In Diario

Relazione alla Giunta per il Regolamento seduta del 29 ottobre 2013

(Senatrice Bernini)

 

Onorevoli colleghi,

ringrazio innanzitutto il presidente Grasso per la fiducia in me riposta, nell’attribuirmi il compito di svolgere un’istruttoria il più completa possibile per riferire alla Giunta per il Regolamento sulla questione prospettatasi nel corso della scorsa seduta. Il problema – giova ricordarlo con nettezza sin dal principio – è quello dell’interpretazione dell’articolo 113, comma 3, del Regolamento del Senato e dell’applicazione di tale norma, in particolare, alle votazioni di cui all’articolo 135-ter, comma 2, agli eventuali ordini del giorno in difformità, rispetto alle conclusioni della Giunta delle elezioni e delle immunità, in materia di elezioni contestate.

Preciso di aver svolto le mie riflessioni consultandomi anche con il Collega Senatore Russo in un clima di collaborazione e confronto assai utile.

1. L’istituto del voto segreto nel Regolamento del Senato, dal 1971 ad oggi ha subito notevoli mutazioni nella prassi applicativa, nella frequenza di impiego, nello stesso tenore delle norme che lo prevedono. La sua prevalenza originaria in occasione delle votazioni dei testi normativi diviene, nel 1988, recessiva. E’chiaro in quella temperie storica l’intento del legislatore regolamentare di arginare il fenomeno dei franchi tiratori e di contenerne gli effetti nel quadro del rapporto fiduciario, troppo spesso messo a repentaglio dalla segretezza dello scrutinio. E’qui che nascono le due norme di carattere generale cui s’impronta il sistema di voto in Senato:  presunzione generale di voto a scrutinio palese sui testi normativi, ma tipizzazione delle eccezioni quando ricorrano le materie richiamate dall’articolo 113, comma 4, attraverso puntuali rinvii alle disposizioni della prima parte della Costituzione che proteggono i diritti fondamentali, quelli involabili, le situazioni giuridiche soggettive costituzionalmente protette e, la tutela delle minoranze linguistiche.

Inoltre, quale seconda regola decisiva, è stabilito lo scrutinio assolutamente segreto quando il voto riguarda le persone, oppure è effettuato con schede. Si allude qui a quella speciale tipologia di votazioni che la dottrina definisce elettive. La ragione per la quale ho impiegato l’avverbio “assolutamente” sta nell’altra, decisiva parola che è stata più volte evocata nel corso della scorsa seduta: è il noto lemma “comunque” che si ritrova nell’articolo 113, comma 3, del Regolamento del Senato. Un avverbio – vorrei farlo notare da subito – che non è presente nell’omologa disposizione presente presso il Regolamento della Camera dei deputati.

2. Ora, il voto segreto – credo si possa concordare su questa acquisizione dottrinaria ormai pacifica – rimanda al legame con l’articolo 67 della Costituzione: una norma decisiva poiché, per l’interpretazione che se ne è non di rado fornita, preclude i vincoli alla formazione della volontà del singolo parlamentare, lasciandolo libero da ogni costrizione di mandato. Il celebre divieto di mandato imperativo di tradizione liberale, il quale declinato nelle democrazie pluralistiche contemporanee, implica libertà dall’imperio della direttiva partitica, di Gruppo, di coalizione, di estrazione elettorale. Non credo di dover soffermarmi a lungo sul prezioso legato sotteso all’articolo 67 della Costituzione e vengo, invece, al punto specificamente riguardato dalla nostra questione.

3. Il procedimento di convalida delle elezioni che fa capo all’articolo 66 della Costituzione trova in Senato una peculiare dimensione regolamentare nella riforma del 1992. L’articolo 135-ter reca una disposizione che, a sua volta, non trova piena corrispondenza nel Regolamento della Camera e questo – sia detto per inciso – spiega anche perché, a mio avviso, nel tempo le due Assemblee si siano mosse secondo metodi differenti: la Camera, in seguito ad un parere della Giunta per il regolamento del 2007, procede con lo scrutinio palese. Qui a Palazzo Madama, invece, si procede al voto a scrutinio segreto.

4. Mi permetto di far notare che la nostra prassi applicativa dell’articolo 113, comma 3, agli ordini del giorno in difformità previsti dall’articolo 135-ter, comma 2, è sufficientemente chiara: muovendo a ritroso, vale citare l’ordine del giorno approvato dall’Assemblea il 29 gennaio 2009, con cui si respinsero le conclusioni della Giunta delle elezioni e  delle immunità con riferimento al caso riguardante il Senatore Di Girolamo (XVI legislatura); la votazione su un ordine del giorno in dissenso dalle conclusioni della Giunta delle elezioni e delle immunità, il 20 novembre 2002, con riguardo al caso concernente il Senatore Malentacchi (XIV legislatura): la votazione, il 28 ottobre 1992, su un ordine del giorno in difformità dalle conclusioni della Giunta nel caso concernente il Senatore Percivalle (XI legislatura).

Tutte queste votazioni sono state effettuate a scrutinio segreto, d’ufficio, ai sensi dell’articolo 113, comma 3, del nostro Regolamento, evidentemente ritenendosi che esse riguardassero persone.

5. Occorre ora soffermarsi brevemente su alcuni argomenti a sostegno di un possibile mutamento applicativo in favore del voto palese, che a me non pare siano meritevoli di condivisione.

Premesso che si tratterebbe oggi di apportare un improvviso mutamento di interpretazione del nostro Regolamento rispetto a quanto si è fatto nel corso delle passate legislature, ciò non solo mi pare discutibile in punto di metodo, ma anche in termini di merito. Innanzitutto, non convince la tesi che vede nella vigente legge elettorale un argomento in favore della “depersonalizzazione” del voto in materia di elezioni contestate. Rilevo, in proposito, come l’impiego dello scrutinio segreto sia stato effettuato sino ad ora nella vigenza di qualunque sistema elettorale, maggioritario o proporzionale che sia.

Inoltre, ho già chiarito come gli argomenti in favore di una convergenza con le procedure seguite alla Camera dei deputati – anche a tacere della inopportunità di modificare le regole in corsa – non sono dirimenti, non appena si noti la differenza di impianto tra gli articoli 135-ter e 113, del Regolamento del Senato da una parte, e gli articoli 47 e 17 – bis del Regolamento della Camera, dall’altra.

6. In definitiva, sia in esito allo studio della prassi in materia, sia muovendo dal quadro generale di riferimento delle norme che vengono in rilievo, sono a proporre la conferma dell’applicazione del voto a scrutinio segreto, d’ufficio, ai sensi dell’articolo 113, comma 3, del Regolamento, in quanto tali votazioni riguardano comunque persone.

7. Rileva a questo punto svolgere ulteriori rilievi sulla portata sistematica che assume il voto segreto nelle materie quali quella oggetto della trattazione odierna. E ciò, al fine di illustrare perchè mutare le procedure per effettuare la votazione sulle elezioni contestate con lo scrutinio palese, si rivelerebbe un’iniziativa assai criticabile anche in punto di sistema.

Se, come detto, la votazione a scrutinio segreto costituisce presidio del principio del libero mandato parlamentare tutelato dall’articolo 67 della Costituzione, va anche chiarito che l’articolo 113, nel combinato disposto dei due commi 3 e 4, costituisce una norma a protezione dell’autonomia del singolo componente di ciascuna Camera.  Per il suo tramite, lo ripeto, si viene a recidere il peso vincolante del legame di appartenenza allo schieramento, alla coalizione o al partito, in materie di particolare sensibilità e delicatezza.

La tradizionale impostazione dottrinaria che associa le votazioni parlamentari a scrutinio segreto all’esigenza di garantire la libertà di autodeterminazione del singolo, assume preminente portata sistematica proprio quando le votazioni riguard
ano le prerogative costituzionali.  E  in questa fase della storia repubblicana, lo scrutinio segreto ripropone il tema del bilanciamento tra l’esigenza di garanzia delle libertà costituzionali e il principio della responsabilità politica degli eletti.

Ebbene, questa delicata condizione di bilanciamento tra i due valori costituzionali non può essere stravolta in modo traumatico e illogico.

Passo ad elencare gli argomenti contrari a una tale, incongrua conclusione.

Tutte le votazioni che concernono le prerogative costituzionali hanno luogo, e non a caso, a scrutinio segreto. E’così per le dimissioni volontarie dei Senatori, in cui l’Aula procede a scrutinio segreto per tutelare la libertà di orientamento del singolo componente dell’Assemblea, di fronte alle vicende che, in ipotesi, potrebbero costringere od indurre un collega ad abbandonare il seggio.

Lo scrutinio segreto presidia altresì le deliberazioni di natura elettiva quali quelle volte alla composizione del Consiglio di Presidenza. In definitiva, ciò si verifica: per il principio di salvaguardia del plenum assembleare (articolo 66 della Costituzione); quando vengono in gioco la libertà personale, domiciliare o di comunicazione riservata dei Senatori (articolo 68, commi 2 e 3, della Costituzione, in combinato disposto con gli articolo 13, 14 e 15 della nostra carta fondamentale); non diversamente le votazioni elettive cui prima mi riferivo trovano la loro giustificazione nell’articolo 63 della Costituzione, il quale statuisce il rilievo delle votazioni proprio per l’elezione, da parte di ciascuna delle due Assemblee, dei rispettivi Uffici di Presidenza.

E molto altro si potrebbe aggiungere, a conferma che quando vengono in gioco preminenti valori costituzionali, lo scrutinio segreto prevale e presidia il campo.

L’assoluta preminenza delle prerogative costituzionali corrisponde dunque all’esigenza indefettibile che la votazione parlamentare possa svolgersi nella maniera più libera, indisturbata e, in definitiva, piena. Non stupisce allora il tenore dell’articolo 113, comma 4, il quale elenca quelle materie sulle quali lo scrutinio segreto può trovare spazio su richiesta di parte. E se si studia con attenzione quella norma, si comprende la ragione per la quale i procedimenti di convalida delle elezioni che riguardano persone, non solo cadono nello spazio applicativo dell’articolo 113, comma 3, del Regolamento, ma rientrerebbero comunque – direi a rigor di logica e di sistema – nel novero di quelle materie sulle quali ammettere altresì la richiesta su istanza di venti Senatori. Vediamo perchè.

8. Le materie ricomprese nell’articolo 113, comma 4, attengono ai rapporti civili ed etico sociali, alla tutela delle minoranze linguistiche cui si riferisce l’articolo 6 della Costituzione, nonchè alle deliberazioni volte a modificare lo stesso Regolamento parlamentare. E’evidente che in tutte queste circostanze – e  i lavori preparatori del Regolamento del 1971 e della riforma del 1988 lo confermano – lo scrutinio segreto è attivabile su richiesta per ragioni diverse ma tutte fondamentali:

a) per la particolare delicatezza della materia che si deve sottrarre alle logiche di maggioranza e minoranza (su tutti, valga il caso delle modifiche regolamentari);

b) per la sensibilità di certi temi sul piano etico ed ordinamentale (si pensi a deliberazioni attinenti l’articolo 21 della Carta fondamentale che tutela la libertà d’espressione);

c) in occasione di deliberazioni che attengono a beni e diritti inviolabili e fondamentali (si consideri, per esempio, una richiesta di limitazione della libertà personale o un caso di menomazione del principio del diritto alla difesa in giudizio).

Ecco dimostrato il paradosso che si verificherebbe qualora si proponesse di votare a scrutinio palese in materia di elezioni contestate. Si verificherebbe l’assurda conseguenza che deliberazioni della massima delicatezza – che incidono sulla perdita (in talune occasioni contestatissima, peraltro)  del diritto politico per eccellenza, quello all’elettorato passivo di cui all’articolo 51 della Costituzione – sarebbero esposte al controllo della ferrea disciplina di partito, in totale spregio non solo dell’articolo 67 della Costituzione, sulla libertà di mandato che ho più volte citato, ma proprio di uno dei principi cardine del sistema rappresentativo delle democrazie pluraliste contemporanee.

In definitiva, il legame tra gli articoli 66 e il complesso del Titolo I della II parte della Costituzione, offre nitida conferma del rilievo assunto dalla libera determinazione del parlamentare chiamato ad esprimersi sul controllo delle elezioni contestate. E non è neanche il caso di ricordare quanto gli organi di giustizia sovranazionali europei abbiano fatto continuo richiamo al rispetto del libero esercizio del voto come patrimonio comune a tutti gli Stati membri dell’Unione Europea e che aderiscono al Consiglio d’Europa.

Allora, negare il voto palese in materia di elezioni contestate si risolverebbe, nei fatti, in una duplice lesione della libera manifestazione di volontà dell’elettore. Infatti, la protezione della volontà dei cittadini al momento delle elezioni politiche del Senato verrebbe sovvertita sotto la minaccia della disciplina di Gruppo che si eserciterebbe in un ulteriore limite al voto coscienza dei singoli Senatori che invece – lo ricordo una volta ancora – non rappresentano altri che la Nazione.

 Relazione del sen. Francesco Russo

 

Relazione

 

       Onorevoli colleghi,

voglio iniziare premettendo alcuni ringraziamenti davvero non formali. Al presidente Grasso per la fiducia accordatami, in secondo luogo alla dottoressa Serafin ed ai suoi collaboratori per la cordiale e puntuale assistenza, ed infine alla collega Bernini per la disponibilità e lo stile con cui ha reso possibile una gestione franca e trasparente di questo passaggio nonostante la delicatezza della scelta che stiamo per prendere, che non sfugge ad entrambi ed a nessuno dei presenti.

Aggiungo che lo studio della questione al nostro esame mi ha portato ad elaborare una relazione approfondita che consegno, perché possa essere allegata e pubblicata agli atti della Giunta per il Regolamento.

Qui, invece, passo ad illustrare più sinteticamente, ma spero in modo esaustivo e convincente, le conclusioni cui sono pervenuto e che, lo anticipo, propendono in modo inequivoco per il voto palese.

  1. Lo faccio a partire da una semplice constatazione: in questa vicenda la Giunta per il Regolamento del Senato e quindi ciascuno di noi si trova ad affrontare una questione del tutto nuova, e ciò emerge proprio dai precedenti che tempestivamente ci sono stati forniti. È la prima volta, infatti, che ci si trova a dover prendere atto della decadenza imposta dall’applicazione del c.d. “decreto legislativo Severino” ad un componente del Senato della Repubblica (ed è comprensibile perché, come tutti sappiamo, il decreto legislativo fu adottato nel finale della scorsa legislatura). Inoltre, dato forse ancora più importante, è la prima volta che questa Giunta per il Regolamento è chiamata a deliberare su questo tema, cioé ad affrontare un problema teorico-interpretativo sulle modalità di voto degli ordini del giorno in difformità dalle conclusioni della Giunta delle elezioni e delle immunità, ai sensi dell’articolo 135-ter, comma 2. Il contesto del tutto inedito e la materia mai affrontata in passato, ci consentono e richiedono, dunque, di lavorare qui oggi come si trattasse di scrivere su una lavagna ancora bianca, procedendo ad un’interpretazione del nostro Regolamento (che, è bene ricordarlo, non prevede una norma ad hoc sulla decadenza) sapendo che per un motivo o per l’altro, nessuno dei precedenti può riferirsi ai termini della questione al nostro esame. Anzi, proprio
    l’analisi dell’evoluzione della prassi e delle scelte regolamentari di Senato e Camera costituiscono  un’indicazione precisa nei confronti del voto palese. Del resto, è proprio questa la ratio di avere un organo competente ad interpretare il regolamento: ogni disposizione normativa, anche la più chiara, deve essere interpretata. Oggi, nello specifico, la Giunta è chiamata a chiarire l’espressione “votazione sulle persone” ed a stabilire per il futuro se la delibera su una proposta di decadenza sia una votazione su una persona oppure sull’applicazione di una norma giuridica che disciplina la composizione dell’organo.

 

  1. In primo luogo, è utile e opportuno muovere da un noto ed importante parere reso dalla Giunta per il Regolamento del Senato il 6 maggio 1993. Nella circostanza, l’organo in cui oggi sediamo si espresse nel senso che le deliberazioni rese ai sensi dell’art. 68, commi secondo e terzo, Cost. –autorizzazione a procedere e autorizzazione all’arresto, alle perquisizioni e agli altri provvedimenti restrittivi della libertà personale – dovessero essere svolte a scrutinio palese anziché segreto. La Giunta stabilì in modo indubitabile e perentorio che per “le deliberazioni sulle richieste di autorizzazione a procedere in giudizio, il voto è svolto, d’ufficio, a scrutinio palese. E ciò in quanto le deliberazioni stesse costituiscono espressione di una prerogativa dell’Organo parlamentare nell’ambito del rapporto con altri Organi dello Stato e dunque non rappresentano in senso proprio “votazioni riguardanti persone”. In altri termini, essa argomentò nel senso che tali votazioni non andassero ad incidere sullo status personale del parlamentare coinvolto nel caso di specie, bensì riguardassero una prerogativa dell’Assemblea nel suo complesso e, come tali, fossero quindi estranee al disposto di cui all’art. 113, comma terzo, del Regolamento. È significativo che, nella seduta del 13 maggio dello stesso anno, l’Assemblea di Palazzo Madama si esprimesse con voto palese – più in dettaglio, per alzata di mano – sulla richiesta di autorizzazione a procedere contro il Senatore Giulio Andreotti, richiesta che fu approvata con voto favorevole dello stesso senatore a vita. D’altro canto, la dottrina costituzionalistica e la giurisprudenza costituzionale hanno costantemente messo in evidenza che le immunità costituzionali non sono né diritti, né privilegi dei singoli, bensì delle prerogative che l’ordinamento predispone a tutela dell’indipendenza dell’organo costituzionale (e, quindi, dell’assemblea) nel suo complesso (mi limito a citare, tra le altre, la sentenza n. 249 del 2006, nella quale la Corte osserva che «le guarentigie previste dall’art. 68 Cost. sono poste a tutela delle istituzioni parlamentari nel loro complesso e non si risolvono in privilegi personali dei deputati e dei senatori»).

 

  1. Se, pertanto, le delibere in materia di autorizzazione ai sensi dell’art. 68 Cost. – che pure penetrano in modo importante nella sfera dei diritti e delle libertà personali – non sono votazioni incidenti sulla persona, crediamo che a maggior ragione devono essere effettuate a scrutinio palese tutte le delibere aventi ad oggetto le proposte della Giunta delle elezioni in materia di verifica dei poteri, fra cui la decadenza di cui oggi trattiamo. Esse non attengono allo status del singolo parlamentare coinvolto, bensì alla regolare composizione dell’Assemblea e, quindi, dell’organo nel suo complesso. L’intera procedura di verifica dei poteri, che l’art. 66 della Costituzione affida alle due Assemblee parlamentari, è infatti finalizzata a verificare la regolarità delle operazioni elettorali, nonché l’insussistenza di cause di ineleggibilità, incompatibilità e decadenza, prescindendo pertanto dalla dimensione soggettiva del parlamentare interessato.

 

  1. Ora, dal punto di vista delle finalità della procedura prevista dall’articolo 135-ter, se l’Assemblea sarà chiamata a votare, essa si troverà dunque a tutelare il plenum del Senato, cioè la sua corretta composizione. Infatti, va sottolineato che, quando si propone la decadenza in esito alla contestazione dell’elezione, vengono in gioco la verifica della sussistenza dei requisiti di legge e dei presupposti oggettivi che consentono di rivestire la carica di Senatore. Non si discute – né tantomeno si vota – sulle qualità o le caratteristiche personali del singolo, ma soltanto sulla legittimità del procedimento elettorale. Questo dato decisivo è, nel caso specifico, confermato dalla trasmissione, da parte della Suprema Corte di Cassazione, di una sentenza definitiva di condanna tra i cui effetti giuridici automatici, vi è quello della decadenza determinata dall’applicazione di un atto avente forza di legge.

 

  1. Alle medesime conclusioni si perviene analizzando le norme che disciplinano i lavori della Camera dei deputati. Ai sensi dell’art. 49, comma primo, del Regolamento, le votazioni hanno luogo infatti a scrutinio palese, salvo quelle riguardanti le persone, che sono in ogni caso effettuate a scrutinio segreto. Tuttavia, l’art. 2, comma secondo, del Regolamento della Giunta delle elezioni precisa che «le votazioni in materia di verifica dei poteri, ineleggibilità, incompatibilità e decadenza non costituiscono votazioni riguardanti persone ai sensi dell’articolo 49, comma 1, del Regolamento della Camera». Esse sono svolte pertanto a scrutinio palese. Per quanto attiene ai lavori dell’aula, invece, vi è una pronuncia della Giunta per il regolamento resa nella seduta del 6 giugno 2007. In tempi non sospetti, quell’organismo, trovatosi di fronte all’esigenza di svolgere l’interpretazione che oggi noi siamo a nostra volta chiamati a compiere, affermò che le elezioni contestate “concernono l’esistenza di una situazione giuridica e la sua conformità all’ordinamento, e chiamano direttamente e prioritariamente in causa la legittima composizione dell’Assemblea“. Di qui, ancora una volta, la prevalenza della natura istituzionale delle deliberazioni da adottare che non ha nulla a che fare con la singola persona, poiché questi procedimenti rispondono all’esigenza di accertare elementi di diritto oggettivo che o discendono dalla procedura elettorale, oppure si fondano sulla sopravvenuta cessazione oggettiva e inconfutabile di uno dei requisiti per coprire la carica parlamentare.

 

  1. In conclusione, possiamo dire che, alla luce di quanto esaminato, le votazioni del Senato sulle proposte della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, rese a norma dell’art. 135-ter del Regolamento, non sono votazioni sulle persone, ai sensi dell’art. 113, comma terzo, del medesimo Regolamento. Esse devono essere adottate, pertanto, a scrutinio palese. Proprio alla luce di queste considerazioni, propongo che la nuova questione oggetto dell’interpretazione di questa Giunta sia risolta adottando il seguente orientamento:

 

“La Giunta per il Regolamento, esprime il parere che, nel corso dell’esame in Assemblea delle proposte della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari riguardanti elezioni contestate, nonché sulle proposte in materia di ineleggibilità originaria o sopravvenuta, di incompatibilità e di decadenza, eventuali ordini del giorno in difformità dalle conclusioni da questa presentate siano sottoposti alla disciplina generale relativa ai modi di votazione e, non trovando applicazione l’articolo 113, comma 3, del Regolamento, siano votati in modo palese. Ciò in quanto le deliberazioni in materia di verifica dei poteri, ai sensi dell’articolo 135-ter, comma 2, costituiscono espressione della prerogativa dell’organo parlamentare riconducibile all’articolo 66 della Costituzione, in base al quale ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissibilità dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità. Una conclusione rafforzata, del resto, proprio dalla particolare natura della funzi
one assolta dal Senato nel giudizio relativo ai titoli di ammissibilità dei propri componenti, a tutela dell’integrità del proprio plenum.

Ne consegue che, in analogia con quanto deciso dalla Giunta per il Regolamento il 6 maggio 1993, con riferimento all’articolo 68 della Costituzione, anche quelle previste dall’articolo 135-ter, comma 2, non possono intendersi come votazioni riguardanti persone.

Tale interpretazione entra immediatamente in vigore”.

 

 

 

 

 

 

 

 

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