In Diario

di Stefano Ceccanti
Non è detto che un bravo magistrato possa essere un bravo politico e neanche un bravo avvocato, specie di sé stesso. E’ quanto si deduce dalle lettera inviata ieri dal Presidente Grasso a “Repubblica” per rispondere al tesoriere del Pd sul debito di poco più di ottantamila euro. Il perno del ragionamento consiste nell’inopportunità di un contributo ad un partito da parte del titolare di una carica istituzionale. Già a prima vista questa linea difensiva del Presidente, che tale resta fino all’insediamento delle nuove Camere. ha una vistosa contraddizione interna, la doppia qualifica che appone alla lettera. Grasso si firma sia come Presidente del Senato sia come leader di Liberi e Uguali. Se voleva argomentare credibilmente in nome del suo ruolo super partes avrebbe dovuto logicamente omettere la seconda qualifica.
Al netto del conflitto specifico la lettera pone poi due ulteriori problemi.
Il primo è relativo al passato. Grasso richiama la prassi secondo cui in Aula il Presidente, per rimarcare la propria autonomia e indipendenza, non vota. Ma questo cosa ha a che fare col pagamento di un contributo al partito di cui il gruppo, nei casi migliori, è espressione? L’appartenenza a un gruppo, che è una scelta, comporta diritti e doveri, tra cui notoriamente un contributo che il singolo dà conferendo una parte della propria retribuzione e che nulla ha a che fare col contributo che i bilanci delle camere danno ai gruppi sulla base dei loro componenti. L’appartenenza è una scelta giacché niente impedisce ad un Presidente che voglia rimarcare la propria autonomia e indipendenza di spostarsi nel Gruppo Misto subito dopo l’elezione. Nessuno contesterebbe questa scelta e ciò esonererebbe dal pagamento del contributo perché lì non vi è coincidenza tra un gruppo e un partito. Se invece, per scelta, resti iscritto al gruppo corrispondente al partito che ti ha eletto, e che continua ad assicurare un raccordo con gli elettori, non puoi sottrarti ai tuoi doveri e, per eleganza, non puoi lamentarti se qualcuno solo a un certo punto ti richiama ad essi, perché non dovresti proprio avere bisogno di solleciti.
Il secondo è relativo al futuro. Grasso, il cui nome compare sul simbolo della sua lista e che verrà indicato come capo politico della stessa, sulla base di quanto dichiara nella lettera, essendo ancora Presidente del Senato, dovrebbe conseguentemente rifiutare di contribuire alla campagna elettorale del proprio partito perché anche quello sarebbe un contributo di parte. E’ sostenibile questa linea di condotta? Evidentemente no, specie in assenza di finanziamento pubblico: gli altri candidati, più poveri, dovrebbero pagare per lui e sarebbero quindi meno liberi e meno uguali.
Quello che emerge, in altri termini, è che se il Presidente Grasso usa una doppia qualifica, deve accettare i doveri dell’una e dell’altra, oltre a far valere i relativi diritti.

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