La lezione è stata tenuta dal docente Carlo Fusaro, il quale ha messo sin da subito in evidenza quella che per lui è una tendenziale crisi dei modelli europei sorti come declinazioni del paradigma di riferimento, ossia il modello WestMinister. In special modo Fusaro si è soffermato sulla crisi dei governi parlamentari e su quello che, a suo modo di vedere, è un Governo Parlamentare all’interno di un sistema politico e partitico. Di base, trattasi di Governo Parlamentare un esecutivo in grado di agire pienamente finché non si coaguli in parlamento una maggioranza capace di mandarlo a casa. Ovvero fino a quando il legame fiduciario non viene meno. Tale legame può essere più o meno esplicita a seconda dei vari paesi.
Tutte basi teoriche queste, che nella fattispecie trovano molte difficoltà di funzionamento per vari motivi, Ultimamente tali difficoltà imperversano nella maggior parte dei paesi dell’Europa. Il modello presidenziale americano, infatti, nasce sostanzialmente, come fa notare Fusaro, dalla errata imitazione del parlamentarismo della madre patria britannica. Di conseguenza, gli effetti di tale tipo di imitazione ricadono inevitabilmente sul funzionamento dell’esecutivo statunitense. Questo modello mantiene totalmente separati il potere legislativo da quello esecutivo. Mentre nella patria del parlamentarismo, il Regno Unito, vi è una fusione o, se si preferisce, una collaborazione fra i due poteri. Fusione/collaborazione che per Fusaro è necessaria, Il Presidente degli Stati Uniti invece, pur essendo molto forte in politica estera, spesso e volentieri risulta molto debole internamente, essendo costretto a tenere sotto controllo ogni singolo voto all’interno del Congresso; anche perché vi è una scarsa disciplina di partito. Un esempio lampante sicuramente lo si ha nell’ambito delle possibilità di riforma della sanità. Ci provò a suo tempo Bill Clinton senza risultati; ci è riuscito Obama (con l’Obama Care) ma al prezzo di un elevato tasso di compromesso che incide in maniera sostanziale sulla riforma stessa. In altre parole, il Presidente degli Stati Uniti e il suo governo sono molto più deboli rispetto ai governi parlamentari europei ben funzionanti (ideali) dove i primi ministri possono contare su maggioranze certe e sulla lealtà del Parlamento stesso.
Tuttavia in Italia, vi è una tendenza, p.es. nel caso delle leggi di bilancio (ex legge di stabilità), che ha visto il governo giungere spesso, nel primo sistema dei partiti, alla stregua del caso americano di cui sopra, a negoziare ogni singolo aspetto dei un testo, emendamento per emendamento, mettendo in gioco continuamente l’equilibro di maggioranza. Per Fusaro questa rappresenta appieno una sorta di stortura all’interno di una forma di governo parlamentare.
Dunque, ricapitolando, siamo in grado di enunciare le caratteristiche essenziali e i relativi vantaggi di un governo Parlamentare ben funzionante che, godendo di investitura del parlamento, conta del sostegno della maggioranza, senza aver bisogno di quel negoziato permanente presidenza-esecutivo di cui sopra nei casi americano (per definizione) e italiano (malfunzionante – stando alle tesi di Fusaro).
A nostro avviso tutto questo è possibile solo se c’è all’interno del sistema partitico di un paese in oggetto di studio, una disciplina di partito tendenzialmente forte. Anche se, una legge elettorale fatta in un certo modo (Fusaro ha portato come esempio l’Italicum) potrebbe avvicinare non di poco un sistema parlamentare in difficoltà al modello ideal tipico che abbiamo appena descritto.
Il Prof. Fusaro a sostegno delle sue tesi ha affermato inoltre che la forma parlamentare si caratterizza per una diversa separazione dei poteri: quella che vede da un lato il continuum tra maggioranza e Governo e dall’altro minoranze e opposizione laddove quest’ultima si ponga come alternativa di governo.
Vi è infine un problema che ha radici nella storia contemporanea, ossia il progressivo crearsi nelle istituzioni di maggioranze sempre larghe ma con sempre minore coerenza interna, le cosiddette grandi coalizioni. Tutto ciò ha portato a una difficoltà nel perseguire politiche su basi omogenee di condivisione. Tali difficoltà sono diffuse anche nel resto d’Europa a causa della difficile congiuntura economico-finanziaria e dei suoi risvolti politico-sociali. In tale contesto infatti assistiamo al crescere di forze cosiddette “antisistema”. Tale stravolgimento del sistema partitico ha portato alla formazione di grandi coalizioni (per la prima volta in Germania, negli anni Sessanta). Essa non è il frutto dell’alleanza fra i partiti più grossi ma fra i due partiti principali che vi sono presentati come alternativa. Episodio in costante replica nel tempo, e che oggi si afferma in molti paesi dell’Europa a 28 o in modo esplicito o in modo più implicito e indiretto, come governi di minoranza tollerati da altri partiti. Le grosse coalizioni, se servono “momentaneamente” a placare la forza istituzionale dei partiti antisistema, dall’altro lato hanno conseguenze opposte in prospettiva delle future tornare elettorali: i partiti antisistema possono accusare quelli coalizzati di governare insieme perché essi sarebbero indistinguibili: quindi possono crescere nella polemica soprattutto ai danni del partito minore alleato. Quello più grande può prendere i voti favorevoli al governo perché ne detiene la guida; chi invece è critico vota per i partiti antisistema. Lo spazio per il partito alleato minore, “cadetto”, si restringe: è quello che accade alla Spd tedesca. Inoltre queste grandi coalizioni rendono difficile l’attuazione del principio di responsabilità politica.
In conclusione Carlo Fusaro ha tentato di fornirci due vie d’uscita. O seguire l’esempio dei paesi scandinavi dove la costituzione e il sistema politico permettono la formazione di governi di minoranza (p.es. in Danimarca, in cui attualmente esiste un governo monopartitico con 37 seggi su un totale di 143, il quale è ribaltabile solo con una maggioranza assoluta). Tuttavia una strada del genere appare percorribile, per cultura politica e per tradizione, solo ai paesi nordici. Allora la via d’uscita sembra essere quella studiare una legge elettorale che non ignori la forma di governo e il sistema politico nella quale essa dovrà operare. In sostanza dal voto popolare deve emergere chiaramente una maggioranza di governo. Per Fusaro l’Italicum ha mosso i suoi passi partendo proprio da quest’ultima considerazione.