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A metà del guado

IN POLITICA gli accordi tra posizioni originariamente molto distanti (o perché lo siano o perché così descritte) sono possibili, purché ognuno riesca a sostenere che ha ottenuto qualcosa. Qui i problemi erano due: di contenuto e di luogo. In termini di contenuto la maggioranza Pd rivendicava l’idea di un Senato espressione dei consigli regionali per completare il sistema centro-periferia rimasto monco con la riforma del Titolo Quinto; la minoranza partiva dall’idea di un Senato delle garanzie eletto a suffragio universale come la Camera. Il punto di incontro di principio è stata l’indicazione popolare dei consiglieri regionali che faranno anche i senatori. Quanto al luogo in cui inserirlo la maggioranza sosteneva l’intangibilità del lavoro identico già fatto da Camera e Senato e quindi dell’articolo 2 (che modifica l’articolo 57 della Costituzione), per cui proponeva di inserirlo all’articolo 35 (che modifica il 122 Costituzione) che contiene i principi per le leggi elettorali regionali (modificato alla Camera). Invece la minoranza voleva proprio modificare l’articolo 2 per dimostrare una svolta.

L’UOVO di Colombo è stato il comma 5 dell’articolo 2, l’unico dove era stata introdotta una modifica. Ora bisogna passare da un accordo di principio a un testo. Niente di insolubile quando si è sostanzialmente d’accordo nel merito, però la soluzione deve apparire (ed essere) a metà strada. L’esigenza è più politica che tecnica. Si tratta quindi di scrivere la norma in modo che l’indicazione popolare sia di fatto quasi automatica quando si va poi a votare il consiglio regionale. È difficile però che in sede di Costituzione si possano inserire troppi dettagli, senza rinviare alle scelte dei singoli consigli regionali con alcuni margini d’autonomia. Le ragioni di fondo sono due. La prima è che i sistemi elettorali sono differenziati sia tra Regioni speciali e ordinarie sia in queste ultime, pur dentro principi comuni. La seconda è che i consiglieri regionali-senatori da eleggere sono in numero molto diverso. Niente di insolubile. Non sembra credibile una rottura all’ultimo miglio. Se gli accordi vanno spiegati come risultati di un compromesso, anche le rotture vanno motivate. Qui però entra in gioco la politica e le distanze tecniche quasi inesistenti possono diventare distanze politiche incolmabili.

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