Vorrei sottolineare tre punti.
In primo luogo per capire questo libro e l’itinerario politico di Macron dobbiamo partire da un altro importante testo, le memorie di Jacques Delors.
L’ex- Presidente della Commissione europea ricordava che il segretario Emmanuelli, storico esponente della sinistra interna recentemente scomparso (che si sarebbe poi schierato per No al referendum sul Trattato costituzionale europeo) pur non condividendone la linea politica, gli aveva proposto la candidatura per le presidenziali 1995, visto che Delors era l’unico socialista secondo i sondaggi a poter vincere, ma che lui aveva rifiutato perché “l’assenza di una maggioranza coerente mi avrebbe impedito di realizzare le riforme che io credevo indispensabili”.
In fondo quella tra Delors e Macron è una sorta di passaggio di testimone e la maggioranza presidenziale che vuole costruire Macron (evidente anche dal profilo del Primo Ministro juppeista Philippe, che andrebbe dai socialisti riformisti già in larga parte incorporati ai settori moderati del centrodestra su cui è in corso un’evidente opa), è la riproposizione su basi nuove dello schieramento che perse il referendum sul Trattato costituzionale del 2005 contro i sovranisti di entrambe le sponde.
“Scomporre e ricomporre il sistema dei partiti lungo l’asse “tra i fautori dell’apertura e della chiusura” (p. 207) è la conseguenza logica di quella diagnosi che risale già a Delors. Lo vedremo ancora meglio domani con la squadra di governo al completo.
Entrambi i tradizionali schieramenti hanno riprodotto una schizofrenia tra le fasi elettorali e quelle post-elettorali. Riguardo alle prime, negli ultimi decenni ha prevalso la spinta a un’unità ideologica (si veda la pag. 40 del libro, che si è tradotta poi in una grave difficoltà successiva quando hanno poi cercato di correggere la rotta. Per quanto Macron, per immediate esigenze elettorali si sia presentato come candidato fuori dallo schema bipolare, di fatto i suoi rimproveri e le sue citazioni rivelano una condivisione delle riflessioni dell’ala moderata del Partito Socialista, in particolare di Rocard (p. 24) e di Delors (p. 206) contro la retorica anti-europea e anti-liberista che aveva già contagiato il Partito negli anni ’90 fino alla forte dissidenza interna nel referendum sul trattato costituzionale del 2005 (p. 203). Per inciso: non stupisce che un allievo di Paul Ricoeur, amico di Olivier Mongin e frequentatore della rivista Esprit, richiamati più volte, sia più nella regola europea che non nell’eccezione francese quando parla di laicità: “la laicità è una libertà prima che essere una riserva…è un fondamento non una cappa di piombo. Come è possibile chiedere ai nostri concittadini di credere nella Repubblica se poi ci si serve di uno dei nostri principi fondamentali, la laicità, appunto, per dire che per alcuni non c’è posto?” (p. 156, ma toni analoghi anche a p. 18 sul velo islamico).
Se la diagnosi per il passato è questa, si capisce meglio il secondo punto, la centralità del tema europeo e delle proposte istituzionali su di esso. La nuova Presidenza si batte per la rimozione dei tradizionali ostacoli francesi ad una maggiore integrazione politica e delle resistenze a rispettare i vincoli per i singoli Stati (p. 212), chiedendo in cambio alla Germania, in sintonia con l’Italia (p. 214) la disponibilità a una maggiore integrazione economica. Ciò significa prevedere anzitutto un consistente bilancio europeo in grado di pianificare investimenti ben superiori a quelli del piano Juncker, con un Ministro delle finanze europeo che li governi, responsabile di fronte a un Parlamento della zona Euro (p. 212).
Il discorso di investitura di domenica è stato coerente con il libro trattando di Europa in tre punti: una citazione di Mitterrand sul legame tra sogno francese e sogno europeo; un’affermazione di principio sulla rifondazione e il rilancio dell’Europa perché essa è al tempo stesso fattore di protezione e di libertà, garanzia sia per i bisogni sia per i meriti; tre aggettivi più pratici che descrivono riassuntivamente la linea di riforma, ossia un’Europa più efficace, più democratica e più politica.
Se l’orizzonte è questo, è rilevante anche il terzo punto: l’esigenza di non ridiscutere sui punti chiave gli assetti istituzionali francesi che garantiscono il ruolo europeo del Paese. Macron lo fa in positivo citando un noto testo del Generale de Gaulle secondo cui il loro fine primario è “assicurare al potere pubblico l’efficienza, la stabilità e la responsabilità” (p. 218) e in negativo dichiarando come non prioritarie le enfasi ricorrenti sulla necessità di una “Sesta Repubblica” di cui si era fatto portatore in particolare Melenchon (p. 219). I suoi punti di innovazione sono rivolti per lo più alla “pratica delle procedure” (p. 219), che si traduce in una maggiore stabilità normativa e in un ricorso più costante alla valutazione delle politiche pubbliche, tanto più efficace quanto più le riforme non vengano costantemente rimesse in discussione ma esaminate solo alla fine della loro completa implementazione (p. 81).
Anche qui il discorso di investitura di domenica è stato in netta continuità col libro: “Credo alle istituzioni della Quinta Repubblica e farò tutto ciò che è in mio potere affinché esse funzionino secondo lo spirito che le ha fatte nascere”.
Sia consentito qui provare già ora qualche legittima invidia su questo punto specifico, che, credo, crescerà dopo il risultato delle legislative. Un’invidia che può anche essere consigliera per il nostro futuro.