Abbiamo iniziato la lezione con uno sguardo all’attualità. Sono tre gli scenari politici da tenere sotto controllo: la discussione in parlamento del DEF che entrerà nel vivo la prossima settimana. Le elezioni presidenziali USA il cui esito è tutt’ora incerto. E per ultima l’instabilità politica in Spagna, senza un governo nella pienezza delle funzioni dal dicembre 2015. Se entro ottobre non si formerà un nuovo governo il Paese andrà alle elezioni per la terza volta in meno di un anno.
Siamo poi passati all’analisi della prima parte della riforma costituzionale che sarà oggetto del referendum del 4 dicembre. Dal titolo: “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”.
Le modifiche principali riguardano il Senato che non voterà la fiducia al governo, cambia anche la sua composizione: 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali (74 consiglieri regionali e 21 sindaci, uno per regione o provincia autonoma) e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica. I primi rimangono in carica la stessa durata della carica degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, i secondi non sono più a vita ma rimangono membri del Senato per 7 anni, inoltre il loro mandato non è rinnovabile. Il neo articolo 64 prevede invece una distinzione tra opposizioni e minoranze: le opposizioni caratterizzeranno i gruppi che non sono di maggioranza alla Camera, le minoranze invece i gruppi numericamente piccoli al Senato oltre ai gruppi non schierati alla Camera. Questa distinzione prende spunto dalla riforma della Costituzione Francese del 2008 e permette di trattare diversamente le due fattispecie favorendo così azioni positive atte a amplificare la voce dei gruppi minoritari e di opposizione.
Un punto delicato della riforma sta poi nell’articolo 70 che definisce l’iter legislativo.
Con la riforma diventano due le fattispecie di procedimento legislativo:
1- bicamerale paritaria di cui al comma 1 (come oggi) per una serie di tipologie di legge elencate una ad una nel nuovo articolo (tra cui le leggi di revisione costituzionale, le leggi costituzionali e le leggi sul regionalismo differenziato. Si calcola che quantitativamente vi rientrerà di norma un 2-3% delle leggi, comunque non più del 5%.
2- a prevalenza Camera, ossia accomunata dal minimo comun denominatore della prevalenza finale della Camera dei deputati definita dal comma 2. Si può dividere in tre sottospecie:
2.a- monocameralismo partecipato con esame a richiesta a prevalenza Camera a maggioranza semplice di cui al comma 3: la Camera approva; il Senato ha la possibilità di richiamare a sé la legge per modificarla (se non la scatta il silenzio-assenso); la Camera può non conformarsi alle modifiche con un semplice voto contrario. se il Senato non manifesta l’intenzione di discutere il ddl alla scadenza dei termini può essere promulgato, Vi rientrerà la grande maggioranza delle leggi, circa l’80 per cento;
2.b- monocameralismo con esame necessario con prevalenza Camera a maggioranza assoluta di cui al comma 4 : ddl relativi alla clausola di supremazia di attuazione dell’articolo 117, quarto comma in questo caso i progetti approvati alla Camera vengono trasmessi direttamente al Senato senza doverli richiamare; nel caso quest’ultimo approvi degli emendamenti a maggioranza assoluta la Camera potrà non recepirli solo a maggioranza assoluta dei suoi componenti; vi rientrerà circa il 5 per cento delle leggi;
2.c- monocameralismo con esame necessario con prevalenza Camera a maggioranza semplice di cui al comma 5: leggi di bilancio (attuazione articolo 81) vengono trasmesse direttamente al Senato una volta approvate alla Camera; la Camera può non conformarsi alle modifiche con un voto a maggioranza semplice; anche qui vi rientrerà circa il 5 per cento delle leggi.
Esisterà poi una “Corsia Preferenziale” (art. 72.6) che obbliga la Camera a deliberare entro 70 giorni su una determinata materia ritenuta fondamentale per l’attuazione del programma di governo. Essa dovrebbe rendere residuale il ricorso ai decreti, regolamentati più rifidamente nell’articolo 77.
Cambia anche la proposta d’iniziativa popolare (art. 71): le firme necessarie diventano 150mila ma il parlamento sarà obbligato ad esaminare la proposta. Rimane la possibilità di indire referendum abrogativi ma se le firme raccolte superano le 800mila il quorum si abbassa alla maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei deputati.
L’altra importante modifica riguarda il Titolo V: l’articolo 117 perde l’elenco delle materie concorrenti. Le materie sono ora suddivise in materie di competenza statale e materie a vocazione regionale. Quelle che prima rientravano nelle concorrenti, dove lo stato faceva i principi e le regioni i dettagli sono ora ripartite tra gli altri due elenchi, espandendo quello delle esclusive statali e creando quello delle materie a vocazione regionale.
Questa è la ripartizione normale delle competenze che però può essere modificata sia verso il centro sia verso le regioni.
Verso il centro vi è la cosiddetta “Clausola di Supremazia” che prevede che “su proposta del Governo, la legge dello Stato possa intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale” secondo la procedura già segnalata al punto 2b.
Verso le Regioni l’articolo 116.3 dà però la possibilità alle regioni ordinarie di richiedere una maggiore autonomia secondo determinati criteri lì precisati.
Aumenta poi la maggioranza necessaria per l’elezione del Presidente della Repubblica (prime tre votazioni 2/3 dei componenti, dalla quarta alla sesta 3/5 componenti e poi dalla settima 3/5 dei presenti votanti.