ha dei punti in comune rispetto alle offerte comunicative classiche dei populismi:
- Stile: iper-semplificato, che vede la complessità come un non problem solving oltre che noiosa (anti-intellettualismo).
- Ideologia: quella della gente comune. Idea storica del popolo come luogo ideale di legittimità e come portatore di innocenza (ricollegabile ai temi del prof. Zanatta)
- Retorica: basata su uno storytelling imperniato dalla identificazione di un nemico comune, secondo uno schema manicheo noi-loro (élites-popolo, sistema-antisistema etc.).
- Organizzazione: evocazione della democrazia diretta, ma convivente con l’evocazione del leader salvifico.
Trump è quindi il prodotto perfetto che riassume questi elementi. Ha avito comunque degli inciampi che probabilmente mobiliteranno quelli che avevano deciso di restare a casa.
Intervento dell’On. Lia Quartapelle.
Otto anni fa con la vittoria di Obama ha vinto “l’audacia della speranza”. La presidenza di Obama oggi è non a caso al centro dell’invettiva populista. Dopo otto anni quindi l’intuizione di Obama è più che mai attuale: oggi è ancora più difficile presentarsi come forza politica che spiega e articola un discorso positivo sul tema del cambiamento e del futuro. Proprio il populismo, si articola su aspettative frustrate, su un senso di un futuro che è negato alle persone. Non esistono oggi soltanto disuguaglianze orizzontali ma anche in prospettiva del futuro, ed è questo che alimenta forse maggiormente un sentimento opposto a quello dell’audacia della speranza. C’è infatti una frattura tra le forze politiche europee che porta a uno scontro fra l’idea virtuosa di unione per il futuro e quella di chiusura per paura del futuro. Emblematico è il caso della brexit che ha visto vittorioso uno spirito non-europeo, di difesa di quelle aspettative mancate, tradite.
È necessaria dunque l’integrazione; sono necessarie politiche europee in tal senso, in prospettiva anche del mercato del lavoro. La famiglia progressista e quella popolare-conservatrice non riesce oggi a trovare una sintesi europea per affrontare problemi che alimenta di fatto il populismo. È un momento di impasse che va superato.
2° Sessione. Le libertà e i diritti come indicatori qualitativi delle democrazie
- sa Raffaella Di Marzio:
In Europa vi è problema di religione e credo. L’Europa si impegna a far accettare principi e linee guida di diritti umani quali la libertà di manifestare la propria religione che è un diritto umano universale, la tutela di questi diritti deve essere uguale per tutti. I singoli Stati devono svolgere un’opera di monitoraggio e prevenzione della discriminazione.
Da un meeting dell’OSCE, alcune organizzazioni non governative hanno segnalato quattro violazioni, tra le più eclatanti:
Russia. Legge Yarovaya: ha colpito tutte le realtà ecclesiali che non sono da ricondurre sotto le chiese ortodosse russe, limitando il lavoro dei missionari e proponendo leggi di anti-estremismo contro le comunità religiose minoritarie con pene molto severe previste dalla legge.
Ungheria. Legge fondamentale: in vigore dal 2011, viola gli standard della CEDU e la Dichiarazione di Helsinki. Nel caso ungherese la particolarità sta nel fatto che il Parlamento può scegliere le comunità religiose in base alla loro collaborazione con lo stato; da questo ne è derivato il fatto che duecento comunità religiose hanno perso il loro status legale e sopravvivono in clandestinità e senza benefici fiscali.
Francia. Il Primo ministro Valls ha affermato che in Francia non esiste alcuna forma di setta, in realtà il governo francese finanzia al 100% delle ONG che identificano e segnalano questi gruppi. Dal 2009 il governo francese ha istituito un’autorità di polizia finalizzata in caso di abusi settari. Dalla ricerca di Palmer si evince che le minoranze religiose vengono ostracizzate e sono soggette a controllo sociale.
Yoga e spiritualità alternative. È stata rilevata in Europa una violazione trasversale di tutte le persone che praticano spiritualità di tipo yoga e/o all’esoterismo. Vengono poste restrizioni nello scegliere un determinato cammino spirituale. Infatti molte credenze e forme spirituali vengono considerate come criminali in quanto diverse o contrarie al cristianesimo, religione più diffuso in occidente.
Secondo la relatrice non vi sono difficoltà a recepire il concetto di libertà, non è in discussione. Ciò che è in discussione è il concetto di parità. Tra cristianesimo e le altre religioni non vi è un’immediata parità. L’Italia giace in una condizione molto arretrata e di squilibrio tra religioni, da questo punto di vista essa si trova ancora a sottostare agli accordi del 1929.
Quella delle linee guida è una sfida e l’Italia assieme all’Unione Europea dovrebbero collaborare per una maggiore integrazione delle diverse libertà religiose.
- Pasquale Annichino. La libertà religiosa nella politica estera dell’UE.
In collegamento via Skype dagli Stati Uniti, New York.
Collegandosi con i concetti espressi nell’intervento precedente, il Prof. Annichino afferma che vi sono continue violazioni di minoranze religiose nel mondo con annesse restrizioni particolarmente significative. In alcuni casi si può parlare di genocidio, basti pensare alle violenze in Siria e Iraq. Il rapporto delle Nazioni Unite del 2016 presenta parole molto severe nei confronti dell’ISIS. Da qui si delinea uno scenario di background sul quale si rapportano le associazioni.
L’Unione Europea presenta per il relatore uno scenario abbastanza grigio. Possono essere previste determinate violazioni?
Nel giugno del 2016 viene pubblicato un rapporto interparlamentare cui si rileva l’assenza di coerenza tra i programmi dell’Unione Europea e le persone che se ne occupano. Ma questo per il non deve sorprendere secondo il relatore.
Un’azione diplomatica, per essere incisiva, richiede più tempo. Alcuni passi in avanti sono stati fatti con la nomina di Jan Figel a inviato speciale per promozione libertà religiosa e di coscienza, ruolo fino a poco tempo fa sconosciuto in Europa.
Il Prof. Annichino sottolinea come le azioni dell’Unione Europea siano collegate con quelle degli Stati Uniti: agiscono in sinergia nello scenario internazionale.
Comunque anche in Paesi in cui non sono presenti molte violazioni religiose vi sono difficoltà per una piena attuazione del diritto di libertà religiosa. Questo costituisce un problema di coerenza per la reale liberà religiosa. La libertà religiosa è un reale diritto di tutti e per tutti?
Annichino conclude affermando che gli sviluppi istituzionali in Unione Europea per la libertà religiosa sono positivi ma “creare istituzioni senza un vero accordo generale rispetto al diritto rischia di creare delle scatole vuote”.
- Marco Ventura. Il diritto di culto nella cornice dei diritti di cittadinanza dell’UE.
A fronte di un progetto politico che è molto complesso vi è una dinamica che non sempre è ispirata ad al progetto. Un esempio è rappresentato dalla vigilia di due decisioni che la Corte Europea dovrà dare in merito al fatto che il velo costituisca elemento valido per licenziare una donna dal proprio lavoro.
Il caso belga e il caso francese sono stati presentati alla Corte con due opinioni diverse e con due conclusioni diverse: l’avvocato tedesco ha affermato che non vi è discriminazione mentre l’altro avvocato afferma che la discriminazione sussiste per il fatto che il velo è stato causa determinante del licenziamento della donna. Da qui nascono le difficoltà.
Per questo è sorta la necessità di decidere delle linee guida sulla protezione e la promozione della libertà di religione o credo, infatti l’Unione Europea si definisce imparziale e non allineata con alcuna specifica religione o alcun credo, si definisce laica a beneficio delle sue relazioni internazionali.
In questa dinamica la politica estera è una grande novità. L’autore afferma che l’Unione Europea non può agire da sola se non si raccorda con il Consiglio d’Europa.
Nella prima parte della relazione il Prof Ventura ha analizzato il tema della cittadinanza senza discriminazione, ora guarda alla cittadinanza per coesione sociale e sviluppo. Per questo, evidenzia tre poli fondamentali:
- Educazione (Jan Figel, esperienza di governo europeo sull’educazione alla religione, essenziale per le politiche future dell’unione europea. Sviluppare Toledo).
- Sicurezza: l’organizzazione per la sicurezza e l’organizzazione in Europa sta preparando linee guida su sicurezza e religione in Europa. Non bisogna isolare il fattore religioso ma bisogna vederlo in connessione con gli altri fattori e rifiutare la teoria della strumentalizzazione. La libertà religiosa dev’essere vista come positiva per la sicurezza, aiuterebbe a costruire la sicurezza.
- Dialogo: inter-religioso, che occupa sempre l’agenda delle istituzioni europee. In alcuni casi bisogna evitare che il governo utilizzi il dialogo inter-religioso per imporre la propria agenda o un’emergenza di sicurezza.
Bisogna pensare a dei cittadini uguali difronte alla religione.
- Paolo Naso. Le libertà civili e politiche nell’Europa del pluralismo etnico e religioso.
Come costruire Unione Europea con nuovi cittadini europei o nuovi europei?
Polis di ordine generale: l’integrazione deve essere vista non come mera assimilazione ma accoglienza.
Per il Prof. Naso il punto chiave sta nell’affermazione di praticare culture e religioni, nella laicità del pluralismo non nel divieto.
Coinvolgere gli immigrati nel processo democratico. Partecipazione politica, diritto di voto agli immigrati, questo proponeva l’Unione Europea nel 2004. Nel 2004-06 l’Italia era ancora arretrata. Oggi, 12 anni dopo vi è stato un notevole cambiamento.
Ci troviamo difronte a una doppia stratificazione migratoria: le migrazioni consolidate e le nuove migrazioni. Le prime, sono molto positive per il sistema italiano, infatti moltissimi immigrati vengono inseriti in sistemi produttivi. Questo tipo di immigrazioni non sono oggetto di propaganda populista. Queste persone portano al 3% del PIL. Il problema è costituito dalla seconda che non risponde al criterio canonico e classico di immigrazione. Il modello che ci troviamo a fronteggiare ai giorni nostri è l’espulsione e il tracollo geopolitico, il fallimento di interi stati e la destabilizzazione. Difronte a questo tema, la risposta delle grandi coalizioni è debole. Da questo punti di vista sarebbe corretto proporre un’alternanza politica piuttosto che centralismo politico determinato dalle grandi coalizioni.
L’Italia sta lanciando un segnale ad una Europa che non risponde sui corridoi umanitari.
Il docente auspicherebbe un richiamo forte a culture politiche, la forza dei populismi sta nel vuoto lasciato dai partiti politici. Bisogna costruire culture politiche in cui c’è una esigenza della governance globale.
Questa è l’unica proposta effettiva ed efficace per poter far riprendere la politica da questo periodo di stallo.
Conclusioni.
- Hanz Gutierrez:
Il relatore inizia la sua relazione ponendo l’accento sulla differenza e allo stesso tempo sulla vicinanza dei concerti di populismo e individualismo.
Populismo e individualismo, pur combattendosi si mantengono in vita insieme. il bene dei populisti è solo quello di una parte, come quello dell’individualismo, di una parte ma non di tutti.
Il futuro di tutti non può essere identificato a quello comunitario o a quello individualista, in nessuna delle sue gradazione. Tutti e due sono futuri settoriali e non inclusivi.
Il futuro di tutti non può essere quello comunitarista né quello individualista. Chi potrà garantire il futuro. Non la politica né religioni che sono parte del problema e non della soluzione. La lotta per un futuro nuovo deve passare da una rifondazione culturale. Questo futuro culturalmente possibile se inteso come: futuro come dono e futuro inteso come futuro delle persone. Il primo non va atteso ma va pianificato. Quello che viviamo oggi è un futuro frutto di indagini, ma così potrà essere portatore ancora di speranza? Secondo Kosselleck no, questo è un futuro passato, non apre nuovi orizzonti. Strumento di questo futuro vecchio sono le novità tecniche.