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L-36

 

Traccia della lezione n. 12

15.03.23 ore 8.30

 

Oggi parliamo di sistemi elettorali (Frosini Cap. V, in particolare par. 6-8). E’ possibile che una parte di questi contenuti sia comunque esposta nella prossima lezione, vi propongo però lo schema intero perché si capisce meglio se non frazionato.

Segnalo anzitutto che nella parte dei materiali didattici del sito, sulla destra,

https://corsidilaurea.uniroma1.it/it/users/stefanoceccantiuniroma1it

avete nell’ordine le schede elettorali di Regno Unito (deputati e sindaci), Usa (election day) , Germania (deputati), Francia (Presidenziali e deputati), Spagna (deputati).

 

Prima però riprendo lo schema esposto ieri a doppia matrice sulla classificazione delle forme di governo che le spiega in prima approssimazione sulla base di criteri giuridici (tipi) e del suistema politico (sottotipi)

1- elezione diretta Capo dello Stato No, rapporto fiduciario No: forma direttoriale (collaborazione iniziale dei poteri).

2- elezione diretta Capo dello Stato Sì, rapporto fiduciario Sì: forma semi-presidenziale (è però preferibile espungere da qui quelle forme in cui i poteri formali del Presidente sono deboli, in cui è assente in particolare il potere di scioglimento discrezionale che finiscono quindi nella casella seguente). Si possono suddividere in due sottotipi a seconda di chi detenga il primato nell’effettivo indirizzo politico: prevalenza del Presidente (Francia); del Primo Ministro (gli altri casi).

3- elezione diretta Capo dello Stato No, rapporto fiduciario Sì: forma parlamentare (il Governo è emanazione permanente del Parlamento) con due sottotipi a seconda del sistema dei partiti: maggioritaria o neo-parlamentare quando poggia su un sistema bipolare o bipartitico; non maggioritaria con Governi di breve durata o Grandi coalizioni con le principali forze politiche in caso di sistema multipolare.

4- elezione (formalmente o sostanzialmente) diretta del capo dello Stato Sì, rapporto fiduciario No: forma presidenziale.

 

Passando ai sistemi elettorali e al loro cuore, le formule elettorali (il meccanismo di trasformazione dei voti in seggi) Il Manuale segnala anzitutto che la scelta tra sistemi maggioritari e non maggioritari dipende da una lettura della realtà storico-sociale: il principio maggioritario è adottato in società relativamente omogenee, non segnate da fratture troppo profonde; nel caso di una relativa omogeneità l’elettorato è almeno in parte mobile; ciò rende possibile l’alternanza al governo, che una minoranza di oggi possa diventare maggioranza domani. Il sistema elettorale nelle democrazie parlamentari che si basano su questo principio è utilizzato come trasformatore di energia, con una visione lunga che parte dall’elettore per passare attraverso il Parlamento e giungere di fatto anche a una legittimazione diretta dei Governi, all’attivazione del principio di responsabilità politica (p. 147).

Viceversa nei sistemi in cui le fratture sociali sono più profonde si preferisce optare per sistemi più fotografici, che sacrificano di meno la corrispondenza tra voti e seggi, onde evitare che chi fosse escluso dal Governo si sentisse escluso anche dallo Stato.

Il problema è che la natura delle fratture può cambiare nel tempo; in particolare quelle ideologiche hanno spesso tendenza a ridursi di forza nel tempo. Questo può comportare l’esigenza di modificare le formule elettorali dando vita a processi di transizionale istituzionale pur nella continuità di una Forma di Stato democratico-sociale (Francia tra Quarta e Quinta Repubblica; Italia tra primo e secondo sistema dei partiti).

Le formule si dividono staticamente in:

maggioritarie (di solito associate a collegi uninominali come per deputati e senatori Usa e deputati del Regno Unito, eccezione grandi elettori Usa che è caso di formula maggioritaria plurinominale);

proporzionali (di solito con collegi plurinominali, eccezioni vecchio Senato Italia pre 1993 dove in realtà si trattava di un sistema proporzionale a preferenza bloccata).

A loro volta le maggioritarie si dividono in plurality (maggioranza relativa, di solito a turno unico, ma anche con doppi turni aperti a più di 2 candidati come per l’Assemblea nazionale francese dove può accedere chi abbia avuto al primo turno il 12,5% calcolato sugli aventi diritto) e majority (con maggioranza assoluta, di solito con turno doppio chiuso ai primi due, ma si può ottenere anche con un doppio voto in unico turno con una sorta di ballottaggio preventivo come per i sindaci inglesi, sistema detto di “voto supplementare”.

Le proporzionali si dividono in metodi del quoziente (più proporzionali) e del divisore (meno proporzionali, il più famoso è quello d’Hondt). Più è ampia la circoscrizione in cui si assegnano i seggi, intesa nel senso di numero più grande di seggi da assegnare, più c’è proporzionalità.

Negli ultimi anni è cresciuta in generale la tendenza verso formule cosiddette miste: una categoria eterogenea che andrebbe forse più correttamente suddivisa in formule a prevalenza maggioritaria (ad esempio le leggi elettorali italiane per Comuni e Regioni che pur basate su un impianto proporzionale danno una maggioranza garantita al Sindaco e al Presidente della Regione) e a prevalenza proporzionale (es. le leggi elettorali di Camera e Senato in Italia dove la parte maggioritaria in collegi uninominali copre circa i tre ottavi dei seggi).

In quest’ultimo caso il fatto che il risultato elettorale sia o meno decisivo con una legittimazione diretta degli esecutivi non è a priori scontato, dipende dalla distribuzione dei voti: se c’è uno schieramento largamente prevalente (2022) ciò accade, se invece c’è un certo equilibrio tra più schieramenti nelle vittorie uninominali ciò non accade (2018).

Nel caso italiano, di solito, l’alternativa ai Governi di legittimazione diretta è costituita in modo originale da un ruolo particolarmente attivo del Capo dello Stato che ha fatto parlare di forma di governo parlamentare “a correttivo presidenziale” (Lauvaux-Le Divellec).

Andiamo quindi ad esaminare le formule una per una nelle grandi democrazie per le Camere elettive dotate di rapporto fiduciario:

Regno Unito: uninominale maggioritario a turno unico formula plurality che è strutturato, combinandosi con un sistema sostanzialmente bipartitico, per tendere a produrre di norma una maggioranza monopartitica.

Francia: sistema uninominale maggioritario a doppio turno, acronimo SUMADT (sbarramento del 12,5% sugli aventi diritto al voto tra un turno e l’altro) con formula majority al primo turno e plurality al secondo; il suo rendimento, che porta a una bipolarizzazione nazionale, è in realtà dovuto all’effetto combinato con le Presidenziali che a partire dalle riforme del 2000 (quinquennato presidenziale, inversione del calendario elettorale) e, quindi, dal turno elettorale 2002, le precedono di poche settimane. Per le Presidenziali il sistema è majority perché il secondo turno è limitato a due candidati.

Germania: proporzionale integrale (non è una formula mista) con sbarramento del 5% (o 3 collegi vinti). Il voto su lista bloccata stabilisce QUANTI seggi spettano ai partiti, quello nei collegi QUALI sono i primi degli eletti di ciascun partito. Chi vince il collegio entra comunque alla Camera, ma un complesso sistema fa sì che comunque il risultato in seggi sia proporzionale ai voti. Il numero relativamente basso dei partiti dovuta anche all’articolo 21 della Costituzione che in origine proibiva rigidamente i partiti antisistema consentiva agevolmente la legittimazione diretta dei Governi con maggioranze a due o di centrodestra (Cdu-liberali) o di centrosinistra (Spd-Verdi). L’arrivo in Parlamento di due forze ritenute sinora non coalizzabili a livello nazionale (Afd a destra, Linke a sinistra) ha complicato il quadro portando prima a Grandi coalizioni tra i primi due partiti e ora a un Governo a tre (Spd, Verdi, Liberali) in cui comunque la carica di Cancelliere è assegnata al candidato indicato prima del voto dal partito più grande.

Spagna: proporzionale in piccole circoscrizioni con formula D’Hondt senza recupero dei resti con sbarramento esplicito del 3% a livello circoscrizionale ma implicito di norma molto più alto che premia i partiti nazionali più grandi, punisce i partiti nazionali piccoli finché restano a livelli non superiori al 5-6% e rappresenta fedelmente i partiti regionalisti (PANE- partidos de ambito no estatal, per opposizione ai PAES, partidos de ambito estatal). In origine i PAES rilevanti erano Pp e Psoe e si avevano Governi monopartitici dell’uno o dell’altro, di maggioranza assoluta dei seggi (che conseguivano con poco più del40% circa dei voti e qualche punto di distacco dal secondo partito) o di maggioranza relativa, con appoggi esterni dei PANE. Ora il sistema si è complicato per l’affermazione di Podemos a sinistra e di Vox a destra e per la prima volta si è reso necessario un Governo a due Psoe-Podemos, peraltro di maggioranza relativa.

Per ciò che concerne l’Italia il post 1993 ha segnato il passaggio a sistemi elettorali misti a prevalenza maggioritaria a livello comunale e regionali abbinati coerentemente a forme di governo neo-parlamentari; a livello nazionale in ultimo (dal 2018) un sistema misto a prevalenza proporzionale con esiti incerti e invarianza di una forma di governo poco razionalizzata. Si è quindi avuta a livello nazionale un’alternanza tra Governi dotati di legittimazione diretta e di Governi imperniati sul “correttivo presidenziale”. Pertanto è aperto un dibattito con quattro posizioni prevalenti, che segnalo a partire dalla più distante dallo status quo: a) adozione di un sistema semi-presidenziale alla francese; B) adozione di un sistema a premierato elettivo analogo a quello adottato in Comuni e Regioni; c) adozione di un sistema a premierato non elettivo che legittimi direttamente un Premier tramite il voto a una maggioranza ma meno rigido, meno automatico di quello previsto per Comuni e Regioni; d) mantenimento dello status quo.

I rapporti nazionali per il convegno di Lille di questa settimana sul riformismo costituzionale

http://bit.ly/3ypVFNn

 

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