In Diario

di Stefano Ceccanti

dal Quotidiano Nazionale di oggi

La sorte delle riforme in itinere potrebbe essere diversificata. Quella già approvata, l’Italicum, non è in discussione, anzi risulta confermata dalle amministrative. Lo si capisce da tre dati dell’Istituto Cattaneo: nell’82% dei casi chi vince al secondo turno ha più voti di chi era arrivato in testa al primo turno e quindi il vincente è più legittimato; l’idea di sconvolgimenti assoluti tra i due turni è smentita, visto che in poco più del 70% dei casi il vincitore era anche in testa al primo turno; la questione di ammettere apparentamenti tra un turno e l’altro non ha effetti significativi sul voto, tant’è che i candidati sindaci, ben sapendolo, vi ricorrono solo nel 16,7% dei casi. Rispetto poi alle logiche di parte il voto rivela un contesto così mobile in cui non si può affatto capire chi sia il possibile beneficiario sul medio termine e, quindi, anche chi non ha votato l’Italicum sarà meno tentato da rimetterlo in discussione. Resta comunque da rilevare che qualsiasi previsione è strutturalmente impossibile perché un doppio turno nazionale ha un appeal potenziale ben maggiore di quello dei sindaci: potremmo avere una differenza anche di venti punti percentuali di affluenza. Inoltre cambiano, e non di poco, le motivazioni di voto: una lista di protesta può essere attraente a livello di comune, ma chiedere e ottenere su di essa un voto per il Governo è un’altra cosa. Se le considerazioni precedenti sono vere, e se quindi tutti e tre i principali schieramenti si possono sentire competitivi, dovrebbe essere non difficile l’iter della riforma costituzionale, complemento logico di quella elettorale e che dà più tempo alle forze politiche per avanzare nella legislatura e ristrutturare la propria offerta senza corse precipitose alle urne. L’obiettivo di un referendum confermativo contestuale alle amministrative 2016, con alcuni emendamenti ma senza snaturare il progetto, sembra ancora praticabile. E’ poi ragionevole prevedere anche un iter positivo, entro fine anno, per le cosiddette unioni civili: pochi considerano che questo è un Parlamento molto giovane e quindi favorevole all’espansione dei diritti in questo ambito in cui la linea di frattura è generazionale e dove, peraltro, opporsi significa alienarsi le nuove generazioni di elettori. Più delicata è invece la vicenda della riforma della scuola e più in generale la pubblica amministrazione, dove la constituency tradizionale del centrosinistra costituisce ancora un potere di veto più che significativo, specie se i messaggi verso i potenziali beneficiari restano piuttosto contraddittori: qui è più prevedibile una logica di stop and go. Dopo queste elezioni di medio termine la navigazione è diventata ben più complicata senza il plusvalore del dato plebiscitario delle europee e anche qualche momentaneo sbandamento è da mettere nel conto. Tuttavia, è bene ricordarlo, mai nessun leader del centrosinistra è riuscito ad avere la guida sia del Governo sia del partito. Sinché dura questa condizione, la principale riforma di fatto introdotta da Renzi, e al netto dei difficili rapporti europei su crisi greca e immigrazione, il Governo non sarà comunque in pericolo né in termini di esistenza né di slancio riformatore complessivo.

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