In Diario

Intervento del Presidente della Repubblica

Giorgio Napolitano

XXX Assemblea Annuale dell’ANCI

Firenze, 23 ottobre 2013

 

 

Signor Presidente del Consiglio,

Signor Presidente dell’Anci,

Signor Sindaco di Firenze,

Signor Presidente della Regione Toscana,

Autorità civili e religiose, nazionali e locali,

innanzitutto un grazie a coloro che sono già intervenuti per le parole così cordiali che mi hanno rivolto e in particolare un grazie a te, caro Sindaco Renzi, per le tue parole a nome di Firenze; e non fa niente che da ragazzo io tifassi per Coppi!

Sono davvero lieto di essere qui con voi accogliendo il cordiale invito del Presidente Fassino a una partecipazione non formale al vostro Congresso. Ho ritenuto di poterla intendere come occasione per svolgere alcune considerazioni di attualità che si proiettino anche in un orizzonte più lungo. Considerazioni attinenti alle mie funzioni istituzionali, rispettando le prerogative del Presidente del Consiglio cui spetta dare, da questa tribuna e nella continuità di uno stretto rapporto tra governo e Anci, risposte concrete a quesiti e sollecitazioni che il Presidente Fassino ha prospettato con spirito costruttivo nella sua relazione.

Spero che le mie considerazioni di carattere istituzionale risultino egualmente di vostro diretto interesse e aggiungo che le svolgerò con la libertà che solo mi può consentire il parlare alla più grande Assemblea di eletti dal popolo e che mi può consentire l’affetto che ho colto nel vostro saluto.

Mi limiterò comunque ad offrire qualche spunto di riflessione sul ruolo dei Comuni nella fase attuale di faticoso passaggio che il paese sta vivendo e nella prospettiva di cambiamento e di nuovo sviluppo cui esso deve tendere.

Ma c’è un punto di partenza che non posso sottacere perché corrisponde ad un mio convincimento profondo : sul piano istituzionale, i Comuni, anche e ancor più i piccoli Comuni, costituiscono il fronte più vicino ed esposto alle sfide della quotidianità, a tutte le manifestazioni di malessere sociale e civile e alle istanze che ne scaturiscono, così come alle emergenze naturali e ambientali che scoppiano improvvise o che si è nel tempo mancato di prevenire come sarebbe stato possibile e giusto. E occorre forse che rievochi anch’io il caso limite del piccolo Comune di Lampedusa e del suo Sindaco di fronte all’impatto di eventi drammatici e, ben si può dire, tragici di matrice mondiale e di portata europea?

Insomma, desidero dirvi che mi sento vicino a voi Sindaci di ogni parte d’Italia, alla vostra fatica e al vostro affanno, alle difficoltà dell’azione immediata che non può mancare da parte vostra e dello sforzo di progettazione cui non potete rinunciare.

E vengo ai due temi su cui mi tratterrò, ma già prevedo che per il secondo mi rimarrà assai poco tempo.

1) I Comuni e in loro nome i Sindaci come promotori e forti assertori di quel rinnovamento istituzionale che dopo una lunga serie di omissioni e ritardi ancora fatica a prendere corpo, cozza contro ostacoli e resistenze molteplici, richiede apporti ulteriori di chiarificazione e, non meno, di mobilitazione collettiva.

2)I Comuni come luogo cruciale di aggregazione tra i cittadini, di recupero della partecipazione e della fiducia politica, e penso al contributo che di qui può venire per suscitare un rinnovato interesse di base, nei prossimi mesi, per una grande e decisiva causa, come quella dell’unità e dell’iniziativa europea.

Sul primo tema (ben presente nella relazione del Presidente Fassino anche con molti interessanti contributi innovativi), mi proposi, io stesso, come si ricorderà, il 30 marzo scorso, di favorire un primo sforzo ricognitivo e propositivo con la costituzione di un gruppo di lavoro, destinato a suggerire, in breve giro di tempo, una prima traccia di orientamenti in materia di riforme istituzionali in vista della formazione di un governo, in quel momento ancora in fieri a oltre un mese di distanza dall’elezione del nuovo Parlamento.

L’apporto, già significativo, di quel ristretto gruppo di lavoro, è poi confluito nella più impegnativa ricerca affidata dal governo Letta all’ampia e qualificata “Commissione per le riforme costituzionali” che ha rassegnato la sua Relazione finale poco più di un mese fa. E tra non molto la parola passerà al Parlamento, allo speciale Comitato espresso dalle Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato, facendo così entrare in una fase decisiva il percorso procedurale e temporale già concordato e in via di perfezionamento con l’approvazione di norme marginalmente modificative – a fini di snellimento dell’iter – dell’art. 138 della nostra Carta.

Dirò subito come la tematica delle riforme costituzionali si intrecci in modo essenziale con quella delle autonomie locali di vostro più diretto interesse. Ma soprattutto essa fa tutt’uno con il discorso sulle condizioni di un rilancio dello sviluppo, e di un più degno e dinamico futuro, per l’Italia, per la nostra nazione nel contesto europeo e mondiale. Abbiamo un bisogno drammatico di liberarci da contraddizioni antiche e recenti, da radicate e paralizzanti pastoie, che impediscono un più ampio dispiegarsi di energie e potenzialità che il nostro paese pure possiede e mostra di possedere. Abbiamo bisogno di forti cambiamenti, oggettivi e soggettivi, di strutture, di indirizzi politici, e insieme di mentalità e di comportamenti.

E tra le contraddizioni e le inefficienze di cui liberarci, ci sono quelle istituzionali. Perché lì risiede una non marginale, ma pesante concausa della stagnazione, della perdita della capacità di crescere e di competere della nostra economia, con le conseguenze provocate o messe a nudo dalla crisi di questi cinque anni, in primo luogo – quel che più vi preme e che tutti ci assilla – l’impennarsi della disoccupazione, il cronicizzarsi di un fenomeno di scarsa, fragile, scadente occupazione per i giovani.

Il tema delle riforme istituzionali e costituzionali è dunque ormai ineludibile. Non se ne può più discutere a vuoto. Non ci si può più girare attorno. C’è l’occasione, oggi, in questo 2013-2014, di giungere a delle conclusioni valide, più o meno comprensive di molteplici  necessità : ed è un’occasione da non sprecare, se non vogliamo condannarci a un riflusso pessimistico senza rimedio, e compromettere anche quel che si sta facendo e si deve ancora  fare sul terreno delle politiche di crescita e di sviluppo economico-sociale.

E allora non si possono giustificare e subire a tale proposito posizioni difensive e conservatrici ; bisogna rispondere al visibile coagularsi di posizioni di ogni provenienza che confluiscono in un fronte di resistenza conservatrice, ben al di là di osservazioni e controproposte di merito. Bisogna far valere col massimo sforzo argomentativo e persuasivo le ragioni e le proposte del cambiamento istituzionale e costituzionale. E faccio appello, cari Sindaci, cari rappresentanti dei Comuni d’Italia, al vostro apporto in questo  senso : un apporto fondato sulla vostra esperienza di governo, sul vostro rapporto con i cittadini, sulla vostra visione dell’interesse nazionale.

E lasciate che vi dica qualcosa di personale per motivare ulteriormente l’accento forte, anche polemico, che pongo su questo tema. Sono stato, in tutto il lungo corso della mia attività politica e istituzionale – nelle diverse ottiche della dirigenza di partito, dell’opposizione parlamentare, e infine dell’impegno non più di parte in funzioni di guida istituzionali – sempre un convinto e appassionato assertore della Costituzione repubblicana. Dei principi, dei valori, degli indirizzi, sanciti nella prima parte della Carta, ho continuato ad essere, e sono stato più che mai da Presidente della Repubblica, orgoglioso portatore ; e ho assolto al mandato d
i garantire equilibri istituzionali riformabili ma non arbitrariamente alterabili.

Peraltro, attraverso discussioni e confronti che nacquero – ne fui testimone e partecipe – in Parlamento esattamente trenta anni fa con una prima Commissione bicamerale per le riforme, e vivendo le esperienze del governo delle istituzioni repubblicane, sono giunto alla convinzione che ormai per far vivere e condividere quel magistrale quadro di riferimento che è la prima parte della nostra Costituzione, non si può ulteriormente mancare  di rivederne la seconda parte, le norme – già nate con riconosciuti punti deboli – relative all’ordinamento della Repubblica.

E vengo a quel che più direttamente vi tocca : la revisione, la riforma dell’architettura istituzionale, una riforma che intervenga sia sulle istituzioni apicali, Parlamento e governo, sia sul sistema delle autonomie regionali e locali, in un intreccio che appare chiaramente inscindibile. La cosa migliore è in questo momento partire  – in un dibattito che auspicabilmente si sviluppi in profondità, anche attraverso la vostra iniziativa – dalle valutazioni e proposte, aperte peraltro a diverse opzioni, presentate dalla relazione della Commissione che ho già richiamato. Essa affronta anche la revisione del testo attuale del Titolo V della Carta : un caso speciale di riforma della riforma, che a distanza di dodici anni si impone.

Non si tratta di “tornare indietro”, si sottolinea in uno degli “approfondimenti” allegati alla relazione (quello del prof. Caravita) “né tantomeno di essere antiregionalisti”, ma “di concepire una riforma che si muova veramente nell’interesse della collettività nazionale nel suo essere inserita in un processo di federalizzazione europea“. E ciò tenendo conto di un concitato intensificarsi in sede europea – sotto la pressione della crisi di questi anni – dei rapporti di integrazione tra gli Stati nazionali, in una prospettiva incerta e controversa di costruzione di un’Europa federale. L’intreccio tra questo processo e lo sviluppo del filone federalistico all’interno degli Stati si è fatto più problematico, e ha condotto ad esempio alla riforma del federalismo tedesco nel 2006.

Quel che in particolare è accaduto in Italia si può – secondo l’”approfondimento” del prof. Augusto Barbera – leggere come una “caotica sovrapposizione di discipline statali e regionali” con grave danno per interi settori dell’economia oltre che per la certezza del diritto. Di qui la necessità – piuttosto che denunciare una volontà di “ricentralizzazione” che sarebbe prevalsa e quasi auspicare il ristabilirsi della situazione preesistente –  la necessità, dicevo, di operare incisive revisioni di alcuni criteri ispiratori del Titolo V come quello della ripartizione delle competenze per materia. Si suggerisce di puntare invece sulla “distinzione delle funzioni in relazione ad obbiettivi” e di rafforzare un’efficace cooperazione entro il contesto nazionale unitario che è lo Stato, quello Stato così infelicemente collocato nella dizione attuale dell’articolo 114.

Aggiungo, di mio, che vedo in questo contesto di rinnovata cooperazione nel comune interesse nazionale, anche le recenti innovative proposte del governo per una politica di coesione territoriale, affidate anche all’Agenzia di nuova costituzione e finalizzata a un impiego finalmente pieno, razionale, produttivo delle ingenti risorse dei Fondi europei specie nel Mezzogiorno. Mi auguro che a questa visione, cui vanno associati i Comuni,  cooperino le Regioni, evitando approcci autoreferenziali e dispersivi. Così come vedo nello stesso contesto di rinnovata cooperazione nazionale l’idea del finanziamento, sul Fondo per lo Sviluppo e la Coesione, di un programma di “interventi pilota” per le Aree interne del paese.

La direzione in cui così ci si muoverebbe richiede riflessione aperta e critica da parte delle Autonomie – e ho apprezzato in tal senso l’approccio e il tono dell’intervento del Presidente Enrico Rossi – ma non smentisce in alcun modo il principio autonomistico e i riconoscimenti concreti che ne sono scaturiti. Non si smentiscono nemmeno indirizzi posti a base della legge sul federalismo fiscale, come quello del rapporto tra autonomia e responsabilità in quel campo cruciale ; e anzi è da sollecitare una verifica del percorso di quella legge, rimasto quasi in un limbo.

Infine la revisione del Titolo V non può non collegarsi all’indispensabile superamento del bicameralismo paritario e alla nascita di un nuovo Senato, che faccia da ponte tra legislatori, statale e regionale, e arricchisca l’articolazione e le funzioni complessive del Parlamento, pur affidando alla sola Camera dei Deputati la funzione dell’investitura politica e l’ultima parola nel processo legislativo.

Sul tema delle riforme costituzionali mi fermo qui, avendo semplicemente valorizzato il telaio offerto dalla recente relazione della Commissione coordinata con efficacia dal ministro Quagliariello e avendo stimolato, anche con legittimi, credo, accenti personali, un vigoroso impegno vostro a concorrere al raggiungimento di obbiettivi vitali per il paese.

Cari amici, non ci lasciamo fermare da alcun fuoco di sbarramento. Ricordo come un simile fuoco si levò quando nel 1993 da Presidente della Camera dei Deputati sostenni attivamente e fortemente il percorso per giungere ad una riforma della legge elettorale nazionale, sollecitata da un referendum popolare, e la riforma per l’elezione dei sindaci, che fu una riforma istituzionale e non solo elettorale.

 Non si poteva far nulla – si insisteva da varie parti – perché quel Parlamento era “delegittimato” per gli inquisiti che sedevano in esso e magari per essere scaturito da un sistema politico in crisi e da una legge, quella proporzionale, ormai superata nella coscienza di tutti. Non ci arrendemmo, andammo avanti, e guai se non avessimo portato a casa quei risultati che sono quelli che vediamo oggi così efficacemente rappresentati nella forza che voi avete acquisito come Sindaci eletti direttamente dai cittadini.

Sento però di dover qui richiamare, e in una certa connessione con ciò che ho appena detto, anche la necessità di un’altra riforma urgente : quella della legge elettorale, per regolare su basi più lineari e sicuramente produttive la competizione per il governo in un’effettiva “democrazia dell’alternanza”. E si tratta, com’è noto, innanzitutto di recepire i rilievi già espressi dalla Corte Costituzionale su punti importanti del testo vigente, che d’altronde da lungo tempo i rappresentanti di tutte le forze politiche avevano dichiarato di voler riformare. Ma non ritorno sulle dure osservazioni che feci in proposito e sull’aspettativa di conclusioni non più eludibili, che dichiarai al Parlamento lo scorso 22 aprile in occasione della mia rielezione.

Stiamo giungendo ora ad un nuovo limite estremo a questo riguardo : l’esame della questione cui la Corte Costituzionale è stata chiamata e che essa condurrà a partire dall’udienza fissata per il 3 dicembre. Ebbene la dignità del Parlamento e delle stesse forze politiche si difende non lasciando il campo ad altra istituzione, di suprema autorità ma non preposta a dare essa stessa soluzioni legislative a questioni essenziali per il funzionamento dello Stato democratico. Non è ammissibile che il Parlamento naufraghi ancora, a questo proposito, nelle contrapposizioni e nell’inconcludenza.

Caro Presidente, cari amici congressisti, ho consumato il mio tempo e non me ne resta per lanciare – se non con poche parole – l’appello che egualmente avevo immaginato affinché contribuiate a rilanciare il tema dell’unità e dell’integrazione europea, tra i cittadini, Comune per Comune, nell’avvicinarsi di una prova tra le più difficili per l’Europa, tra le più difficili sul piano del consenso attorno agli ideali e al
le conquiste della storica scelta di 60 anni fa e a serii indirizzi di rinnovamento del progetto e del modo di essere dell’Unione.

Avevo accennato all’inizio al perché di questo appello : al fatto cioè che vedo i Comuni come luogo cruciale di recupero della partecipazione e della fiducia politica. E quanto ne abbiamo bisogno ! Quel recupero è arduo, lo sappiamo, a causa delle insufficienze e distorsioni della politica quale è stata e ancora viene praticata. Ma è arduo anche perché la vita pubblica e l’opinione dei cittadini sono condizionate e deviate da un’onda diffusa e continua di vociferazioni, di faziosità, di invenzioni calunniose, che inquinano il dibattito politico e mirano non solo a destabilizzare un equilibrio di governo ma a gettare ombre in modo particolare sulle istituzioni di più alta garanzia e di imparziale e unitaria rappresentanza nazionale.

Mi auguro che a ciò si sappia reagire in diversi ambiti, compreso quello dell’informazione, così delicato e così esposto a quelle fuorvianti tendenze.

C’è comunque chi ha il dovere – per la responsabilità che gli spetta – di non cedere a un clima avvelenato, magari per mettersi al riparo da provocazioni che impunemente tendono a colpirlo. In questo spirito, di recente, non mi sono sottratto al dovere giuridico, costituzionale e morale di porre con forza all’attenzione del Parlamento, la drammatica condizione delle carceri e della popolazione carceraria, e l’obbligo di ottemperare con urgenza alla pesante sentenza e ingiunzione della Corte europea dei diritti dell’uomo. Di quel messaggio al Parlamento – con cui si indicavano dati di fatto, cifre non occultabili e scadenze non eludibili, e nello stesso tempo si suggeriva una gamma di possibili rimedi e interventi – è stata da più parti alimentata una rappresentazione contraffatta, grossolanamente strumentale.

Ringrazio quanti in Parlamento e nel pubblico dibattito hanno mostrato di intendere il messaggio nella sua reale ispirazione e portata, intervenendo con argomenti di particolare qualità. Il Parlamento farà in assoluta libertà le sue scelte e se ne assumerà la responsabilità. A voi debbo solo dare assicurazione del mio fermo intento di non sottrarmi a nessun adempimento per scomodo o facilmente aggredibile che sia, purché rientri nei doveri e nei limiti del mio mandato. Quei doveri e quei limiti costituzionali che in egual misura ho sempre scrupolosamente osservato.

 

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