Codice Opis corretto per compilazione questionari
GZDDY5JU
Traccia della lezione
16.05.23 ore 8.30
La lezione di oggi punta ad una ricostruzione storica delle riforme istituzionali ed elettorali.
Useremo due testi del 2015 e come tali inevitabilmente ferme al dibattito di allora, anche se le linee esplicative di fondo sono tuttira valide.
Sulle riforme istituzionali questo del prof. Fusaro
Sulle riforme elettorali questo del prof. Clementi
Fusaro tra vari dati ricorda a p. 433 (nota 6) le 3 Commissioni: Bozzi (1983-1985), De Mita-Jotti (1992-1994), D’Alema (1997-1998).
Dal 1994 presso la Presidenza del Consiglio esiste un apposito dipartimento (p. 434).
La consapevolezza di uno scarto significativo tra il compromesso alto sulla Prima Parte e di quello con strumenti istituzionali deboli nella Seconda fu già espressa il 22 dicembre 1947, il giorno dell’approvazione, da Meuccio Ruini (p. 436), Presidente della Commissione dei 75 che aveva predisposto il Progetto di Costituzione.
Questa contraddizione reale aveva la sua profonda ragione nel clima di sfiducia reciproca tra le forze politiche, ben ricostruita da Dossetti nelle citazioni a p. 443.
Il primo tentativo di correzione fu in realtà sul terreno elettorale con la legge a premio del 1953, che però non scattò (p. 444). Nel frattempo la forma di Governo dopo de Gasperi si consolida con un elemento patologico rispetto alle altre fdg parlamentari, senza l’unione personale tra leadership del partito maggiore e premiership (nota 29).
Dal fallimento del premio si sviluppò un movimento opposto si proporzionalizzazione delle leggi elettorali comunali (p. 446).
Sin da Einaudi, con la nomina di Pella, si cominciano a vedere le ampie tracce dualiste del testo (p. 447).
Il sistema, dopo il fallimento del Governo Tambroni, andava in direzione del centrosinistra, con l’associazione del Psi al Governo e un certo grado di compartecipazione del Pci nella legislazione (p. 453). Le forze contrarie a questo disegno svilupparono alcune prime iniziative di tipo più culturale in chiave presidenzialista (pp. 450-451) senza conseguenze effettive.
Vi fu solo la piccola riforma del bicameralismo, con l’equiparazione della durata tra Camera e Senato (p. 453).
L’ordinamento regionale nel 1970 e i Regolamenti Parlamentari nel 1971 rappresentarono il culmine del principio consociativo-compromissorio (pp. 454-455), in modo da ricomporre progressivamente la rottura del 1947, anticipando la grande maggioranza di solidarietà nazionale del 1976, che però non sopravvisse alla crisi legata all’installazione degli euromissili, che riportò il Pci all’opposizione.
Si svilupparono allora due iniziative, una più ambiziosa, la Grande riforma del Psi, in direzione presidenziale, e una più modesta, il decalogo Spadolini, la prima non ebbe conseguenze pratiche, la seconda un’attuazione parziale e differita, tra cui la legge sulla Presidenza del Consiglio e la riduzione del voto segreto nel 1988 (nota 66). Si trattava dell’accettazione del principio maggioritario nel funzionamento interno delle istituzioni (p. 466).
Lo scontro sul voto segreto insieme ai dissensi sulla riforma elettorale determinarono il fallimento della Commissione Bozzi (p. 465), Tuttavia essa fu importante perché dopo trent’anni vennero rilegittimate proposte di riforma basate sulla correzione della proporzionale, in un nuovo quadro in cui poteva, a differenza del 1953, poteva essere immaginabile un’effettiva alternanza (p. 465). Il maggioritarismo di funzionamento trascinava un possibile maggioritarismo di composizione, verso cui, dopo la fine della rendita di posizione (più apparente che reale) si orientava anche il Pci di Occhetto (p. 469).
I due maggiori partiti di governo, Dc e Psi, in seguito agli eventi del 1989, si chiusero in una logica autoconservativa e impedirono con quattro voti di fiducia l’inserimento dell’elezione diretta del sindaco nella nuova legge comunale (p. 470) cosa che scatenò la spinta referendaria nei due passaggi del 1991 (preferenza unica) e 1993 (legge elettorale Senato) (p. 471), mentre senza esito restò il Messaggio del Presidente Cossiga del 1991 (p. 47).
La durata breve della legislatura 1992-1994 consentì solo l’adozione delle leggi Mattarella, in sostanza adattando alla Camera le quote di proporzionale e maggioritario derivanti per il Senato dal voto referendario, mentre cadde nel nulla la Commissione De Mita-Jotti che in fondò servì solo per la predisposizione di quelle leggi (p. 477).
Breve anche la legislatura 1994-1996 che fu segnata solo dalla nuova legge elettorale a premio di maggioranza (p. 479), decisiva nel 1995 per far esplodere in due pezzi il terzo polo centrista (Ppi unitario e Patto Segni). Il comitato di studio Speroni durante il Governo Berlusconi fu comunque il primo in cui vennero presentati come testi alternativi uno di carattere semi-presidenziale e uno neo-parlamentare, progetti che a distanza di pochi giorni vennero poi proposti a ridosso dello scioglimento per tentare la formazione di un Governo di larghe intese che li rendesse possibili, mentre la Lega poneva all’ordine del giorno un diverso assetto di tipo di Stato (p. 482-483).
La legislatura 1996-2001 vide il fallimento della Bicamerale D’Alema che si era orientata verso il semi-presidenzialismo in seguito a un’improvvisa, ma non casuale, posizione assunta dalla Lega (p. 483). In essa però maturò la successiva riforma del Titolo V (approvata con referendum nel 2001, p. 490), mentre, in seguito ad alcune crisi regionali che avevano dimostrato insufficiente la sola riforma elettorale, il sistema fu completato adottando anche per le regioni il modello neoparlamentare dei comuni (p. 488).
Nella legislatura 2001-2006 maturò dentro la maggioranza di centro-destra un progetto modellato su un’ipotesi premierato, peraltro con alcuni poteri anomali di un Senato sganciato dal rapporto fiduciario, che fu alla fine bocciato nel referendum, ma nel frattempo furono comunque approvate le leggi elettorali ideate dal Ministro Calderoli, fondate sul premio di maggioranza nazionale alla Camera e su premi regionali al Senato (in modo da fermare il possibile successo del centrosinistra) e su liste bloccate estremamente lunghe in luogo dei collegi uninominali e delle liste corte delle leggi Mattarella (p. 495). Leggi che furono utilizzate sia nel 2006 sia nel 2008, al termine della legislatura breve segnata dal Governo Prodi II.
Nella legislatura 2008-2013, chiusasi con lo choc della crisi economica del Governo Monti, l’unica innovazione significativa fu l’introduzione dello sbarramento del 4% per le europee (p. 499).
In quella 2013-2018 durante il Governo Letta fu costituito un comitato di esperti guidato dal Ministro Quagliariello, che elaborò un modello fondato sul premierato non elettivo e su una nuova riforma del Titolo Quinto che riaccentrava alcune competenze (p. 505). Parte di quei contenuti venivano poi riproposti dal Governo Renzi in un progetto di legge maturato anche col consenso di Silvio Berlusconi. Ritiratosi quest’ultimo dall’accorto in seguito all’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale (qui si ferma il testo del prof. Fusaro), il progetto fu sostenuto nel referendum del dicembre 2016 e fu quindi segnato dal successo dei No.
Il testo del prof. Clementi segnala che la legge elettorale per la Camera fu nella sostanza una fotocopia di quella iper-proporzionale usata per la Costituente e che venne poi a cristallizzarsi col Testo Unico del 1957, superata la parentesi del premio di maggioranza del 1953 (p. 565), mentre quella del Senato era di poco più selettiva a causa della base regionale. In ogni caso, analogamente a quanto spiegato da Fusaro per la forma di governo debole, tali scelte iper-fotografiche si spiegano per la sfiducia reciproca legata alla Guerra Fredda,
Tramontate le appartenenze tradizionali col 1989, sulla spinta dei referendum, il proporzionalismo fu messo in discussione prima con la legge 81 del marzo 1993 (quella in sostanza ancora vigente), quindi con le leggi Mattarella. Quest’ultima in realtà, a causa di vari meccanismi (il turno unico, la doppia scheda per la Camera, il cosiddetto scorporo, era stata immaginata per frenare la spinta bipolare, ma sia l’effetto delle prime competizioni per i sindaci sia la ristrutturazione dell’offerta politica con la nascita di Forza Italia impressero comunque quella curvatura al sistema (pp. 569-570). Essa venne poi estesa alle Regioni nel triplo passaggio 1995 (riforma elettorale), 1999 (elezione diretta dei Presidenti delle Regioni ordinarie in Costituzione) e 2001 (elezione diretta di quasi tutti quelli delle Speciali). (575).
Si passa poi a fine legislatura nel 2006 alle leggi Calderoli per ridurre i danni, in particolar modo al Senato, rispetto alla prevista vittoria del centrosinistra (p. 592). La legge viene demolita da una prima sentenza della Corte Costituzionale che produce una confusa normativa di risulta, per superare la quale si determinerà poi una serie di modifiche vanno oltre la pubblicazione dell’articolo: approvazione del cosiddetto Italicum con premio di maggioranza e ballottaggio nazionale solo per la Camera, concepito in raccordo con la riforma costituzionale che avrebbe dato la fiducia solo alla Camera, nuova sentenza della Corte dopo la bocciatura referendaria che mette in discussione l’Italicum e infine approvazione della legge Rosato tuttora vigente.
Nella
La mia agenda
https://stefanoceccanti.it/agenda/
Sito universitario
https://corsidilaurea.uniroma1.it/it/users/stefanoceccantiuniroma1it