Le radici della crisi italiana
Vicenza, 30 settembre
Intervento di Stefano Ceccanti
- Premessa di metodo
Non intendo trattare di tutte le radici della crisi italiana, ma solo di quelle strettamente connesse con la dimensione istituzionale.
Infatti le istituzioni, le loro regole, non sono mera sovrastruttura, sono potenti freni e acceleratori. Se adeguate frenano gli eventi negativi e accelerano quelli positivi, altrimenti accade il contrario.
Le radici istituzionali possono essere identificate in due tipologie: esogene ed endogene.
- Le radici esogene
Tra quelle esogene figurano i caratteri ambigui della costruzione europea dopo l’allargamento. La pretesa di far confluire in un’unica governance i Paesi che vogliono solo una zona di cooperazione economica abbastanza blanda (per lo più quelli dell’Est) e quelli che vogliono un’integrazione politica promessa dalla moneta comune (per di più quelli dell’Ovest) provoca in tutti gli Stati gravi tensioni tra politiche europeizzate con meccanismi poco comprensibili e gioco politico rimasto nazionale. Essendo lo status quo poco difendibile emerge la tensione tra una retorica regressiva dell’impossibile ritorno a sovranità nazionali e varie soluzioni che sciolgano le ambiguità sdoppiando il sistema europeo in due modelli ben distinti. Nell’indistinto modello odierno le decisioni per lo più intergovernative lasciano tutti insoddisfatti perché non si intravede una sovranità europea mentre si vedono i limiti a quelle nazionali. Vista la diversità delle situazioni di partenza tra Paesi con forti debiti (per lo più posti a Sud) e Paesi con conti più in ordine (per lo più posti al Nord) è facile raccogliere consensi contro le decisioni contro le decisioni comuni che risentono di concessioni reciproche: a Sud organizzando partiti populisti contro le rigide formiche del Nord e lì contro le spendaccione cicale del Sud.
Questa doppia frattura Est-Ovest e Nord-Sud non è risolvibile dentro le istituzioni esistenti. Di qui l’importanza come avvio di discorso sulla loro riforma del discorso del Presidente Macron nei giorni scorsi alla Sorbona. Una prospettiva che non potrà attendere a lungo, nonostante il provvisorio rallentamento dovuto all’esito non chiaro delle elezioni tedesche.
Sulla pars construens invito tutti a leggere il recente volume di Sergio Fabbrini, “Sdoppiamento”, edito da Laterza perché ci fornisce alcune proposte utili e sensate.
- Le radici endogene
Tra quelle endogene figurano la debolezza delle istituzioni e quella dei partiti, strettamente connessi tra di loro. Gli incentivi istituzionali varati dopo il 1993, dopo che si era esaurito il tradizionale primo sistema dei partiti fotografato dalla proporzionale quasi pura (crisi dell’egemonia comunista a sinistra e, quindi, dell’unità elettorale dei cattolici) sono stati strabici: per un verso hanno incentivato il bipolarismo (specie sul piano locale e regionale con le elezioni dirette dei vertici degli esecutivi) ma, per altro verso, hanno anche incentivato la frammentazione (sbarramenti quasi insignificanti dentro le coalizioni e nelle assemblee parlamentari per costituire gruppi).
A ciò si aggiunge il fatto che le coalizioni abbastanza coerenti sul piano locale e regionale lo sono molto di meno quando si passa al piano nazionale: reggono bene a inizio legislatura, in negativo contro lo schieramento opposto, ma fanno poi fatica ad assumere posizioni compatibili su politiche europee e sulla politica estera. La linea di frattura tra le diverse idee di Europa di cui al punto precedente complica le coalizioni nazionali tanto quanto i minori incentivi nazionali alla coesione rispetto a quelli locali e regionali.
In ogni caso sul piano locale e regionale il bilancio delle regole è sostanzialmente positivo, soprattutto grazie alla regola del “simul stabunt simul cadent” tra vertice dell’esecutivo e assemblea. Il possesso dell’arma atomica da parte di entrambi garantisce nella grandissima parte dei casi il governo di legislatura e quindi l’attribuzione di responsabilità a fine mandato da parte degli elettori.
Viceversa a livello nazionale il quadro è molto negativo, specie dopo il risultato del referendum del 4 dicembre 2016 e dopo la conseguente sentenza della Corte sul sistema elettorale della Camera.
Non tornerà coi sistemi a base proporzionale la forza dei partiti della prima fase della Repubblica: la seconda surrogava la prima e dava una stabilità di fondo al sistema, nonostante la brevità dei singoli governi.
Non abbiamo più disponibile neanche l’ambiguità della seconda fase della Repubblica, quando sistemi a dominante maggioritaria e una certa tenuta del bipolarismo di coalizione portavano a un’alternanza tra il Governo di inizio legislatura (legittimato dagli elettori) e quelli successivi, dovuti in larga parte alle supplenze presidenziali.
Ora invece la supplenza presidenziale tenderà ad essere permanente, sin da inizio legislatura, con uno stabile “semi-presidenzialismo di fatto”. Prima o poi emergerà la domanda di sanare lo scarto tra legittimazione e poteri passando anche a uno di diritto.