CONVEGNO
VITTORIO BACHELET:L’IMPEGNO COME RESPONSABILITA’ E COME ESEMPIO
ESSERE OGGI PROFESSORI NELL’UNIVERSITA’
di
Fulco Lanchester
1-Premessa- Signor Presidente della Repubblica, Rettore Magnifico, Signora Miesi Bachelet, svolgere l’argomento su essere oggi professori nell’ Università alla luce della lezione di Vittorio Bachelet rischia di assumere per me in quest’Aula magna il carattere di uno psicodramma individuale, che richiama – in quest’anno finale della mia attività di docente – il mio ingresso in questo Ateneo come assistente ordinario, selezionato da una commissione composta da Mario Galizia, Vittorio Bachelet e Giuliano Amato nell’ormai lontano 1978.
Per evitare i problemi della personalizzazione, delimiterò i confini del tema in oggetto sulla base di un’analisi storica, al fine di evidenziare come sia mutato il ruolo del docente universitario all’interno del contesto degli ultimi decenni, ma anche come permanga, nell’ambito di una istituzione che richiede humboldtianamente la duplice vocazione alla ricerca e alla didattica, l’esigenza di impegno personale e di dedizione civica.
Università, discenti e docenti –al di là delle apparenze- non sono infatti definibili una volta per tutte. Essi mutano il loro contenuto nel tempo, anche se deve essere costante la dedizione del singolo nell’attività in cui è impegnato e nel contesto in cui essa si iscrive.
Il legame ideale di questo intervento con l’anniversario che ci riunisce in quest’aula si situa-a mio avviso- nell’esemplarità del complessivo magistero di Vittorio Bachelet, che trascende la storicità del Suo sacrificio e lo inserisce nella prospettiva civica del patriottismo costituzionale .
2-L’Università – L’Università – molti non lo ricordano – è una istituzione storicamente situata ed è la storia della stessa “Sapienza” di Roma che certifica come essa si sia trasformata nel tempo. L’istruzione superiore del periodo medievale e quella dello stesso Stato nazionale accentrato risultano profondamente differenti rispetto all’ attuale, al di là della copia anastatica della Bolla di Bonifacio VIII del 1303, che viene opportunamente distribuita al fine di rievocare le nostre radici.
L’istruzione di massa e i fenomeni di integrazione sovranazionale e di globalizzazione hanno costituito una vera e propria cesura con l’istruzione superiore dello stesso Stato nazionale del secolo scorso. L’Università di élite ottocentesca o primo novecentesca appare una istituzione profondamente diversa da quella esplosa alla fine degli anni Sessanta, dopo l’incubazione successiva al primo conflitto mondiale. La stessa docenza universitaria, sia come ruolo sociale sia come numero dei componenti, è radicalmente mutata.
Quando Bachelet si laureò con Lionello Levi Sandri nel novembre del 1947 per poi divenire allievo di Guido Zanobini nella scuola romana di diritto amministrativo improntata alla lezione romaniana, i professori universitari di ruolo erano circa 200 a Roma e 1200 in tutta Italia; gli studenti rispettivamente 39.500 e 190.000. Oggi il settore allargato dei docenti conta a livello nazionale più di 80.000 persone, quello dei professori di prima fascia 13.000 (livello simile a quello degli anni ’80), mentre gli studenti ammontano a circa 1.700.000.
Bachelet vinse la cattedra nel 1962 in un ambiente che ancora respirava l’aria dell’Università di élite. Quando nel 1974 egli passò dalla Università Pro-Deo, dove era stato chiamato nel 1968 (auspici Roberto Lucifredi e Egidio Tosato), alla Facoltà di Scienze politiche dello Studium Urbis, allora unica università statale romana, gli ordinari a livello nazionale erano ancora circa 2.000.
Lo Studium Urbis- in cui Bachelet si formò come studente dal 1943, come assistente dal 1948 e poi operò come professore- era divenuto solo nel periodo immediatamente successivo al primo conflitto mondiale la Università più popolata d’Italia, scalzando quella di Napoli ancora unico istituto di istruzione superiore nell’ambito dell’Italia meridionale non insulare. Dopo il 1870 e la fine del potere temporale pontificio, l’Università romana si era caratterizzata in maniera progressiva come un luogo di equilibrio consolidato tra accademia e politica. Sin dal periodo liberale oligarchico i docenti dello Studium Urbis esercitarono azione di consulenza per e molto spesso fecero parte del ceto politico parlamentare per nomina (Senato del Regno) o elezione(Camera dei deputati).
Con la morte di Aldo Moro nel 1978 e poi di Vittorio Bachelet(1980) questo rapporto si è ridotto progressivamente con l’emanazione del DPR 382 del 1980, che, ai sensi dell’art.13, introdusse l’aspettativa obbligatoria per situazione di incompatibilità. In quello stesso periodo vennero applicate le prime normative per il decongestionamento dello Studium Urbis, ipotizzate dai provvedimenti urgenti del 1973. L’istituzione della Università di Tor Vergata nel 1982 e poi nel 1992 dell’Università di Roma 3 si accompagnarono al processo di istituzione di numerose università private (Luiss-erede della Pro Deo-,Lumsa,S.Pio V,ecc.), che- con quelle pontificie ed estere- caratterizzano il panorama romano.
Più in generale le trasformazioni dell’istruzione superiore dicono che nel tempo si è prodotto un effetto di licealizzazione del settore, con fenomeni di esternalizzazione della ricerca e con la trasformazione degli atenei statali in luoghi di reclutamento vincolati dalle vie di comunicazione urbane ed extra –urbane dei territori.
3-L’Istruzione superiore oggi-Tutto questo renderebbe l’attuale università forse irriconoscibile allo stesso Vittorio Bachelet, ma gli farebbe probabilmente dire che, come si è innovata la Chiesa con il Concilio Vaticano II , così con i tempi doveva mutare l’istruzione superiore, sviluppandosi in profondità ed in estensione.
Ciò che non muta, ma si conferma è che l’attività del professore universitario non è puramente un mestiere, ma weberianamente costituisce una vocazione (Beruf),che si inserisce funzionalmente nell’ambito di quanto profilato dagli art.9, 33 e 34 della Cost. ed abbisogna di risorse e di coerente indirizzo da parte dei pubblici poteri.
Come già sostenne Ernesto Nathan nella sua prolusione al corso di Etica professionale (impartito nel 1906 nel Regio Istituto di studi commerciali che poi si sarebbe inserito nello Studium Urbis negli anni Trenta), l’etica pubblica costruita su quella professionale comporta che ciascuno di noi veda nella didattica e nella ricerca una vocazione spirituale che trascende la materialità degli interessi personali e si riversa nel pubblico come un servizio. In questa prospettiva, l’esempio di Bachelet (ma anche quello di Aldo Moro, di Ezio Tarantellli e di Massimo D’Antona, per citare chi in epoche diverse, ma tra loro correlate, ha perso la vita nella temperie della lunga crisi italiana) ci indica la strada dell’impegno giornaliero, sereno e disponibile nei confronti di tutti (in particolare dei più giovani) che a volte può divenire esemplare fino al sacrificio della vita.
In questa specifica dimensione, Signor Presidente, la testimonianza (ovvero il martirio) di Vittorio Bachelet sulle scale della più antica Facoltà statale di Scienze politiche d’Italia, dove la lapide in Suo ricordo attende di essere ricollocata, si iscrive idealmente su un altro marmo alla base di quel monumento che un secolo fa lo scultore Amleto Cataldi realizzò per commemorare i caduti di questa Università nel primo conflitto mondiale e che, dopo la seconda guerra mondiale, comprende tutti i componenti di questa Comunità, che hanno dato la vita per la Patria.
La statua, eretta con sottoscrizione nazionale nel 1921 nel cortile della Sapienza di S. Ivo, vigila ora – dopo significativi spostamenti – tra Giurisprudenza e Scienze politiche qui accanto ed evidenzia quel patriottismo costituzionale, che come è iscritto alla base porta dalla morte alla immortalità.
Essere professori nell’Università nella realtà è molto più prosaico e sicuramente meno eroico. Quell’esempio di quaranta anni fa sulle scale di una Facoltà oramai trasformata ci ricorda però che il dovere perseguito da Vittorio Bachelet è anche il “nostro” di ogni giorno e non è stato solo il “Suo” dovere, come dice la lapide. Esso ci indica, infatti, una vera e propria religione civile, fondata saldamente sulla Costituzione repubblicana, che- nel circuito virtuoso degli artt. 4,48,52,54- deve unire tutti noi, credenti e non credenti, nel perseguimento del bene comune.