VINCENZO LIPPOLIS
AUDIZIONE PRESSO LA COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI DEL SENATO – 28 luglio 2015
Intendo preliminarmente ribadire che condivido i due principali obiettivi del progetto di riforma costituzionale: il superamento del bicameralismo paritario e il riequilibrio del rapporto Stato-regioni rispetto alla riforma del 2001. Così come trovo fondata la scelta di fare della seconda camera un’assemblea di rappresentanza e di partecipazione dei territori: è una scelta in linea con il principio autonomistico dell’art.5 Cost. e con il panorama del diritto comparato. Procedere su questa strada risponde ad una logica istituzionale apprezzabile. Né mi pare che un’elezione di secondo grado del Senato leda il principio di sovranità popolare dell’art.1 Cost. se le sue funzioni sono rispondenti alla logica del modello prescelto e salvo una precisazione che farò più avanti.
Vi sono tuttavia nel testo, dopo le prime letture al Senato e alla Camera, delle contraddizioni e degli aspetti di complicazione dei procedimenti che mi pare opportuno sottoporre all’attenzione della Commissione, anche se mi rendo conto della problematicità di intervenire alla luce del principio della “doppia conforme” di cui all’art.104 reg. Sen.
Il primo aspetto contraddittorio è costituito dal rapporto tra composizione del Senato e i suoi poteri legislativi.
Il primo comma dell’art. 57 dice che il Senato è composto da “.rappresentanti delle istituzioni territoriali” La funzione di una tale seconda camera è quella di creare un raccordo tra Stato e enti territoriali, una sede per un confronto e la ricerca di soluzioni, in particolare nell’esercizio della funzione legislativa, consensuali e preventive alla decisione, al fine di avere un collaborativo rapporto centro-periferia e di evitare conflitti successivi. Composizione e funzioni del Senato devono rispondere a questa logica se si vuole dare un senso al modello prescelto.
A fronte della logica di questo modello appare eccessivamente ampliata la categoria delle leggi bicamerali. Mi riferisco in particolare alle leggi di revisione della Costituzione e alle altre leggi costituzionali, alle leggi sui referendum e alle leggi che autorizzano la ratifica dei trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea (dalle quali ultime dipendono limitazioni di sovranità del nostro Paese). Si tratta di leggi che attengono all’esercizio della sovranità popolare e pongono in gioco la rappresentanza nazionale, non quella degli enti territoriali in uno Stato non federale quale è il nostro. In altre parole, in uno Stato non federale un’assemblea rappresentativa degli enti territoriali, in particolare se non eletta direttamente dal popolo, non appare legittimata ad intervenire su materie di questo genere che sono intimamente connesse alla rappresentanza nazionale.[1] Se il futuro Senato agirà non sulla base di collegamenti partitici, ma veramente come organo esponenziale delle istituzioni territoriali, si sarà fatta, mi pare di poter dire inconsapevolmente, o quanto meno senza un preciso intendimento, una riforma in senso federale del nostro ordinamento. Tra l’altro, in contraddizione con lo spirito degli interventi sul Titolo V. Per inciso, ricordo anche che le leggi in attuazione della clausola di garanzia o di supremazia devono – e sono rimaste le uniche – seguire un procedimento nel quale i poteri del Senato sono rafforzati. Con una evidente contraddizione perché si rafforza il consenso dei rappresentanti degli enti gravati dalla applicazione di tale clausola.
Se non si intende intervenire su questo aspetto, che mi pare dirimente, la rappresentanza indiretta appare squilibrata rispetto alle funzioni e troverei giustificato riconsiderare la questione delle modalità di elezione del Senato. Un’elezione diretta darebbe quanto meno vita ad un organo che rappresenterebbe le collettività territoriali, non le istituzioni territoriali. Con questa osservazione non intendo aderire all’idea dai contorni sfumati e non ben definiti di una “camera di garanzia”. Sarà un mio limite intellettuale, ma non riesco a immaginare che un’assemblea politica possa svolgere funzioni di garanzia, Altri sono gli organi ai quali il nostro ordinamento demanda tale compito. Se poi si pensasse ad una sorta di “assemblea di ottimati”, variamente composta, come pure è stato prospettato saremmo su un piano del tutto diverso da quello su cui si muove il disegno di legge. In ogni caso, non è possibile immaginare di fare del Senato un organo di interdizione dell’indirizzo politico di maggioranza formatosi alla Camera, un organo dotato di poteri di veto. Si creerebbe un sistema ancor più zoppicante di un bicameralismo perfetto con maggioranze diverse nelle due camere.
Il secondo aspetto sul quale richiamo l’attenzione della commissione e per il quale vi è un problema di complicazione è il procedimento legislativo. Una delle finalità del superamento del bicameralismo paritario è quella di snellirlo. Ma siamo sicuri che il testo in esame risponda concretamente a questa finalità creando una pluralità di procedure? Ne sono state individuate ben otto, ma una in più o in meno non modifica i termini del problema. La pluralità delle procedure fa correre il rischio di un contenzioso fra le camere e di un contenzioso costituzionale circa la correttezza della procedura seguita, con ricorsi da parte di cittadini in via incidentale e, forse, delle stesse regioni in via principale. Il rimedio dell’intesa tra i presidenti d’assemblea non elimina questo rischio e lascia insoluta l’ipotesi di un mancato accordo. Una semplificazione dei procedimenti eviterebbe questi pericoli.
Più in dettaglio, nulla è detto circa l’ipotesi che la Camera,esaminando le proposte di modifica del Senato, introduca norme nuove o modifichi le stesse proposte del Senato. Ma questi sono problemi che possono essere risolti in via interpretativa o mediante i regolamenti parlamentari.
La strada maestra per evitare incagli procedurali resta però quella adottata da quasi tutti i sistemi bicamerali: prevedere una procedura di conciliazione mediante un comitato composto di deputati e senatori.
Infine, mi chiedo se nel Parlamento che si va delineando sia utile e opportuna la presenza delle commissioni in sede deliberante. In assenza del richiamo del Senato una legge potrebbe essere approvata da un numero veramente esiguo di deputati.
Poiché l’art. 70 Cost. è stato modificato in più punti dalla Camera, l’art.104 r.S. non dovrebbe essere di ostacolo ad intervenire su questi aspetti. .
Terzo aspetto, l’elezione del Presidente della Repubblica. Mi pare inopportuno o ,se si preferisce, inelegante prevedere in Costituzione che si arrivi al settimo scrutinio. Anche qui mi pare che siamo di fronte ad una complicazione procedurale che dà l’idea di voler certificare uno spappolamento del sistema partitico. Se proprio si vuol mantenere quella serie di passaggi di quorum, si dovrebbe accorciare la sequenza. E’ pericoloso comunque prevedere quorum alti e bloccati. Con lo scrutinio segreto e la mancanza di unità interna dei partiti si rischia uno stallo.
Altri problemi rilevanti sono:
il giudizio preventivo di costituzionalità delle leggi elettorali. Penso che la Corte con la nota senza sulla legge Calderoli abbia aperto una breccia e che a questo punto può essere giusto che si assuma tutte le responsabilità. D’altra parte, è meglio far decidere la Corte subito o avere un Parlamento delegittimato dopo? Meglio sicuramente far parlare la Corte subito.
lo statuto delle opposizioni e i diritti delle minoranze. Rinviare ai regolamenti parlamentari non servirà a molto se non si prevedono strumenti direttamente in Costituzione. Penso al ricorso diretto delle minoranze alla Corte sulla costituzionalità delle leggi (un istituto diffuso in molti paesi europei), alle inchieste di minoranza a una diversa disciplina del referendum (in proposito, mi pare infondato prevedere quorum differenziati a secondo delle firme dei presentatori).
la modifica degli statuti delle regioni ad autonomia speciale potrà avvenir solo previa intesa con le regioni. Si attribuisce loro un vero e proprio potere di veto.
Vengo al tema della regola della c. d. “doppia conforme”. Si tratta di una regola che non è stabilita in Costituzione, ma solo nei regolamenti parlamentari. Vi è tuttavia un antico principio del parlamentarismo secondo il quale nemine contradicente si può anche disattendere una norma regolamentare. Di fronte all’emergere di una concordanza di fondate opinioni sulla necessità di modificazioni, sulla necessità di correggere un errore contenuto nel testo in esame, sulla necessità di risolvere un problema particolare si potrebbe aprire spazio per qualche modifica ulteriore rispetto a quelle consentite dalla “doppia conforme”. Questo potrebbe essere, a mio avviso, il caso della contraddizione che ho prima evidenziato tra poteri legislativi del nuovo Senato e il metodo di formazione.
[1] Il caso più delicato è, a mio avviso, quello delle leggi di revisione della Costituzione e delle leggi costituzionali. Stabilendo che esse sono bicamerali si ha la conseguenza di attribuire ai rappresentanti degli enti territoriali la potestà di bloccare qualsiasi riforma costituzionale, in particolare quelle riguardanti il sistema delle autonomie. Ma la partecipazione degli stati membri all’esercizio del potere di revisione costituzionale è uno dei caratteri distintivi degli stati federali (USA, Svizzera, Germania). In Francia il Senato partecipa alla revisione costituzionale, ma nel caso di una sua opposizione il Presidente della Repubblica può indire un referendum sul testo in discussione. Non vi è quindi un potere di veto assoluto del Senato. Un tale potere lo ha il Senato spagnolo, ma esso è eletto in misura preponderante a suffragio popolare. La verità è che una revisione come quella in esame dovrebbe indurre a riflettere sull’art. 138 Cost. Il procedimento di revisione in esso previsto è strettamente connesso ad una stagione della nostra vita politico-istituzionale, quella dei partiti di massa del novecento e della legge elettorale proporzionale, che è ormai finita. Se si mantenesse il referendum come eventuale, si potrebbe pensare di attribuire al voto negativo del Senato la conseguenza dell’indizione di un referendum. Ove si prevedesse un referendum obbligatorio per tutte le leggi costituzionali, questo non sarebbe impedito dall’opposizione del Senato. Come è stato osservato, poi, il procedimento di revisione costituzionale comporta tempi lunghi che mal potrebbero conciliarsi con la composizione a turnazione del Senato legata alla permanenza in carica di consigli regionali e comunali.