Ho letto con attenzione la parte finale dell’intervista del giudice costituzionale Giuliano Amato al Corsera: capisco gli argomenti, che, come sempre, dato l’Autore, da cui ho imparato e imparo sempre molto, mi spingono a ragionare, però confesso almeno al momento di non essere convinto delle conclusioni.
Mi sembra che valga la pena di discuterne al di là di qualsiasi scelta immediata. Magari al termine della discussione mi convincerò di avere torto.
Premetto purtroppo che dopo il 4 dicembre qualsiasi ragionamento sulle leggi elettorali ritrova la consueta pietra d’inciampo del bicameralismo paritario, che complica qualsiasi soluzione e che non appare rimuovibile in tempi brevi.
Il punto è questo: dove stabiliamo costituzionalmente la frontiera della costituzionalità (non della preferibilità) tra meccanismi diversi tutti ispirati alla logica dell’elettore che decide sui governi? Io, se dipendesse da me, la imposterei così: o si aderisce all’impostazione di quella parte minoritaria della dottrina che in nome del voto uguale “in uscita” li ritiene tutti incostituzionali oppure è difficile bocciarne alcuni e promuoverne altri che abbiano caratteristiche non troppo dissimili e che, peraltro, sembrano equilibrarsi tra di loro. In particolare ho dei dubbi sulla possibilità di giudicare sulla costituzionalità di una legge a prescindere dalle caratteristiche della forma di governo.
Prendiamo i due esempi citati dal professor Amato come costituzionali.
Il primo è il doppio turno uninominale di collegio per l’insieme dei seggi. A prima vista emerge chiaramente una differenza tutt’altro che irrilevante che ce lo può far ritenere preferibile: ogni candidato è eletto con un mandato a sé stante. La dis-proporzionalità sembra “naturale” rispetto a quella “artificiale” di un premio nazionale; il cuore dell’argomenti si colloca qui e non mi sfugge. Tuttavia quel sistema non si colloca nel vuoto, non può essere descritto solo come la somma di tante competizioni locali indipendenti, come se si trattasse di una serie di elezioni comunali separate. Sta dentro una precisa forma di governo, ricostruita benissimo anche dal professor Amato anche in un volumetto ad hoc scritto con Francesco Clementi e aggiornato alle novità del 2002 (quinquennato presidenziale e elezioni legislative in “luna di miele” presidenziale). Il movimento di Macron aveva presentato 525 candidati in altrettanti collegi: solo 19 non sono passati al secondo turno e circa 400 potrebbero essere eletti. Con queste dimensioni si può dire che essi siano stati votati perché conosciuti nel singolo collegio e apprezzati uti singuli o non piuttosto in traino al Presidente per dargli una maggioranza in Parlamento, analogamente a quanto accade con gli eletti in seguito allo scatto di un premio di maggioranza nazionale? Il fatto che si faccia con due elezioni diverse, in cui però la seconda è trainata dalla prima, è sufficiente a farci superare il confine tra costituzionale e incostituzionale? E non si giustifica meglio un sistema con un tetto che non comprima le minoranze rispetto ad uno che tende (anche se non assicura) di andare ben oltre? Il sistema francese come praticato dal 2002 provoca di norma (e non come eccezioni) evolutamente una sovra-rappresentazione molto forte: nel 2002 Chirac prese al primo turno delle presidenziali il 19,9% dei voti e ottenne alla fine il 69% dei seggi all’Assemblea; Sarkozy nel 2007 fece il 31,2% dei voti e il 59,8% dei seggi; Hollande nel 2012il 28,6% e il 59,8%. Possiamo discutere dei pro e dei contro di questo sistema rispetto ad uno con premio in seguito a ballottaggio nazionale, ma possiamo dire che le differenze sono tali da farcene giudicare uno costituzionale e l’altro no?
Il secondo esempio è il sistema elettorale dei Comuni. Esso prevede le coalizioni sia al primo turno sia, eventualmente, con l’aggiunta di altre liste tra primo e secondo turno e qualche caso limite in cui il premio non scatta (se un’altra coalizione ha superato il 50% al primo turno, se il sindaco vincente al primo turno ha visto le sue liste sotto il 40%). Ora, a prescindere qui dal problema principale col bicameralismo paritario, ossia due premi diversi in Camere con basi elettorali diverse, anche qui c’è il problema di esaminarlo non a sé stante, ma dentro una precisa forma di governo. Quel sistema, che appare più flessibile per la presenza di coalizione, è però incardinato dentro una forma di governo “blindata” dal simul stabunt simul cadent tra Sindaco e Consiglio che evita le incongruenze del cosiddetto modello israeliano che separava vertice dell’esecutivo e Assemblea. Siamo sicuri che possa essere descritto come costituzionale perché meno costrittivo rispetto ad uno che preveda solo le liste ma che poi consenta di sfiduciare il Governo senza andare al voto anticipato? E’ comunque una differenza tale da poter far dire che uno è costituzionale e l’altro no?
La contro-deduzione più forte è indubbiamente che l’Italicum voleva far scaturire chi governerà dalla maggioritarizzazione della Camera, Francia e Comuni dalla elezione diretta del futuro governante, ma tuttavia negli ultimi due casi l’elezione del governante trascina anche la maggioritarizzazione dell’Assemblea.
Materia per ulteriori interventi.