Stefano Rodotà, uno dei giuristi più attenti ed intelligenti del nostro paese, che ha tutta la stima intellettuale e morale di chi scrive, ha pubblicato oggi su Repubblica un commento che non può lasciare indifferenti e che non può non sollevare dibattito. Anche se nel nostro paese si assiste soprattutto ad “ingiurie di parte” e a “sermoni per convertiti”, in assenza di un dibattito pubblico fra persone interessate a capire ed a cambiare opinione. Non sia mai. Pensare e discutere viene degradato ad una forma di opportunismo, nel paese degli urlatori, come Grillo!
Secondo quanto afferma Rodotà, in Italia si manifesta la riduzione dei diritti sociali e dei diritti politici. Con questi ultimi si intendono, così sembra di capire, i diritti di rappresentanza, che secondo la sua interpretazione sarebbero diminuiti e messi in pericolo dalla legge elettorale votata dal Parlamento. L’opinione del Presidente della Repubblica, ex giudice della Corte Costituzionale, non va nello stesso senso, avendo questi appena firmato la nuova legge elettorale. Ed il governo è così rispettoso dei guardiani della Costituzione che, se il suo progetto di riforma costituzionale verrà approvato dai due rami del Parlamento, quella stessa legge elettorale verrà sottoposta d’ufficio al vaglio della Corte protettrice dei diritti dei cittadini. E non sarà più necessario costruire delle fictio litis, come ha fatto l’avvocato Bozzi per la legge Calderoli, ed aspettare anni affinché la Consulta possa pronunciarsi su una legge elettorale, come quella che tutti i partiti dicevano, a parole, orribile, senza muovere un dito per cambiarla.
Si vorrebbe capire che sistema elettorale secondo Rodotà corrisponde alla sua idea dei diritti politici dei cittadini elettori. Non quella della antichissima democrazia inglese, dove oggi con poco più del 36% il governo uscente di Cameron ha guadagnato la maggioranza assoluta, sbarazzandosi dell’incomodo e suicida alleato liberale. Non credo quella francese, dove il Fronte Nazionale con circa 20% dei voti non riusciva ad accedere al parlamento. E che dire di quella tedesca, che da parecchi anni forza a grandi coalizioni, che annullano il potere di controllo della Corte Costituzionale di Karlsruhe, poiché la maggioranza controlla i numeri necessari per modificare la costituzione, se la Corte dovesse opporsi ad una legge del parlamento super-maggioritario del Bundestag di Berlino (come è accaduto sovente nell’Austria, terra fertile di grandi coalizioni).
E non è nemmeno il caso di parlare dei paesi dove vige il sistema proporzionale puro, come il Belgio o Israele, dove Netanyahu, per rispetto della “rappresentanza” deve tener dentro la coalizione di governo i micro-partiti ultra ortodossi, che vogliono negare tutti i diritti della popolazione araba.
Quale sia il suo sistema rispettoso dei diritti, Rodotà lo tiene nascosto nel segreto della sua mente. A chi scrive pare che si confonda spesso nel dibattito pubblici rappresentanza con responsabilità politica. Rodotà può avere, come ciascuno, una concezione sua personale e idiosincratica della democrazia. Ma fino a informazione più precisa, in occidente si chiama democrazia un sistema in cui il corpo elettorale può cacciare il governo e sostituirlo con l’opposizione – come è accaduto per innumerevoli volte in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, nei paesi appunto che hanno inventato questo regime. Un regime rappresentativo è un sistema politico in cui il governo può perdere le elezioni e se può perderle con il 38% è meglio che se sarà necessario raccogliere, invece, il 50+1% dei voti espressi per avere una alternanza al potere. Rodotà si ricorda, come me, la difficoltà per la sinistra a sconfiggere la DC ed i suoi satelliti. Perché ci voleva il 50+1% dei voti. Visto che nessun partito di centro voleva allearsi con la sinistra e che la sinistra non voleva allearsi col centro.
La legge elettorale approvata dal Parlamento collega rappresentanza a responsabilità politica, invece di disgiungerle. Chi governa può perdere facilmente le elezioni. Ergo, farà attenzione a governare senza violare i diritti dei cittadini; anche grazie al controllo della Corte Costituzionale che, a differenza del Senato eletto dai cittadini, ha bloccato a più riprese leggi incostituzionali.
Tutti i diritti, come hanno magistralmente mostrato in un bel libro
Stephen Holmes e Cass Sunstein (Il costo dei diritti, Il Mulino, 2000), hanno costi elevati. Non solo quelli sociali, ma quelli tradizionali del liberalismo più classico. Si pensi al costo delle elezioni, o a quello dei tribunali, che devono garantire il corretto svolgimento dei processi civili, penali e amministrativi (il due process of law).
Ora Rodotà ragiona come se l’Italia fosse un paese sovrano, capace di controllare tutti gli elementi della spesa pubblica (e fra questi i diritti sociali). Se la pensa così deve andare con i nemici dell’Unione Europea. Perché non vi è dubbio che la partecipazione di un paese come l’Italia all’Unione lo ha privato della marque de la souveraineté che consiste nel batter moneta. I tentativi del governo greco di modificare questa realtà rischiano ormai sul serio di creare danni serissimi alla sua popolazione e anche un po’ oltre.
Certo, esiste una opzione che consiste nel non occuparsi del governo e delle sue political possibilities, come direbbe John Dunn, ma di “stimoli” al governo. Tuttavia, se ci si vuol fare ascoltare dal governo e non da chi sta contro, in un angolo della sicura self-congratulatory sconfitta, ci vuole uno sforzo in più.
Pasquale Pasquino
New York University