In Diario

Roma, 8 maggio

 

Camera dei deputati, convegno sull’Ilslam

 

Intervento di Stefano Ceccanti

 

Premessa: le domande a cui rispondere in un approccio pragmatico

 

Nel nuovo contesto segnato da quella che possiamo definire una sorta di pre-Intesa che il Ministero dell’Interno è riuscito finalmente a realizzare con le realtà più rappresentative dell’Islam italiano siamo stati invitati a rispondere a tre questioni:

  1. compatibilità diritto islamico/italiano;
  2. identità costituzionale;
  3. lotta al jihadismo.

 

Ci atteniamo pertanto a questo compito con un’avvertenza di fondo: questa è una materia in cui per giungere a risultati proficui non bisogna né forzare i tempi né prefiggersi obiettivi troppo alti. Una nuova Intesa ha comunque bisogno un tempo di maturazione specie quando gli interlocutori sono plurimi. Lo stesso vale per la legge generale sulla libertà religiosa, tema che giustamente riemerge in modo costante, ma che potrà avere successo quanto più si cercherà di mandare a regime per tutti quelle norme fin qui riservate alle sole confessioni con intesa che sono astrattamente generalizzabili a tutte. Se invece si pensa di voler fissare definizioni uniformi di libertà religiosa e di laicità si rischia di pretendere troppo e di ottenere poco o nulla.

Proprio perché siamo in un ambito che è relativo a convinzioni profonde dobbiamo mirare a un consenso pragmatico, non teologico.

 

 

  1. Il primo punto sembra essersi sciolto nel corso degli anni. La nostra giurisprudenza ha già, concretamente, identificato le colonne d’Ercole dell’integrazione, negando ad esempio la legittimità alla poligamia e all’obbligo di conversione all’islam nei matrimoni interreligiosi.

Questo è il sintomo di una società probabilmente, almeno in generale, al di là di qualche caso spesso enfatizzato dai media, complessivamente più coesa di altre, dove invece emergono zone franche in cui sembra essersi consolidato un modello alternativo di famiglia e di vita sociale creando delle isole rispetto al resto della società da cui spesso i soggetti fragili non possono uscire perché non hanno strumenti di comunicazione nemmeno linguistica (si pensi al Belgio, al Regno Unito, alla Francia o anche alcune aree della Germania o della Scandinavia).

La stessa “pre-intesa” realizzata presso il Ministero ne è testimonianza evidente.

 

  1. Il secondo punto, se non ben maneggiato, rischia di essere una profezia falsa che si avvera. Il tema dell’identità italiana non va presentato come un’identità chiusa che deve annullare qualsiasi differenza nello spazio pubblico. Dato che la Corte di Strasburgo e la Corte di Giustizia si attengono (anche troppo) al “margine di apprezzamento” degli Stati membri utilizziamolo nel modo che ci è più coerente, ossia senza gli estremismi della laicità alla francese. Le guerre dei simboli, sia quelli tradizionali che vengono talora contestati sia quelli che derivano dall’immigrazione, che in genere si concludono con uno spazio pubblico più povero e che viene avvertito come limitativo dalle persone non sono da incentivare. Credo non lo sarebbero neanche altrove e che queste Corti pecchino forse di iper-realismo per non urtare con alcuni paesi particolarmente suscettibili, ma visto che non vogliono estendere la nostra visione per me più aperta e proficua, almeno prendiamoci lo spazio che ci lasciano.

 

  1. Tali riflessioni ci portano al terzo punto. Una sfera pubblica anestetizzata dalla presenza religiosa plurale è sempre un bene? O crea delle fatture? Sembra che i jihadisti puntino proprio su di esse. V’è chi ha fatto notare come i molteplici attentati in Europa colpiscano molto più la società civile delle istituzioni. Isis spiega bene perché nei suoi comunicati: vogliono creare delle barriere sociali, alimentando la diffidenza dei non musulmani verso i musulmani, e spingendo questi ultimi tanto nell’isolamento da fomentarne l’estremismo e la vita parallela. Più la lotta è simbolica, più è pericolosa. Da notare che noi a lungo abbiamo destinato la nostra attenzione a simboli “sbagliati”: ad es. la questione del crocifisso è stata un problema per i laici molto più che per i musulmani, che in genere l’accettano.

La prima lotta da perseguire è quindi quella di evitare conflitti controproducenti. Quest’opera di tessitura è potenzialmente molto più proficua rispetto al varare norme emergenziali sull’onda dell’emozione.

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