Gli atti dell’assemblea Costituente sono una miniera.
Sul termine “razza” ci fu una discussione nella seduta del 24 marzo 1947 perché Cingolani per la Dc avrebbe voluto sostituirla con la parola “stirpe”, considerata più neutra.
Cingolani però ritirò l’emendamento dopo aver ascoltato le argomentazioni di Laconi e del Presidente della Commissione dei 75 Meuccio Ruini che qui riporto e che vanno in direzione opposta a quelle del candidato leghista Fontana
Laconi:
“Noi non possiamo accettare questa proposta, che è già stata presa in esame da tutti coloro che hanno presentato l’emendamento, sia da parte democristiana che da parte nostra. Non possiamo accettarla, perché in questa parte dell’articolo vi è un preciso riferimento a qualche cosa che è realmente accaduto in Italia, al fatto cioè che determinati principî razziali sono stati impiegati come strumento di politica ed hanno fornito un criterio di discriminazione degli italiani, in differenti categorie di reprobi e di eletti.
Per questa ragione, e cioè per il fatto che questo richiamo alla razza costituisce un richiamo ad un fatto storico realmente avvenuto e che noi vogliamo condannare, oggi in Italia, riteniamo che la parola «razza» debba essere mantenuta. .Il fatto che si mantenga questo termine per negare il concetto che vi è legato, e affermare l’eguaglianza assoluta di tutti i cittadini, mi pare sia positivo e non negativo.”
Ruini:
“Comprendo che vi sia chi desideri liberarsi da questa parola maledetta, da questo razzismo che sembra una postuma persecuzione verbale; ma è proprio per reagire a quanto è avvenuto nei regimi nazifascisti, per negare nettamente ogni diseguaglianza che si leghi in qualche modo alla razza ed alle funeste teoriche fabbricate al riguardo, è per questo che — anche con significato di contingenza storica — vogliamo affermare la parità umana e civile delle razze.
L’ha ribloggato su MAPPE nelle POLITICHE SOCIALI e nei SERVIZI.
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Opzione A.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge INDIPENDENTEMENTE dalle DIFFERENZE di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali che comunque VI SONO E POSSONO ESISTERE.
Opzione B.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge QUINDI NON ESISTONO DIFFERENZE di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali (tra i cittadini).
Scegliere.
lo scopo dell’inserimento di quello specifico riferimento, che non può essere appiattita sulle altre, non di è affermare o meno che esista qualcosa di definibile come “razza”, cosa che appartiene al dibattito scientifico, e di cui si discuteva già allora con minori conoscenze di oggi, ma di negarne comunque l’uso fatto in passato in termini di discriminazione, ossia quello riproposto da Fontana. Le differenze sono diverse anche tra di loro.
Al di là di un problema essenziale, e cioè del fatto che invece di concentrarsi sulla sostanza del discorso di Fontana (esiste o meno un rischio per chi è italiano e occidentale, davanti alle politiche multiculturali che si perseguono in Occidente dagli anni Sessanta ad oggi, e, se esiste, è un problema o un’opportunità, e in che modo agire di conseguenza: un dibattito che è lungo e profondo, spesso e interessante, indipendentemente dal pensiero di ognuno), ci si concentra sulla sua forma, al di là di questo, dicevo, la questione della formalità diventa sostanziale, perché si rischia di fare ideologia – e cioè di condannare un pensiero diverso dal proprio non scegliendo di confutarlo sul piano del contenuto bensì con l’escamotage di farne una questione di mera formalità.
O lei sta dicendo che i costituenti hanno sbagliato a inserire il termine razza giacché all’interno della specie umana non vi sono differenze razziali, e quindi siamo tutti senza differenze e, secondo le più moderne espressioni dello strutturalismo e del relativismo decostruzionista, non esistono nemmeno differenze di sesso e tutto ciò non è altro che una costruzione sociale, e quindi non è vero ciò che è (ancora) biologicamente dimostrato, cioè che il genere umano, nella specie dell’uomo, è diviso in varie razze, sfumate e raggruppate in modo non ordinato secondo etnie, gruppi ecc., oppure sta dicendo che i costituenti ebbero ragione nel sottolineare che, tra le varie differenze che vi sono tra gli uomini, e che non dovevano influire sulla loro pari dignità e sul loro trattamento davanti alla legge, vi fossero anche quelle razziali, così includendo le differenze – oggi più articolate e approfondite nella loro trattazione, ad esempio, appunto, con le distinzioni tra razze e etnie, tra gruppi e popoli, nazioni e tipi – tra le razze che compongono la nostra specie.
Tertium Non Datur. Scegliere.
i costituenti volevano affermare una chiara opzione antirazzista, dai lavori preparatori è chiarissimo, è un’impostazione che diverge dall’intento di Fontana di giocare sulle paure alternando smentite a qualche appiglio inconsistente, e non è una presa di posizione scientifica. Questo è il punto, il resto non c’entra, è un altro dibattito che non attiene né al diritto costituzionale né alla politica che sembra voler distogliere dall’errore di Fontana
Bisogna fare ordine, altrimenti si mescolano questioni formali a questioni sostanziali, storia e politica.
1) Affermare una chiara opzione antirazzista in nessun modo significa negare il fatto che il genere umano, nella specie dell’uomo, sia composto da razze.
1a) Ciò è logico e giusto, giacché la scienza non aveva allora, né ha oggi in nessun modo negato l’esistenza delle razze, anche per quanto concerne il genere umano, nella specie dell’uomo, e questo fin nei più recenti esiti, che parlano di razze dell’uomo tenendo conto di come la razza non sia un dato definito in assoluto, non sia dato una volta per tutte, non coincida necessariamente con una etnia, una nazione, un popolo.
1b) Ne discende che usare la parola razza per indicare una etnia (insieme di lingua e cultura) e in particolare una etnia come quella italiana – ma varrebbe lo stesso per quella francese o inglese, mentre non varrebbe allo stesso modo per i belgi o gli americani – non è né sbagliato sotto il profilo etimologico, né sotto quello concettuale, né sotto quello scientifico, né sotto il profilo storico.
Si tratta, al più, di una sineddoche, figura retorica spesso adoperata nelle conversazioni di tutti i giorni, come nel caso di saggi scientifici.
2) Dire che i costituenti affermarono una chiara opzione antirazzista in nessun modo implica che i costituenti non sapessero che, stante l’uguaglianza davanti alla legge e la parità di dignità di tutti i cittadini, gli italiani costituivano una nazione precipua, dotata di caratteri riconoscibili, propri e da tutelare (ragion per cui scrissero una costituzione), caratteri formati non ultimo dagli elementi che fanno della nazione italiana, oggi, una nazione parte della civiltà occidentale (ricerca della verità libera e possibile secondo il dettato greco, etica cristiana, giurisprudenza latina, infine una lingua italiana), caratteri che si sono formati e sedimentati nei secoli, non senza difficoltà e sofferenza.
O si vuole forse dire che i costituenti erano dell’idea che nulla, dalla religione alla lingua, dalla cultura alla razza, differenziasse un italiano da un somalo, da un russo, da un coreano?
Sarebbe allora ingiustificato e storicamente illogico che i costituenti abbiano lottato per tenere insieme lo stato, ad esempio rivendicando all’italianità, contro mire francesi e slave, regioni quali Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, e città come Trieste, Gorizia: se non vi è una differenza, perché allora ostinarsi a rivendicarla?
2a) Ne discende che i costituenti, che avevano chiarissima la cognizione dei rischi del razzismo, non rifiutarono tuttavia di usare una parola – razza – che, pur con i connotati terribili della storia recente, indicava ancora (e ancora oggi) l’esistenza comunque di differenze tra alcune persone ed altre, tra alcuni gruppi ed altri. Queste differenze non dovevano incidere sul loro trattamento davanti alla legge, né ostare al riconoscimento di una pari dignità. Ma esse esistevano.
Ora, dato che noto che lei si toglie l’abito del giurista per fare più francamente politica (“è un’impostazione che diverge dall’intento di Fontana di giocare sulle paure alternando smentite a qualche appiglio inconsistente” lei dice), sarebbe il caso di dire la verità su quello che è successo in questi giorni.
Per quanto riguarda la sostanza del discorso di Fontana, infatti, la sua idea e le sue parole possono essere più o meno condivisibili, tuttavia sarebbe difficile negare che le sue parole riflettano, più o meno razionalmente e ordinatamente (è pur sempre un discorso estrapolato durante una campagna elettorale), un tema di dibattito molto serrato e stringente che investe la società occidentale almeno dalla prima metà degli anni Sessanta ad oggi e che non si può non considerare come uno degli assi portanti della riflessione dei pensatori europei sulla natura della civiltà e il suo destino, nonché sulla natura dell’Europa e sulla sua essenza; un dibattito e una riflessione, è bene sottolinearlo, che si è sviluppato in coincidenza con il fiorire dello strutturalismo, del decostruzionismo e del pensiero debole, in filosofia, con la decolonizzazione dell’Africa, in politica estera, con la spinta – ideologica, politica, sociale – al multiculturalismo e all’intercultura, nonché con lo sviluppo di politiche sociali sistematiche, generali e pervasiva (il Welfare State), l’adozione di misure socialdemocratiche (i vari socialismi temperati che lei di certo conosce) in campo socioeconomico, il ripensamento in chiave critica dell’intero portato della cultura occidentale (da cui una più o meno proficua urgenza di ricostruire la cultura in senso non più eurocentrico-fallocentrico-eterocentrico ecc.) in campo culturale.
Forse può non piacere il modo in cui il candidato si è espresso, ma a me pare fuor di dubbio che le sue opinioni si siano articolate intorno a un tema centrale del dibattito europeo recente e meno recente e che, strumentalizzato o meno, agitato o meno come spauracchio, sottovalutato o sopravvalutato che sia, è di fatto un tema importante per l’Europa e l’Italia (basti solo pensare al fatto che questo dibattito investe, oggi e per il futuro, l’intero campo della scuola, e delle pensioni, e del welfare).
Ora, ognuno è libero di credere ciò che vuole, e cioè che questo tema (l’emigrazione, la denatalità e i problemi ad essi connessi) sia di fatto un problema, o che tutto sia in realtà una costruzione mediatica per spaventare le persone e indirizzare il loro voto: non sarebbe la prima volta, né sarebbe il primo tema strumentalizzato.
Tuttavia, io penso che sarebbe più appropriato, questo sì, affrontare un avversario nel campo delle idee, confutandole e proponendo le proprie con le armi della dimostrazione, dell’eloquenza, della retorica, invece che fuggire il confronto, scappare dal terreno di scontro per rifugiarsi nella cavillosa obiezione formale, per cui non avendo usato una parola acconcia, allora l’avversario va squalificato a priori.
Anche perché questa tendenza a squalificare l’avversario dimostrandone una supposta ignoranza, immoralità o un supposto razzismo, non mi sembra pagare.
Inoltre, sfido qualsiasi storico di vaglia a dire che l’Italia è un paese razzista, o che Fontana lo sia. Sarebbero due menzogne che non vale nemmeno la pena confutare, almeno su questo occorre dire la verità.
Una delle ragioni per cui le sinistre hanno perso quasi tutte le loro ultime battaglie, in Europa e non solo, è proprio per la loro instancabile e poco dignitosa tendenza a squalificare i politici che non la pensassero come loro, di volta in volta denunciandone l’immoralità, l’ignoranza, l’incapacità di usare parole adeguate, il razzismo ecc.
Eppure, questi politici spesso hanno vinto le sfide elettorali, nonostante queste accuse.
Ora, invece di dire che se hanno vinto è perché o gli elettori sono razzisti, ignoranti, immorali come loro o loro sono riusciti a corrompere l’elettorato (da cui discende una idea non proprio progressista del popolo), non sarebbe il caso di chiedersi se per caso questi politici, al di là del linguaggio usato e della loro più o meno moralità o erudizione, non abbiano parlato di temi che sono urgenti e vissuti come stringenti, attuali e che perciò preoccupano l’elettorato, le persone?
Scendendo dall’agone giuridico e filosofico, è evidente che il discorso politico oggi si articola, volenti e nolenti, su coppie di opposti chiare (aprire/chiudere, liberare/proteggere, riformare/rivoluzionare, tassare/detassare, più stato/meno stato), ed è evidente che questi opposti rimandano a una dicotomia essenziale e ultima che è tra coloro che ritengono la civiltà occidentale un fiore particolare che può fiorire solo date determinate condizioni (culturali, spirituali) e che quindi non si risolve in una congerie innovazioni tecniche e scientifiche ovunque producibili, e che dunque va protetto, disseminato ma protetto e tutelato nelle sue essenzialità, e coloro che ritengono che essa sia invece possibile dappertutto e che lo sviluppo occidentale non ha nulla a che fare con il sostrato giuridico, politico, spirituale, culturale occidentale, e quindi non c’è da aver timore che emigrazioni o sostituzioni o aperture (più o meno imprudenti) dei mercati e delle società sortiscano effetti negativi.
Ciò detto, è chiaro che Fontana, dicendo quello che ha detto, afferma di appartenere ad uno schieramento, rispetto ad un altro.
Si può, detto questo, discutere sulla bontà o meno del concetto da lui espresso? Si può parlare di politica, invece che squalificarlo per aver usato parole che, per ragioni che non albergano nemmeno nella nostra costituzione, pare che non si possano più usare?
Io capisco che, come diceva Schopenhauer, è più facile, per sconfiggere l’avversario, quando si è in difficoltà, attaccarlo sulle parole che usa, invece che per ciò che dice, così si distoglie l’attenzione da qualcosa che si teme, ma questo è meschino, poco dignitoso, triste, e denota un certo moralismo di fondo, nonché un modo di usare il proprio sapere (in questo caso, il diritto costituzionale) in modo improprio, strumentale, ideologico.
Ad ogni modo: come scrissero i costituenti, le razze esistono.
Come dimostra la storia, le emigrazioni di massa sono sempre uno sconvolgimento (nel bene e nel male).
Ciò detto: ne parliamo? Oppure continuiamo il teatrino in cui si dà del razzista a chi non la pensa come noi?
ne parliamo distinguendo bene le opzioni che stanno dentro i limiti della Costituzione, anche a partire da una lettura corretta dei lavori preparatori, e quelle che stanno fuori. Io faccio il costituzionalista e quindi a me spetta presidiare i confini. Una volta chiarito dove stiamo, e Fontana sta fuori, il dibattito sui pro e i contro delle diverse opzioni in materia è benvenuto. Però è un ambito di policy dove senz’altro ci sono molti che ne sanno più di me.