Restaurazione delle preferenze: verso un ulteriore protagonismo del giudiziario?
di Stefano Ceccanti
Quelle del 1992 alla Camera sono state le ultime elezioni in cui si è votato col voto di preferenza (in quel caso unica, come conseguenza del referendum del 1991), poi superato dalla legge Mattarella.
Pochi si stanno chiedendo quali conseguenze potrebbe comportare la restaurazione del voto di preferenza, specie se legato di nuovo a grandi circoscrizioni e quindi alla necessità di forti organizzazioni estremamente personalizzate sul singolo candidato, in un contesto di estrema debolezza dei partiti e anche delle correnti, in relazione ai rapporti tra politica e giustizia.
Cosa succederebbe in un sistema segnato dall’obbligatorietà dell’azione penale e dalla particolare sensibilità delle procure per ciò che accade a livello politico-amministrativo (basti pensare alle inchieste sulle rendicontazioni dei consiglieri regionali in cui varie delle spese contestate non rientrano strettamente nell’attività istituzionale, ma sono con evidenza connesse al mantenimento di un sistema di rapporti ai fini dell’acquisizione di preferenze) e per un Parlamento in cui dal 1993 non è più prevista l’autorizzazione a procedere?
Non si tratta solo della possibilità di utilizzare la fattispecie di voto di scambio, introdotta a metà del 1992, nell’articolo 413-ter del codice penale: quella, in realtà, non è una fattispecie autonoma, è legata alle associazioni mafiose. Infatti il titolo dell’articolo è “Scambio elettorale politico-mafioso” e si raccorda al noto 416-bis.
Si tratta di varie altre tipologie introdotte dalla legge Severino (legge 06.11.2012, n. 190) prima delle quali l’articolo 346 del codice penale, cioè il cosiddetto “ Traffico di influenze illecite”.
Leggiamo integralmente la norma: “Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a se’ o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio, e’ punito con la reclusione da uno a tre anni. La stessa pena si applica a chi indebitamente da’ o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale. La pena e’ aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a se’ o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio. Le pene sono altresi’ aumentate se i fatti sono commessi in relazione all’esercizio di attivita’ giudiziarie. Se i fatti sono di particolare tenuita’, la pena e’ diminuita”.
Ora, almeno in linea di principio è difficile negare che una gran parte delle preferenze organizzate (cioè quelle ampiamente decisive) suppongano da parte del candidato che le voglia raccogliere un’attività tesa a promettere agli elettori vantaggi anche in relazione ai rapporti con la pubblica amministrazione. Uno dei costi della restaurazione delle preferenze, o almeno dei pericoli, quella di un ulteriore protagonismo del giudiziario.
Ci sbagliamo? Sono timori eccessivi? In ogni caso è bene rifletterci per tempo…
qui il numero integrale:
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