(dopo la risposta di Fusaro sono riprodotte lettere e documento dei capigruppo)
Signora Senatrice Taverna, signor deputato Villarosa,
ho letto il vostro messaggio e mi rammarico se la vostra lettera ai
colleghi dell’AIC è rimasta senza risposta.
Devo peraltro osservare che – letta la c.d. “lettera” – a me pare si
tratti di un articolato documento contenente le vostre valutazioni
sulla legge costituzionale che introduce un procedimento di revisione
in deroga limitatamente ai titoli !, II, III e V della Costituzione,
parte II, a questo punto in attesa della votazione finale, progetto
che – con alcune differenze – riprende i tentativi analoghi del 1993 e
del 1997 (conclusisi senza successo). Il documento contiene altresì
una serie di valutazioni di merito in ordine anche alla Relazione
finale della Commissione per le riforme composta di 35+7 colleghi,
istituita dal Governo.
Non mi è dunque chiaro il senso della vostra esplicita lamentela: in
che senso, in altre parole, ritenete di “non aver avuto risposta”.
Voi non ponete domande, voi legittimamente informate i destinatari del
documento delle vostre posizioni, rispettabili come quelle di
qualsiasi altro gruppo parlamentare.
L’AIC (della quale associazione chi vi scrive non fa parte) non è una
forza organizzata che possa rispondere come tale a prese di posizione
politiche: è un associazione di studiosi che si riuniscono per
discutere insieme argomenti di comune interesse ciascuno portatore
delle proprie conoscenze, convinzioni accademiche ed anche politiche.
Sta a ciascun singolo associato valutare se reagire o non reagire alle
prese di posizione di forze politiche ad essi indirizzate,
eventualmente per il tramite dell’AIC.
Del resto, numerosissimi colleghi dentro e fuori l’AIC, hanno scritto
e pubblicato una quantità elevatissima di articoli, saggi e perfino
qualche monografia sui temi che sollevate. Alcuni di essi potrebbero
legittimamente ritenere che – così come voi ci mandate il vostro
documento – così voi (e/o i vostri uffici studi ed assistenti)
potreste/dovreste avere letto ai fini del miglior esercizio delle
vostre funzioni tali materiali, e sapere bene almeno cosa coloro che
si sono pubblicamente espressi, ben prima della vostra “lettera”,
pensano sulle questioni che sollevate.
Chi vi scrive, per esempio, potrebbe segnalarvi una propria non
proprio limitata bibliografia dalla quale sarebbe facile evincere che
condivide ben poco del vostro documento: non sono affatto preoccupato
della legge costituzionale che istituisce un procedimento in deroga,
sono se mai preoccupato del fatto che nel vararla sia sia perso tempo
prezioso (probabilmente per ragioni legate alla volontà di favorire la
stabilità del governo in una legislatura che era parsa “nata morta”),
considero fin troppo lunghi i tempi previsti da quella legge,
condivido in larghissima misura l’impostazione e la gran parte delle
conclusioni della Relazione dei saggi (e in particolare le opzioni più
audacemente – si fa per dire – innovative specie in tema di forma di
governo e di rafforzamento del governo democratico), ho avanzato da
circa 25 anni la proposta di istituire il voto su progetti del governo
a scadenza fissa (modello “vote bloqué” che a voi piace ben poco): per
far riferimento ad alcune delle questioni che sollevate.
Se vi invio questa mail (curioso di verificare se ad essa verrà dato
da parte vostra riscontro, e quale!) è per educazione e per rispetto
di due parlamentari che comunque rappresentano la Nazione: ma desidero
concludere aggiungendo anche che considererei opportuno da parte
vostra un metodo diverso e meno manipolativo di rivolgervi a degli
studiosi. Non inviando “documenti” ad intere categorie, ma piuttosto
individuando singoli interlocutori di vostra scelta (in base a un
serio lavoro preparatorio precedente su ciò che l’accademia ha
prodotto) o – in alternativa – proponendo veri e propri questionari su
posizioni specifiche.
Non è affatto rispettoso, invece, spedire per mail un papiello di 4
pagine assai fitte, pretendendo che i destinatari se lo leggano e ve
lo commentino, salvo poi lamentare di non aver avuto (per nulla
sorprendentemente) risposta. Anche perché se una moda del genere
prendesse piede, dovremmo presto abbandonare le nostre altre
occupazioni per rispondere a documenti di 945 parlamentari e una
quindicina di gruppi. Non risponderò più – perciò – a iniziative del
genere inviate ad intere mailing list, ma solo a sollecitazioni a me
personalmente destinate. Noto en passant che mittente della mail da
voi firmata risulta il vostro “portavoce”: ciò non è proprio il
massimo della cortesia (e conferma l’impressione che abbiate inteso,
in realtà, far circolare una sorta di manifesto indirizzato
all’universo mondo senza reale ansia di interlocuzione con persone).
Non devo richiamare, oltretutto, il fatto che per dialogare con
presunti esperti esistono e sono praticate con profitto (e ciò è
avvenuto anche in questa
specifica occasione) audizioni presso le Commissioni cui anche voi –
ovviamente – potete invitare gli interlocutori che
considerate davvero interessanti.
Quanto all’incontro di dicembre, infine, al di là di problemi di
calendario (non indicate mi pare alcuna data) il documento che avete
allegato mi è
sufficiente per ritenere che la mia partecipazione non avrebbe alcuna
utilità.
Distinti saluti,
Carlo Fusaro
Professore di diritto pubblico comparato
Dipartimento Scienze giuridiche
UNIFI
Illustrissimo Presidente dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti,
una parte dell’elettorato che è, come noi, preoccupata di quanto sta accadendo. Nelle riflessioni che alleghiamo a questa mail abbiamo provato ad indicare più puntualmente i nostri dubbi, e ci auguriamo che possiate valutare il nostro punto di vista supportandolo, correggendolo o confutandolo grazie alla Vostra competenza di studiosi.
1
I NOSTRI DUBBI
CON RIGUARDO AL PROCESSO DI RIFORME COSTITUZIONALI IN ATTO
Durante il percorso parlamentare che, fra pochi mesi, porterà all’approvazione della legge di revisione che introduce una deroga all’art. 138 Cost. (disegnando una procedura speciale in vista della modifica di ampie sezioni della II parte della Costituzione) si sono consumate molte gravi violazioni procedurali che, a nostro avviso, nel loro complesso rappresentano già una deroga nella sostanza, e forse anche nella forma, rispetto alla procedura aggravata di cui all’art. 138 Cost. Abbiamo provato a denunciarle nelle Aule parlamentari, ma siamo rimasti pressoché inascoltati, ed è in primo luogo per questo che ci rivolgiamo alla comunità scientifica dei costituzionalisti.
In particolare, ci è apparso evidente che l’intento col quale sono stati condotti i lavori nelle Camere fosse quello di accelerare, financo al di là del lecito, il primo passaggio parlamentare in Senato per poi blindare il testo alla Camera dei Deputati (ciò che ha determinato una prima sostanziale elusione dei percorsi procedurali previsti dall’art. 138 Cost.), onde approvare la riforma costituzionale entro la fine dell’anno e poter avviare al più presto i lavori “cronometrati” del Comitato parlamentare. Questo percorso, a nostro avviso, ha comportato diverse violazioni procedurali che sono state giustificate di volta in volta con l’argomento che fossero conformi ai precedenti, sebbene fossero vistosamente in contrasto con le norme dei nostri Regolamenti e, prima ancora, col dettato costituzionale. Al Senato, ad esempio, si è deliberata la procedura d’urgenza, esclusa dall’art. 72 ultimo comma Cost. Conseguentemente, il disegno di legge costituzionale del Governo in questo ramo del Parlamento ha impiegato meno di un mese per essere approvato in prima lettura. Alla Camera dei deputati l’esame si è sostanziato in poche sedute (di cui alcune notturne) in Commissione Affari costituzionali e in quattro sedute dell’Assemblea, i cui tempi di esame sono stati artatamente ridotti grazie ad una fittizia calendarizzazione. Essa ha permesso di eludere il divieto di contingentamento stabilito dal Regolamento della Camera proprio per i procedimenti legislativi più importanti. Il Parlamento, inoltre, era al contempo impegnato nell’esame numerosi decreti legge di ampia portata; quindi il Governo e la maggioranza, mentre imponevano una riforma rapida dell’art. 138 Cost., allo stesso tempo costringevano le Camere a tenere sedute fiume e a lavorare a ritmi estenuanti, incompatibili con la necessaria ponderazione richiesta dall’esame di qualsiasi provvedimento legislativo e, a maggior ragione, di un progetto di riforma costituzionale.
Quanto al merito della riforma, osserviamo innanzitutto che la previsione di un Comitato bicamerale che si sostituirà alle due Commissioni Affari costituzionali alle quali è normalmente riservato l’esame separato e successivo (dunque con naturali tempi di decantazione) dei progetti di revisione costituzionale, rappresenta senz’altro una semplificazione del procedimento. Ad essa si aggiungono alcune previsioni procedimentali che delineano, per la decisione parlamentare più importante, un percorso cronometrato, un cronoprogramma, come si è detto, scandito da termini intermedi e con un termine finale. Ribaltando la logica dell’art. 138 Cost., che prevede un termine minimo dilatorio di tre mesi, nonché la logica dei Regolamenti parlamentari (che contengono norme volte ad assicurare una discussione ampia e approfondita in tema di riforme costituzionali), la nuova procedura restringe il termine dilatorio tra la prima e la seconda deliberazione a soli 45 giorni (appena il tempo sufficiente, per la verità, a rileggere il testo di ampie riforme in Commissione e in Aula in vista della seconda deliberazione) e soprattutto fissa termini massimi, in funzione acceleratoria. Non vale a molto replicare, come ci è stato detto, che tali termini acceleratori saranno considerati ordinatori: siamo tutti parlamentari di prima elezione, ma sul terreno delle 2
procedure abbiamo già maturato sulla nostra pelle sufficiente esperienza per poter facilmente pronosticare che questi termini saranno utilizzati per opporre ragioni di mera forma all’esigenza di confronto reale, e per poter escludere, in modo formalmente ineccepibile, anche gli approfondimenti più necessari se la maggioranza e il Governo riterranno politicamente conveniente giungere velocemente al voto finale.
Alcuni costituzionalisti – a giustificazione di queste deroghe – hanno richiamato il precedente della Commissione bicamerale istituita nella XIII legislatura. Altri, hanno invece denunciato la “tirannia del cattivo precedente”, che già domina la procedura parlamentare ed ora sembra potersi estendere anche alla procedura di riforma costituzionale. Nel merito, il precedente della Bicamerale non appare neppure richiamabile appieno, proprio perché esso differiva da questa nuova ipotesi di deroga all’art. 138 Cost. con riguardo all’aspetto, a nostro avviso, più grave. La legge costituzionale n. 1 del 1997 prevedeva, infatti, un (discutibile) termine finale, ma solo per i lavori della Commissione bicamerale, mentre le Assemblee restavano libere di organizzare i propri tempi di esame.
Il nostro sistema parlamentare conosce solo due tipi di leggi soggette a termine di scadenza, le leggi di bilancio e quelle di conversione dei decreti legge. Non a caso – leggiamo proprio nei manuali di diritto costituzionale e parlamentare – è nell’ambito di questi procedimenti, costretti dentro termini prefissati, che sono maturate le peggiori prassi parlamentari. Temiamo, crediamo ragionevolmente, che quelle stesse prassi verranno applicate nel “percorso cronometrato” delle future riforme (ed alcune di esse vengono addirittura canonizzate nella progetto istitutivo del Comitato, come ad esempio l’obbligo di segnalazione degli emendamenti da parte dei gruppi parlamentari, che priverà deputati e senatori dell’essenziale diritto di emendamento
1).
1
Al contempo, la procedura derogatoria stabilisce una vistosa asimmetri
a tra il potere di emendamento dei Gruppi parlamentari (rectius delle minoranze e dei singoli parlamentari) e quello del Governo e del Comitato (rectius, della maggioranza), i quali, invece, potranno presentare emendamenti anche a ridosso dell’esame in Assemblea e, quel che appare più grave, senza limiti di contenuto, potendo perciò vanificare persino i lavori referenti del Comitato.
Sempre con riguardo ai contenuti della deroga, vogliamo provare a mettere in dubbio la tesi secondo la quale l’allentamento della rigidità costituzionale, sul piano parlamentare, verrebbe compensato dalla possibilità di richiedere comunque un referendum. È stato sostenuto, da autorevoli costituzionalisti, che tale passaggio consente di fugare i dubbi sulla legittimità costituzionale della deroga all’art. 138 Cost., poiché a loro avviso bilancia sufficientemente la compressione dei lavori parlamentari.
Noi siamo i primi sostenitori della democrazia diretta e siamo assolutamente favorevoli ad un’estensione degli strumenti referendari. Ci pare però che la deroga, per come è stata congegnata, lungi dall’aprire davvero il processo riformatore alla partecipazione dei cittadini, finisce solo con l’affermare il principio maggioritario nella sua brutalità e proprio in un ambito antimaggioritario per eccellenza, qual è quello della revisione costituzionale. L’originario testo dell’art. 138 Cost., invece, combina in modo equilibrato i distinti ruoli del Parlamento e del corpo elettorale: infatti, esso spinge ad un accordo tra maggioranza e opposizione al fine di superare il quorum dei due terzi e nel contempo non attribuisce un potere di veto assoluto all’opposizione, giacché la maggioranza può procedere alla revisione anche da sola, esponendosi al rischio del referendum. La deroga, al contrario, consentirà comunque la proposizione del referendum e le forze parlamentari non saranno incentivate ad allargare il consenso oltre la maggioranza assoluta dei membri del Parlamento né, perciò, a considerare e accogliere punti di vista diversi dal proprio. Non a caso, i procedimenti di revisione costituzionale nelle democrazie classiche non fondano la loro legittimazione sulla previsione di un passaggio referendario finale ma su un ampio consenso parlamentare, fatta eccezione per la Francia, e cioè per un Paese con una forma di governo diversa da quella parlamentare e che accoglie un’idea attenuata della rigidità costituzionale. Piuttosto, ci appare assai scorretto che la maggioranza parlamentare impedisca all’opposizione di ricorrere alla verifica referendaria proprio sulla deroga all’art. 3
138 Cost., perché essa riesce a superare il quorum dei due terzi dei voti solamente in forza dei seggi aggiuntivi conquistati grazie ad un premio che dai più viene considerato costituzionalmente illegittimo.
Infine, osserviamo che anche nella relazione finale della Commissione per le riforme costituzionali nominata dal Governo, si rintraccia una proposta – quella della procedura abbreviata col voto a data fissa – che appare essere il frutto della medesima impostazione culturale sottesa alla riforma che deroga all’art. 138 Cost., poiché esprime anch’essa l’idea che l’attività parlamentare possa essere ridotta al solo esercizio del voto
2. In particolare, al punto 11 del Capitolo secondo della relazione, dedicato al “Procedimento legislativo”, si osserva che sarebbe necessaria la previsione di «procedure abbreviate che rispondano all’esigenza del Governo di disporre in tempi brevi e certi dei deliberati del Parlamento su questioni particolarmente urgenti». A giudizio della Commissione ministeriale, la causa della degenerazione subita dal procedimento legislativo per effetto dell’intreccio decreto legge-maxiemendamento-questione di fiducia sarebbe da rintracciare nell’assenza di una procedura abbreviata.
2
Il Ministro delle riforme istituzionali Gaetano Quagliariello ha presentato la relazione, in ciascuna delle due Camere, lo scorso 15 ottobre. Ci teniamo a sottolineare che il Governo, su un tema così importante, ha reso in Parlamento una mera informativa urgente, alla quale, al Senato, non è seguito alcun dibattito, mentre alla Camera sono stati ammessi interventi per soli cinque minuti a gruppo. Il nostro gruppo, alla Camera, ha provato ad allargare la discussione e, invocando l’art. 118 del regolamento, abbiamo presentato una risoluzione che avremmo voluto sottoporre al Ministro, ma è stata dichiarata irricevibile. La ragione di questa preclusione è stata rinvenuta nella qualificazione che era stata attribuita all’intervento del Ministro: una informativa urgente (che peraltro urgente non era affatto). Una ragione formalistica, dunque, fondata su una discutibile interpretazione del regolamento. La risoluzione è rimasta inascoltata e nei soli cinque minuti che avevamo a disposizione il nostro portavoce non è riuscito a concludere il suo intervento. Riportiamo quest’ennesimo caso di cronaca della vita parlamentare, sia perché riferito al percorso di riforme costituzionali, sia perché ci pare emblematico del modo di intendere i nostri lavori che, di violazione procedurale in violazione procedurale, vengono svuotati del loro senso vero e si trasformano in stanchi riti, da celebrare con fretta e forse persino con fastidio verso ogni tentativo di interlocuzione e confronto reali.
La nostra esperienza parlamentare ci sembra suggerire che questa idea sia fondata su un falso pregiudizio.
Invero, oltre alla possibilità di ricorrere a procedimenti speciali abbreviati previsti dalla Costituzione (procedimento in sede redigente, deliberante e procedura d’urgenza), i Regolamenti di entrambe le Camere consentono alla maggioranza che sostiene il Governo di organizzare i tempi di esame della gran parte dei progetti di legge sottoponendoli al contingentamento, grazie al quale la maggioranza, quando sia coesa intorno ad una proposta legislativa, ha già assicurata la possibilità di approvare una legge nei tempi da essa stabiliti.
Per di più, il nostro sistema, a differenza di altri ordinamenti parlamentari, riconosce alla questione di fiducia effetti procedurali tali da consentire al Governo di incidere profondamente sul procedimento legislativo. Tale potere è stato mutuato dall’ordinamento francese, e cioè da un sistema che accoglie una forma di governo semipresidenziale e fortemente sbilanciata sull’Esecutivo.
Ora la Commissione governativa propone di introdurre il voto a data fissa imitando un altro istituto del diritto parlamentare francese (il voto bloccato), sebbene al contempo la scelta per una forma di governo di tipo semipresidenziale non sia stata condivisa dalla collegialità della Commissione.
Del resto, l’ordinamento francese si stia muovendo proprio in una direzione opposta, introducendo riforme volte a riequilibrare il rapporto tra Parlamento e Governo, dopo aver constatato i guasti che una soverchia preponderanza del Governo nel procedimento legislativo può produrre. In più, quel sistema almeno riconosce il diritto alle minoranze di ricorrere al giudice costituzionale per far valere eventuali violazioni del procedimento legislativo, mentre il tema – centrale – del rispetto del principio di legalità anche dentro le Camere non è stato trattato nella relazione della Commissione governativa.
In realtà, a noi sembra che non ci sia affatto bisogno di aumentare la nostra produzione normativa, né di dotare la maggioranza e il Governo di strumenti per poter decidere celermente nell’ambito del procedimento legislativo ordinario. Lo dimostrano, oltre agli studi parlamentaristici comparati, i dati empi
rici relativi ai tempi mediamente impiegati dal Parlamento italiano per giungere ad approvare le leggi secondo l’iter ordinario, tempi che sono del tutto in linea con la media europea. 4
Semmai, e al contrario, gli stessi dati dimostrano che il nostro sistema soffre di un eccesso di produzione normativa, con le gravi disfunzioni che essa comporta sul piano della certezza del diritto, della qualità della legislazione, della stabilità delle riforme nel tempo, del contenzioso davanti ai giudici comuni, alla Corte costituzionale e alle Corti europee. Tant’è vero che, da qualche tempo, si provvede all’approvazione, con cadenza annuale, del c.d. “taglia-leggi”, poiché si avverte impellente l’esigenza di ridurre la quantità di leggi presenti nell’ordinamento.
Piuttosto, il problema del nostro ordinamento appare essere quello della qualità delle leggi che vengono approvate. Anche la relazione della Commissione governativa accenna a questa grave disfunzione, e propone di risolverla attribuendo «
al Presidente di Assemblea il potere di rendere inammissibili emendamenti di contenuto eterogeneo e di adottare le misure necessarie (potere del Presidente di stralciare gli articoli a contenuto eterogeneo e quelli con contenuto estraneo alla materia trattata) perché i disegni di legge abbiano un contenuto omogeneo e corrispondente al titolo», e si aspettano che ciò possa condurre all’eliminazione dei maxiemendamenti.
Anche per questo aspetto la nostra esperienza va in una direzione opposta: norme assai rigorose (specie con riguardo alla conversione dei decreti legge) che dovrebbero limitare gli emendamenti eterogenei già ci sono e sono già affidate al controllo del Presidente dell’Assemblea. Se la prassi dei maxiemendamenti si è ugualmente imposta, ciò è dovuto al fatto che i Presidenti di Assemblea non hanno opposto resistenza a questo o ad altri fenomeni distorsivi delle regole parlamentari, di fatto avallando tutte le richieste della maggioranza e del Governo in ragione della “forza dei numeri” che troppo spesso, nelle nostre Assemblee, prevale sulla forza del diritto.