Lezione 34 Corso di diritto costituzionale italiano e comparato A-L
Codice Opis corretto per compilazione questionari
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Traccia della lezione
17.05.23 ore 8.30
Per capire le proposte in campo sulle riforme costituzionali dobbiamo prima ragionare sulle convenzioni costituzionali, sul diritto pattizio tra le forze politiche che integra le norme costituzionali ed elettorali con effetti rilevanti sulla dinamica delle forme di governo.
Jean-Claude Colliard, rilevava che l’usanza generalizzata anche in sistemi non bipartitici di presentare prima delle elezioni candidati per la guida del Governo, di norma coincidenti col ruolo di leader del relativo partito, si era accompagnata alla convenzione di riconoscere nelle coalizioni di Governo la guida dell’esecutivo per l’intera legislatura al candidato della forza maggiore.
Si tratta quindi di un modello di Premierato non elettivo, una legittimazione di fatto, di norma ex post rispetto al voto.
Negli anni recenti molte forme di governo parlamentari hanno visto una maggiore frammentazione elettorale e una più difficoltosa costruzione di coalizioni, ma tuttavia questa convenzione fondamentale non è stata messa in discussione.
Non entro nelle questioni di classificazioni del sistema francese, è però ovvio che pur avendo un rapporto fiduciario, esso non funziona secondo i canoni descritti qui sopra, è evidente che funziona secondo altre convenzioni: è quindi un’eccezione, anche rispetto a tutti gli altri che praticano l’elezione diretta del Presidente. Qui ci aiuta un altro studioso, Pierre Avril: tra le plurime interpretazioni possibili del sistema francese, il quadriennio 1958-1962 diede al sistema un imprinting centrato sull’Eliseo che la revisione del 1962 sul passaggio all’elezione diretta si propose di stabilizzare pro futuro, incentivando così le forze politiche a modellare la loro leadership su candidati alle elezioni presidenziali.
Anche l’Italia però fa eccezione per altri aspetti.
Nel primo sistema dei partiti vigeva com’è noto la convenzione opposta alla normalità europea, per la quale il partito perno del sistema, la Democrazia Cristiana, praticava la dissociazione della guida del partito rispetto a quella del Governo per due ragioni di fondo: anzitutto per la sua natura di partito-confederazione di diverse correnti eterogenee, tenute insieme dal fatto che la sinistra fosse in Italia ad egemonia comunista; in commessione a questa logica, in un sistema privo di alternanza, questo semi turn-over della guida dell’esecutivo e del partito dava comunque una certa dinamicità, pur patologica, al sistema altrimenti ingessato. A ciò si aggiunse poi, col declino della Dc a partire dalle elezioni 1983, un’incapacità di far rispettare convenzioni relative alla cosiddetta ‘alternanza interna’ al pentapartito.
Una situazione abbastanza simile alla IV repubblica francese.
Passando al secondo sistema dei partiti, l’Italia sembra aver funzionato in modo analogo alle democrazie europee nel 1994 (Governo Berlusconi 1), nel 2001-2006 (Berlusconi 2 e 3), 2008-2011 (Berlusconi 4) ed oggi Meloni. Analogo ma non identico perché se si esclude la legislatura 2001-2006 (due Governi in continuità), negli altri casi gli esecutivi a legittimazione elettorale sono stati presto (1995) o tardi (2011) sostituiti da esecutivi tecnici di derivazione presidenziale. Il sistema ha operato in modo analogo anche nel 1996 (Prodi 1) e 2006 (Prodi 2) con la differenza sostanziale, però, per la quale il Presidente che aveva ricevuto una legittimazione diretta non era anche il leader del primo partito della coalizione.
Ma soprattutto, qui sta il problema, l’esperienza delle coalizioni post-elettorali della legislatura 2013-2018 e, ancor più, 2018-2022: in tutti questi casi le coalizioni non sono state guidate da un leader indicato prima del voto dal primo partito della coalizione o che, comunque, si sarebbe presentato alle elezioni successive e non sono durate una legislatura-
L’esperienza di queste coalizioni post-elettorali nel caso italiano ci dimostra pertanto che, nel nostro contesto, interventi di razionalizzazione della forma di governo che si fondassero sull’eliminazione di coalizioni pre-elettorali con sistemi proporzionalistici non conseguirebbero risultati analoghi agli altri Paesi che praticano le stesse regole.
Se si parte quindi da questo presupposto le alternative allo status quo insoddisfacente paiono essere tre.
Cito qui i sostenitori in sede dottrinale, non mi occupo dei partiti che hanno peraltro posizioni mutevoli.
Vi è chi, come il collega Frosini, propone da tempo il premierato elettivo, ossia l’estensione delle forme di governo comunale e regionale sul piano nazionale. A dir la verità in questo caso non ci sarebbe bisogno di convenzioni, ma farebbero tutto le norme sulla forma di governo. Ovviamente ciò può comportare la critica di un eccesso di rigidità per una forma di governo nazionale, in particolare con una compressione eccessiva del ruolo del Capo dello Stato.
Vi è chi poi, come il nostro carissimo collega Caravita, prematuramente scomparso, aveva già precisamente fatto in particolare nella Commissione di esperti del Governo Letta, suggerisce l’adozione del sistema francese. In queste settimane, a causa delle difficoltà politiche della Francia, di cui si è parlato in precedenza, la proposta è liquidata con eccessiva superficialità come se la crisi fosse costituzionale e non politica. Restano però comunque due obiezioni serie su cui riflettere: essa comporterebbe in Italia il sacrificio di un’istituzione super partes rivelatasi utile al funzionamento del sistema; col ritorno a un formato sostanzialmente bipolare, anche se asimmetrico, del sistema dei partiti, quest’ultimo si sta riorientando già verso la legittimazione diretta del vertice del governo, sicché le innovazioni potrebbero più ragionevolmente proporsi di razionalizzare questa tendenza già in corso, piuttosto che indirizzarsi altrove.
Qualora pertanto si desideri ragionare di premierato non elettivo nel caso italiano, oltre alla conferma come elemento necessario anche se non sufficiente di leggi elettorali selettive che favoriscano (come l’attuale) o che garantiscano (come potrebbero farlo sistemi a premio) una legittimazione elettorale, appare opportuno ragionare su norme costituzionali analoghe a quelle tedesche, spagnole o svedesi su fiducia, sfiducia e scioglimento che disincentivano le crisi e che possono anche provocare la nascita di convenzioni costituzionali che vadano nello stesso senso. Siccome questo terzo modello può sembrare tecnicamente più sfuggente rispetto ai due precedenti (per i quali basta guardare il testo Unico Enti Locali o la Costituzione francese) invito a rileggere qui il testo Salvi sul premierato alla Bicamerale D’Alema.
Il sistema è basato sull’indicazione sulla scheda e non sull’elezione diretta (art. 1), sull’aggiunta del potere di revoca (art. 2), sull’attribuzione del potere di scioglimento (art. 3), ma anche sulla possibilità di rimuovere il premier con mozione costruttiva a maggioranza assoluta (idem) o di sostituzione in vari casi tra quello di dimissioni sempre a maggioranza assoluta (art. 4). Sono formulazioni più spostate sul modello spagnolo. In alternativa sarebbe utilizzabili quelle tedesche (articoli 63,64, 67 e 68) più restrittive sullo scioglimento, la cui proposta scatterebbe solo in caso di bocciatura sulla questione di fiducia.
SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDI’ 28 MAGGIO 1997
ARTICOLATI PRESENTATI DAL SENATORE SALVI,
RELATORE SULLA FORMA DI GOVERNO
(TESTO A)
28 maggio 1997
ART. 1.
Il Governo della Repubblica è composto del Primo ministro e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.
La candidatura alla carica di Primo ministro avviene mediante collegamento con i candidati all’elezione del Parlamento, secondo le modalità stabilite dalla legge elettorale, che assicura altresi la pubblicazione del nome del candidato Primo ministro sulla scheda elettorale.
La legge può stabilire e regolamentare lo svolgimento di elezioni primarie per la candidatura alla carica di Primo ministro.
Non può essere candidato alla carica di Primo ministro chi abbia svolto tale funzione per tre legislature consecutive.
I finanziamenti e le spese per la campagna elettorale, nonché la partecipazione alle trasmissioni televisive, sono regolati dalla legge, al fine di assicurare equilibrio di condizioni tra i candidati.
Il Presidente della Repubblica, alla proclamazione dei risultati per l’elezione del Parlamento, nomina Primo ministro il candidato a tale carica al quale è collegata la maggioranza dei parlamentari eletti.
ART. 2.
Il Primo ministro, prima di assumere le funzioni, presta giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica.
Il Primo ministro nomina e revoca con proprio decreto i ministri.
Prima di assumere le funzioni, i ministri prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica.
La legge determina le incompatibilità tra le cariche di governo e la titolarità o lo svolgimento di attività private.
Entro dieci giorni dalla formazione del governo, il Primo ministro presenta il suo programma al Parlamento.
ART. 3.
Il Primo ministro, sentito il Consiglio dei ministri, sotto la sua esclusiva responsabilità, può chiedere lo scioglimento del Parlamento, che sarà decretato dal Presidente della Repubblica. Il decreto di scioglimento fissa la data delle elezioni.
La richiesta di scioglimento non può essere avanzata dopo la presentazione della mozione di sfiducia di cui ai commi seguenti.
Il Parlamento può esprimere la sfiducia al Primo ministro mediante l’approvazione di una mozione, che deve contenere la designazione di un nuovo Primo ministro, con votazione per appello nominale, a maggioranza assoluta dei suoi componenti.
La mozione di sfiducia deve essere sottoscritta da almeno un terzo dei componenti il Parlamento e non può essere messa in discussione prima che siano trascorsi tre giorni dalla presentazione.
Il Presidente della Repubblica nomina Primo ministro la persona designata nella mozione entro cinque giorni dall’approvazione.
ART. 4.
Nell’ipotesi di morte, dimissioni o impedimento del Primo ministro, il Parlamento elegge il Primo ministro con il voto della maggioranza assoluta dei suoi componenti. Qualora tale maggioranza non sia raggiunta in due votazioni successive, e comunque entro dieci giorni, il Presidente della Repubblica scioglie il Parlamento e indice nuove elezioni.
Il Primo ministro dimissionario non è immediatamente rieleggibile e non può far parte del nuovo governo.
ART. 5.
Il Primo ministro dirige la politica generale del governo e ne è responsabile; assicura l’unità di indirizzo politico e amministrativo; esercita l’iniziativa legislativa e presenta al Parlamento i disegni di legge approvati dal Consiglio dei ministri.
Nel rispetto dell’unità di indirizzo, ogni ministro adotta sotto la sua responsabilità gli atti di competenza.
ART. 6.
Il Primo ministro può chiedere che un disegno di legge del Governo sia votato entro una data determinata, secondo le modalità stabilite dal regolamento parlamentare.
ART. 7.
Il Governo esercita la potestà regolamentare nelle materie di competenza statale non riservata dalla Costituzione alla legge. Con legge è disciplinato in via generale l’esercizio della funzione regolamentare, al fine di determinare il procedimento, la pubblicità, l’efficacia e la tutela giurisdizionale dei diversi tipi di regolamento.
Nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge, il Parlamento può determinare con legge le linee fondamentali della disciplina del settore, stabilendo principi e criteri direttivi nel rispetto dei quali il Governo esercita la potestà regolamentare.
ART. 8.
Il Capo dell’opposizione è eletto, sulla base di un’esposizione programmatica, dai parlamentari che abbiano dichiarato di appartenere all’opposizione. Egli è sentito dal Presidente della Repubblica e dal Primo ministro nei casi di guerra e di grave pericolo per la sicurezza nazionale, e negli altri casi previsti dalla legge. Il regolamento parlamentare ne regola le modalità di elezione ed i poteri, in particolare con riferimento alla formazione dell’ordine del giorno del Parlamento. Il regolamento determina altresì i poteri di altri gruppi parlamentari di opposizione.
ART. 9.
Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto quaranta anni d’età e goda dei diritti civili e politici. L’ufficio è incompatibile con qualsiasi altra carica, ufficio e attività pubblica o privata.
Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni e non è rieleggibile.
ART. 10.
Il Presidente della Repubblica è eletto da un collegio formato dai parlamentari nazionali, dai parlamentari europei eletti in Italia, e da un numero di rappresentanti delle Regioni e delle Autonomie locali pari a quello dei parlamentari nazionali, designati secondo le modalità previste dalla legge.
L’elezione ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza assoluta dei componenti. Dopo il terzo scrutinio si procede al ballottaggio tra i due candidati più votati.
ART. 11.
Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale.
Può inviare messaggi al Parlamento.
Può porre il veto alla presentazione al Parlamento di disegni di legge di iniziativa del Governo che presentino manifesti vizi di legittimità costituzionale.
Decreta lo scioglimento del Parlamento, ne indice le elezioni e ne fissa la prima riunione.
Promulga le leggi ed emana i regolamenti. Può, con messaggio motivato, chiederne il riesame, rispettivamente, al Parlamento e al Governo.
Nomina, nei casi e secondo le modalità previsti dalla Costituzione e dalla legge, i soggetti preposti alle autorità indipendenti e i funzionari dello Stato.
Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione del Parlamento.
Presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge e dichiara lo stato di guerra deliberato dal Parlamento.
Presiede il Consiglio superiore della magistratura.
Può concedere grazia e commutare le pene.
Esercita gli altri poteri conferitigli dalla Costituzione o con legge.
ART. 12.
Gli atti del Presidente della Repubblica sono controfirmati dal proponente, che ne assume la responsabilità. Non sono controfirmati la nomina del Primo ministro, la nomina dei giudici della Corte costituzionale, la nomina dei soggetti preposti alle autorità indipendenti, l’indizione delle elezioni e dei referendum, il rinvio delle leggi e dei regolamenti con messaggio motivato, i messaggi al Parlamento, il veto di cui all’articolo precedente.
ART. 13.
Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento e attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti.
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