Le ragioni del sì in risposta ad alcune domande
- a) Questa riforma si occupa di questioni rilevanti?
La riforma costituzionale si occupa di alcune questioni molto
rilevanti e di altre meno rilevanti. Considero di grandissimo rilievo,
nell’ordine, la trasformazione del nostro sistema bicamerale, il
tentativo di chiarire i rapporti fra Stato e Regioni, il potenziamento
dell’iter legislativo per i progetti governativi, la limitazione dei
decreti legge, il tentativo di rilanciare gli istituti di partecipazione
popolare. Considero utili, ma non decisivi, la soppressione di ogni
riferimento alle Province in Costituzione e l’abolizione del Consiglio
nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL).
- b) Questa riforma cerca di affrontare le vere priorità costituzionali
che, sulla base dell’esperienza, dobbiamo risolvere?
Sì, quelle che la riforma costituzionale affronta sono le priorità: la
primissima è il superamento del bicameralismo paritario indifferenziato,
un unicum al mondo. È inutile, anzi dannoso, avere due Camere
che rappresentano i cittadini politicamente organizzati e fanno
le stesse cose. In questo quadro la priorità delle priorità – ai fini
della governabilità – è la soppressione della doppia fiducia: la
relazione fiduciaria col Governo deve essere intrattenuta solo da
una Camera (quella partiticamente organizzata), come ovunque nel
mondo. In secondo luogo, da anni si è diffusa l’opinione secondo la
quale la riforma del Titolo V del 2001 va rivista, perché la situazione
dei rapporti Stato-Regioni e la funzionalità del sistema regionale sono
insoddisfacenti. Questa è la seconda colonna della riforma.
- c) Questa riforma fa ricorso a soluzioni che promettano di dare
risposta a quelle priorità?
Ogni riforma comporta incertezze: sulla sua attuazione, sulla sua
capacità di perseguire efficacemente gli obiettivi. Lo stesso vale per
questa. Tuttavia, l’abolizione della doppia fiducia sarebbe un dato
di fatto d’immediata e fondamentale utilità; inoltre la prevalenza
legislativa della Camera, a parte limitate materie bicamerali, sarebbe
pure funzionale, immediatamente applicabile e certa. Lo stesso
deve dirsi dell’abolizione del CNEL e della soppressione di ogni
riferimento alle Province. Una questione di fondo riguarda il nuovo
assetto bicamerale e il ruolo del Senato. L’obiettivo strategico è
di portare al centro del sistema parlamentare, in una delle due
Camere, gli interessi delle istituzioni territoriali, come previsto
dalla riforma. Sarà possibile? Il meccanismo elaborato dà garanzie,
ma contiene anche incertezze (cfr punto e).
456 Carlo Fusaro
- d) Come si pone questa riforma rispetto alla nostra tradizione costituzionale,
alle elaborazioni degli studiosi di diritto e agli sforzi del
Parlamento nei decenni passati?
Le soluzioni individuate si pongono in linea di continuità con
la storia costituzionale italiana del dopoguerra. Già all’Assemblea
Costituente la Commissione per la Costituzione (presieduta da
Meuccio Ruini) propose all’aula un Senato formato per un terzo da
senatori eletti indirettamente dai Consigli regionali. L’idea fu poi
abbandonata per la scelta prudenziale di suddividere la sovranità
popolare in due assemblee quasi identiche (anche per i timori di De
Gasperi in caso di vittoria elettorale del Fronte popolare). Lo stesso
Ruini, nel presentare il progetto al voto finale il 22 dicembre 1947,
disse che la soluzione scelta sul bicameralismo era insoddisfacente.
Dagli anni ’80 si va cercando come differenziare le due Camere per
rappresentanza e funzioni. Da decenni la quasi unanimità degli
studiosi ha identificato nella rappresentanza territoriale l’unica
possibile ragion d’essere odierna di una seconda Camera, come
dimostrano anche i progetti elaborati negli anni ’90, quello del centro-
destra del 2006 e quello della Commissione affari costituzionali
del 2007, nessuno giunto a buon fine. Del resto, l’intera riforma si
ispira direttamente ai lavori della Commissione Quagliariello del
2013 con pochi adattamenti.
- e) Questa riforma dal punto di vista tecnico appare adeguata?
Nonostante quel che si legge, le soluzioni tecniche individuate
dalla riforma appaiono quasi tutte adeguate. Il processo legislativo
è chiaro e semplice. È vero che con la riforma appare più complesso:
ma è inevitabile se si passa da un contesto in cui le due Camere
fanno le identiche cose a uno nel quale occorre specificare
che cosa e con quali poteri differenziati può fare d’ora in poi
una di esse (il Senato). Il raffronto tra le 9 parole dell’attuale art.
70 con le 438 del nuovo non ha senso. È così in tutte le Costituzioni
dove c’è da separare quel che fa il Parlamento da quel che fanno
le Assemblee regionali. In Germania, ad esempio, il procedimento
legislativo è disciplinato dal Grundgesetz (artt. da 70 a 82) in 3.178
parole per 19.950 battute; nella riforma costituzionale (artt. da 70 a
74 e art. 117) sono 1.885 parole e 13.050 battute.
L’altra scelta fondamentale – l’abolizione della competenza
legislativa concorrente Stato-Regioni – tocca una materia molto tecnica
sulla quale gli studiosi sono divisi. A me pare concettualmente
una buona soluzione: ci sono materie riservate allo Stato, il resto è
regionale. Lo Stato però – ove ve ne siano ragioni e il Parlamento,
in cui sono presenti le istituzioni subnazionali, così disponga – può
sempre intervenire. Così le ragioni di conflitto dovrebbero essere
ridotte: sia perché è chiarito chi ha l’ultima parola, sia perché tutti
sono coinvolti.
- f) Questa riforma ha una sua interna coerenza?
La riforma costituzionale ha una coerenza interna molto solida.
Questa è una delle ragioni per cui non è sensato sottoporla a diversi
referendum invece di uno solo (opzione, tra l’altro, non prevista
dall’ordinamento). Riforma del bicameralismo con Camera di
rappresentanza degli interessi delle istituzioni territoriali e riforma
del Titolo V si tengono l’un l’altra. La composizione indiretta
del Senato è coerente con le sue nuove funzioni e con l’abolizione
della doppia fiducia (solo la Camera dà e toglie la fiducia al Governo,
essendo l’unica Camera a vocazione politica generale); i senatori
restano anche consiglieri regionali e sindaci proprio per un mutuo
scambio di esperienze e di interessi. Il Governo ottiene finalmente la
corsia preferenziale per suoi progetti, mentre nel contempo è limitato
il suo potere di decretazione. Si rafforza potenzialmente la governabilità
e si rilanciano gli istituti di partecipazione, si alzano alcuni
quorum (elezione del presidente della Repubblica) e si introducono
nuove garanzie (ricorso diretto delle minoranze alla Corte Costituzionale
sulle leggi elettorali).
- g) Come si coordina questa riforma con quella elettorale della sola
Camera approvata l’anno scorso (“Italicum”)?
In caso di vittoria del “sì”, la riforma approvata sarà la prima ad
affrontare contestualmente e coordinare la riforma elettorale della
sola Camera 1, titolare del rapporto fiduciario, e quella della parte
II della Costituzione. Il corpo elettorale, grazie all’“Italicum”,
esprimerà rappresentanza (con uno sbarramento limitato al 3% che
garantisce ampio pluralismo) e Governo (con il premio che dà la
maggioranza a una sola lista).
- h) Questa riforma pone incertezze e dubbi interpretativi, e quali?
Ogni riforma pone dubbi interpretativi per il solo fatto di essere
una novità. Ma questi sono quasi sempre figli di divergenti strategie
politico-istituzionali che, dopo essersi fronteggiate al momento della
stesura e del varo della nuova norma, si ripropongono dopo sul piano
dell’interpretazione. Nel caso specifico, la maggiore incertezza
riguarda l’interpretazione della norma costituzionale (pasticciata
per ragioni di compromesso) sulla composizione del Senato:
l’elezione dei senatori è indiretta, essendo eletti da parte dei Consigli
regionali, ma anche in qualche modo collegata col voto popolare al
momento delle elezioni regionali. Secondo la sua formulazione, la
futura legge elettorale per il Senato potrà spingere verso senatori più
autonomi e politici o verso senatori più direttamente legati alle istituzioni
territoriali e meno influenzati dai partiti. Ma questa duplice
alternativa non inficia la riforma alla radice.
- i) Questa riforma può creare problemi nuovi, e quali?
Non credo, in tutta onestà intellettuale, che la riforma creerà più
problemi di quanti non potrà risolverne. Il funzionamento attuale
delle nostre istituzioni politiche e del sistema dei rapporti Stato-
Regioni è tale che pare difficile immaginare che possano peggiorare,
anzi taluni miglioramenti si daranno per forza. Se la governabilità,
come dovrebbe essere certo, risulterà rafforzata, si potranno anche
correggere eventuali errori e risolvere antinomie che emergessero.
- j) Questa riforma abbisogna di adempimenti successivi e qual è la
probabilità che questi siano attuati? Infine, in sintesi: il nostro ordinamento
costituzionale considerato nel suo complesso, a riforma approvata,
sarà più o meno funzionale rispetto a quello attuale? I cittadini ne trarranno
vantaggio, in che misura e in che direzione?
Quanto fin qui visto serve a rispondere a questo ultimo quesito.
Di certo la riforma imporrà vari adempimenti successivi. Fu lo stesso
per la Costituzione del 1948: si pensi ai tempi di attuazione della
Corte Costituzionale o delle Regioni. Tra ciò che dovrà essere fatto
vi è: legge elettorale per il Senato, nuovi regolamenti parlamentari (e
dei Consigli regionali), nuova disciplina del referendum propositivo,
disciplina del referendum abrogativo rafforzato, nuova disciplina delle
proposte di iniziativa legislativa popolare. La realizzazione dipende
dalla volontà politica, ma è certo che, a riforma approvata, questa
volontà politica, quale che sia, potrà esprimersi più agevolmente e chi
governerà e disporrà di una maggioranza dovrà risponderne davanti
ai cittadini, senza ambiguità.
L’organizzazione costituzionale che ne verrà sarà, con alto
grado di probabilità, più funzionale dell’attuale, e anche meno
costosa. Il risparmio sarà non (solo) finanziario, ma soprattutto
in termini di aumentata capacità di perseguire politiche pubbliche
coerenti per il tempo necessario e al momento opportuno. È bene
ricordare che la riforma riguarda solo la parte II della Costituzione:
in pratica va considerata come il tentativo di attrezzarsi per meglio
perseguire principi e valori della parte I, che nessuno vuole toccare.
In questo senso i cittadini dovrebbero poterne trarre vantaggi. Con
le riforme non si mangia, disse una volta un accademico prestato
alla politica. Aveva torto e ragione: ragione perché riforme di questo
tipo possono solo fornire un armamentario istituzionale più funzionale,
non di più; torto perché senza strumenti istituzionali aggiornati
non si fanno le politiche di cui i cittadini hanno bisogno. Sono
la classica precondizione necessaria ma – ahimé – non sufficiente.
Qualche osservazione sulle ragioni di chi è contrario
Avversari antichi (quelli che sono stati sempre contrari a ogni
riforma, specie se di rafforzamento della governabilità) e avversari
recenti (quelli che si sono scoperti alleati dei primi per ragioni
– legittime, ma non giustificabili – di posizionamento rispetto alla
maggioranza e al Governo) hanno rovesciato sulla riforma costituzionale
un’alluvione di critiche sulle quali posso soffermarmi solo
brevemente.
- a) Critiche di metodo
– «Le riforme si fanno (solo) tutti insieme»: ma così si paralizza
tutto, si concedono poteri di veto (perfino a chi ha già votato quasi
lo stesso testo!), si rinvia alle calende greche.
– «Le riforme le fa il Parlamento e non il Governo»: infatti così è
stato, il Governo ha proposto (come dappertutto nel mondo e anche
da noi in passato) e il Parlamento ha disposto (90 emendamenti, 27
articoli cambiati su 41 iniziali; aggiunte significative e anche qualche
peggioramento, ma così funziona la democrazia parlamentare).
Ho letto di forzature a suon di questioni di fiducia, ma è falso, i
regolamenti non lo permettono.
- b) Critiche sulla legittimazione
– «Questo Parlamento non avrebbe dovuto cimentarsi nella riforma
costituzionale perché formato sulla base di una legge elettorale
dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale». Ma la stessa
Corte ha detto che il Parlamento restava pienamente legittimato:
non si può scegliere quale pezzo di sentenza applicare! Direi il contrario:
se non questo Parlamento quale? Già dimenticato il discorso
di Napolitano a Camere riunite il 22 aprile 2013? E poi che facciamo,
torniamo indietro al 2006?
- c) Critiche di merito
– «La riforma combinata con l’“Italicum” mette tutto in mano
a una sola persona e a un solo partito». È vero che la riforma vuole
una più efficace e stabile governabilità, ma non solo non riduce le
garanzie, ma le aumenta. Le maggioranze dei tre quinti sono per la
Camera 378; per il Senato 60; a Camere unite 438. L’Italicum assegna
340 seggi alla Camera, quindi neanche contando su una compattezza
granitica della maggioranza (mai vista!) questa può far da sé.
– «Riguardo al Senato, si sostiene che era meglio il monocameralismo
». Ma non è utile la rappresentanza delle istituzioni regionali e
locali? La composizione del Senato è ritenuta sbagliata: vero, sarebbe
stato meglio seguire il modello del Bundesrat tedesco, ma la rappresentanza
unitaria dei governi regionali non è oggi possibile perché il
PD ne controlla troppi (17 su 21). Giustamente non è chiaro perché
siano previsti i senatori presidenziali, ma il loro numero è contenuto
e la loro presenza non basta per sciupare il resto. Infine, l’osservazione
che bisognava ridurre i deputati, magari con qualche senatore
in più, è facile da dire, impossibile da realizzare!
– «Il procedimento legislativo è complicato, ce ne sono troppi».
In realtà sono solo due, con una variante principale. Leggi bicamerali
e leggi a prevalenza della Camera (tutte le altre); fra queste
ultime, quelle che permettono di “invadere” la competenza regionale
prevedono un ruolo rafforzato del Senato. Poi ci sono alcuni
procedimenti speciali, come esistono già oggi, anche se diversi dagli
attuali. Le critiche sulla qualità letteraria del testo sono fondate, ma
è lo stesso per tutti i prodotti legislativi e tutte le Costituzioni più
recenti.
– «Troppa demagogia sui costi ridotti». Non è l’aspetto decisivo,
ma, dopo anni di campagne sui costi della politica, 315 indennità
parlamentari in meno, limiti a quelle dei consiglieri regionali, blocco
del finanziamento dei gruppi e unificazione delle amministrazioni
di Camera e Senato non sono da buttar via.
– «Le Regioni sono ridotte a enti amministrativi». In realtà non
è così. È stata chiarita la supremazia legislativa statale, come in
Germania, ma il resto dipenderà dalla capacità delle classi dirigenti
regionali. Non è stata affrontata la riforma delle Regioni a statuto
speciale, ma è un capitolo impegnativo e almeno in un caso tocca le
relazioni internazionali.
- d) Critiche sul referendum
– «Non avrebbe dovuto essere promosso anche dai fautori del sì»:
a parte che nulla lo vieta, perché sarebbe stato inopportuno? Proprio
coloro che considerano delegittimato questo Parlamento dovrebbero
apprezzare la volontà anche della maggioranza di sottoporre una
decisione così importante al corpo elettorale.
L’ha ribloggato su POLITICHE SOCIALI e SERVIZI:.