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Lettera aperta ai deputati del PD che si oppongono alla legge elettorale proposta dal governo.

Lo scontro in atto nel PD a proposito della legge elettorale rappresenta un episodio abbastanza sconcertante di incomprensibile dibattito politico, che danneggia il partito, il governo ed il paese, e lascia stupiti moltissimi elettori del PD.
Non voglio ripetere qui le osservazioni presentate da Mauro Calise nell’articolo apparso oggi, 16 aprile, sul Mattino, che condivido larghissima parte.
Vorrei però richiamare l’attenzione dei rappresentanti eletti, anche con il mio voto, su questioni di contenuto a proposito delle quali essi sono responsabili nei confronti dei loro elettori, questioni sulle quali le loro posizioni risultano in larga misura incomprensibili.
Vorrei anzitutto lasciare da parte la minaccia alla democrazia rappresentata da questa legge elettorale e le litanie sul “combinato disposto” con la riforma costituzionale, poiché questa denuncia nel suo estremismo sembra vuota e se non persuade Giorgio Napolitano ha pochissime chances di persuadere ogni cittadino di buon senso.
Vorrei concentrarmi sul tema delle elezioni e della legge elettorale di cui si discute da tempo, oso dire immemorabile.
A che cosa servono le elezioni?
A legittimare l’autorità politica in una società di eguali, una società nella quale nessuno può dare ordini ad altri – fosse anche in forma di legge – senza un qualche meccanismo di autorizzazione, che in larga misura ha assunto in democrazia la modalità delle elezioni a suffragio universale.
Queste servono anche a controllare l’operato del governo, dove controllo vuol dire gradimento, poiché non è sempre evidente che i cittadini abbiano le competenze necessarie per controllare le scelte fatte dall’esecutivo con l’approvazione del parlamento. E’ per questo, d’altra parte, che esistono controlli orizzontali, sul rispetto dei diritti dei cittadini da parte delle Corti Costituzionali, delle istituzioni europee sulle politiche economiche e di bilancio, ecc.
Chiediamoci ora qual è il miglior modo per controllare il governo o per esprimere il gradimento nei suoi confronti da parte del corpo elettorale. La risposta è senz’altro: un sistema maggioritario. Grazie ad esso, infatti, un partito o una alleanza/coalizione di partiti può facilmente perdere le elezioni – oltre che vincerle facilmente – ed è strano che tutti insistano sul secondo punto e non sul primo.
Un sistema proporzionale, invece, produce inevitabilmente partitocrazia, poiché crea uno schermo fra elettori e governo – i partiti sono tutto ed è dei partiti, in particolare di quelli forniti di sproporzionato potere di coalizione, che il governo (l’esecutivo) deve tener conto, piuttosto che degli elettori, se vuole sopravvivere nel corso della legislatura.
Se si è d’accordo su queste premesse essenziali – e si può dissentire, ma non pare che vi siano, fra gli oppositori in seno al PD della proposta governativa, sostenitori (almeno a viso aperto) del sistema elettorale proporzionale.
Si consideri inoltre che col doppio turno contano tutti gli elettori – o con una prima o con una seconda scelta. Poiché è appunto questo che accade con il ballottaggio fra le maggiori minoranze, e cioè che i cittadini, oltre a esprimere al primo turno un voto identitario, che peraltro elegge rappresentanti, decidono anche quale maggioranza e quale governo dovranno reggere il paese per un lasso di tempo sufficientemente lungo per portare avanti delle scelte politiche, invece che ridursi a risolvere le urgenze, posticipando sempre le scelte maggiori, come quelle che ci permetterebbero di diventare partner autorevoli e rilevanti dell’Unione Europea. Certo i decisionisti dello statu quo – poiché mantenere lo statu quo è una decisione altrettanto forte che modificarlo – sono favorevoli alla decisione di osteggiare il cambiamento. Ma la democrazia è fondata sull’alternanza e tutti i sistemi elettorali che la favoriscono sono benvenuti.
Con il proporzionale, per ritornare su questo punto, un partito del 3% va nella coalizione di governo ed uno con il 30% ne resta escluso.
Con il doppio turno vince la maggioranza che aggrega il maggior numero di prime e seconde scelte. E’ un sistema più popolare. Il governo deve tener conto delle seconde scelte per essere rieletto. Non rappresenta solo il 39 per cento delle prime scelte, ma anche l’11% delle seconde, di cui ha bisogno, per poter eventualmente restare al governo alle prossime elezioni.
L’ostilità al progetto dell’esecutivo e della maggioranza del partito da parte dei dissidenti del PD sembra derivare da due punti: le preferenze ed il doppio turno di coalizione.
Le preferenze erano state combattute da molti che oggi ne fanno un decisivo campo di battaglia. Perché, si cerca invano di capirlo. In realtà i sostenitori delle preferenze sembrano dominati da una concezione del parlamentarismo del secolo decimonono quando le elezioni erano scelte fra notabili locali in un mondo politico nel quale non esistevano i partiti. Kelsen, pur difendendo il sistema proporzionale, sosteneva che in uno stato di partiti sarebbe stato opportuno dare il voto al solo partito e questo avrebbe mandato in proporzione ai voti ricevuti dei rappresentanti in parlamento, competenti a discutere di volta in volta le questioni oggetto di dibattito e di voto.
Questo attaccamento al voto di preferenza personale (tanto amato nel sud del paese e pochissimo utilizzato al nord) stupisce e rinvia al problema della scelta dei candidati in generale che i dissidenti vogliono sottrarre alle segreteria dei partiti e consegnare alle primarie, i cui risultati o a loro non sono piaciuti – è dalle primarie che è scaturita la segreteria di Matteo Renzi, oppure producono risultati contro i quali protestano, qualche volta a ragione. Si vedano le primarie in Liguria. Né è chiaro come potrebbero le primarie – e di che tipo – essere imposte ai partiti che non le vogliono. I partiti non sono i gruppi parlamentari e sembra difficile imporre a queste associazioni libere e volontarie regole omogenee per la selezione dei candidati.
L’altra pietra dello scandalo (che non era tale fin quando Berlusconi controllava il suo partito!) è il rifiuto del ballottaggio di coalizione. Qui gli argomenti presentati sono o oscuri o deboli o antidemocratici – una volta tanto questo va obiettato ai dissidenti.
Quel poco che si capisce delle loro posizioni è che un partito al comando invece di essere la norma delle democrazie di lungo corso è una fotocopia del regime mussoliniano. Non si sono accorti i critici che Mussolini governava con la polizia e non con il parlamento. E che da secoli nel Regno Unito con alternanze al potere è quasi sempre un solo partito che governa (nella camera eletta), come negli Stati Uniti (in assenza di divided government). Ma c’è un altro argomento. Viene sostenuto a mezza voce che col sistema del ballottaggio di lista potrebbe vincere un partito brutto e cattivo. Ma sembra che non vada loro bene alcuno dei partiti in campo: né il PD di oggi (il loro partito, per ora), se dovesse andar solo al governo – quello che teme la destra. Né domani un altro partito. Per quelli che la pensano così l’unica soluzione è un sistema proporzionale con il quale allo stato delle cose non vince nessuno e si governa (si fa per dire) tutti i partiti insieme (senza M5S) disperatamente. Il proposto “doppio turno di coalizione” è solo un sistema che impedisce a quella che chiamano la “minoranza” di governare e consegna il governo alla minoranza della minoranza, la minoranza più piccola, capace ogni momento di ricattare quella più grande, che peraltro al doppio turno ha ricevuto almeno 50%+1 dei voti espressi.
Possibile che sia questo che giustifichi l’opposizione dei dissidenti (“come scoglio immoto resta”) del PD al progetto di legge elettorale del governo?!
Pasquale Pasquino
New York University

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