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Lezione 29

 

Oggi a lezione abbiamo analizzato i risultati elettorali del referendum costituzionale. Abbiamo avuto la fortuna di farlo con alcuni ricercatori della Fondazione di ricerca Istituto Carlo Cattaneo (cattaneo.org), avendo a disposizione, in anteprima, dei dati ancora inediti, i quali sono stati poi diffusi in giornata alle varie testate giornalistiche e pubblicati poi su www.cattaneo.org

 

Il primo aspetto affrontato è stato quello relativo all’individuazione delle ragioni di voto degli elettori alla base della consultazione referendaria. Ci siamo chiesti, cioè, se si sia trattato di un referendum davvero costituzionale, di merito, oppure se sia stato un voto caratterizzato da altri elementi. Lo abbiamo fatto con il dott. Marco Valbruzzi, il prof.. Salvatore Vassallo e il Prof. Piergiorgio Corbetta.

 

La risposta sembra tendere verso la seconda ipotesi. Infatti, i dati raccolti dai ricercatori dimostrano attraverso tre indicatori, come le motivazioni che hanno spinto gli elettori alle urne sia stata soprattutto di carettere sociale, al di là di quelle politiche (che pure ci sono) di cui tanto si parla facilmente. 1) Il No si è imposto con percentuali in maniera direttamente proporzionale alla distanza dal centro verso le periferie, e inversamente proporzionale in base al reddito mediano della cittadinanza nelle diverse sezioni elettorali; 2) Nelle sezioni, al diminuire dell’età media aumenta la percentuale del No (fattore anagrafico); 3) Maggiore è il numero degli immigrati in una sezione, maggiore è stata la percentuale del No. I dati che hanno portato a questo tipo di inferenze sono relativi alla città di Bologna. Tuttavia il discorso può essere tendenzialmente valere anche per gli scrutini di Roma e Napoli.

 

Il secondo aspetto ringuarda l’analisi dei flussi elettorali, prendendo come benchmark i flussi delle elezioni politiche del 2013. In questo referendum come si sono comportati gli elettori dei tre principali partiti delle elezioni politiche del 2013? PD: in media il 70-75% avrebbe votato Sì mentre il 20-25% (al sud anche il 40%) si sarebbe orientato sul No. PDL: in media, intorno al 60% avrebbe votato No e il resto si è diviso fra i Sì e gli astenuti; M5S: oltre il 90% avrebbe votato No.

 

Da queste rilevazioni risulta quindi che gli elettorati dei partiti tradizionali – PD e PDL-FI – si sono sfaldati rispetto a un M5S che risulta maggiormente compatto, come del resto anche la Lega Nord. Tuttavia, il partito di Berlusconi sembra sorprendentemente resistere rispetto alle previsioni, seppur vero che il 40% del suo elettorato avrebbe deciso di non assecondare le indicazioni del partito, astenendosi o votando Sì. Inoltre, secondo il Prof. Corbetta, gli astenuti del 2013 avrebbero confermato la propria astensione anche in questa tornata referendaria.

 

Il Prof. Corbetta ha sottolineato poi come anche nel 2013 la somma dei partiti che hanno sostenuto il No in quest’ultimo referendum rappresentasse anche allora il 60% degli elettori. L’elettorato sembra quindi meno fluido di quanto si pensasse anche alla luce delle elezioni europee del 2014. Anche a questo proposito sono state scelte come elemento comparativo le politiche del 2013; le quali  hanno rappresentato il momento fondatotore del sistema partitico e politico attuale (che è restato per diversi aspetti fondamentali sostanzialmente immutato, a giudicare dai numeri che oggi abbiamo analizzato).

 

Infine, ribadendo il fatto che si è trattato di un voto sociale piuttosto che politico (più precisamente, il voto sociale ha interagito con quello politico), il Prof. Corbetta ha sottolineato come vi sia stato un «grandissimo successo del Movimento 5 Stelle, l’unico partito che riesce, dal 2013, a interpretare meglio, agli occhi degli elettori, il disagio sociale».

 

 

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